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Nascita dell'ERP e trasferimento delle funzioni alle Region

2.4 “Evictions” differenziate: studio sui fattori d

2.8 Il “Social Housing” in Italia

2.8.2 Nascita dell'ERP e trasferimento delle funzioni alle Region

96 In generale la tendenza fu quella a privilegiare la proprietà della casa: ciò avvenne perlopiù mediante l'istituto del riscatto degli alloggi concessi in uso, ma altresì ricorrendo alla liquidazione degli stessi appositamente realizzati per la locazione a prezzi calmierati, secondo una prassi alla dismissione del patrimonio abitativo pubblico già avviata durante il regime.

97 << Molte delle risorse furono destinate per scopi inappropriati e la maggior parte restarono non spese. Tra le principali cause dell'inefficacia del piano, oltre alle inefficienze imputabili agli apparati centrali (Ministero lavori pubblici) nella gestione dei fondi, viene spesso indicata la mancata predisposizione da parte dei comuni dei "piani di zona" necessari per la localizzazione e l'espropriazione delle aree ove realizzare gli alloggi >>, S.C. MATTEUCCI, op. cit., pp. 162 ss.

Gli anni Settanta si caratterizzarono per un totale cambiamento di prospettiva rispetto al passato: l'inizio di un più corposo intervento finanziario diretto da parte dello Stato e la conclusione della lunga stagione di centralizzazione, a vantaggio sopratutto delle Regioni. Con la Legge 865 del 1971 si fa strada l'idea di una programmazione economica in funzione redistributiva. Allo scopo di ridurre la miriade di soggetti pubblici operanti nel settore, l'organizzazione dell’edilizia residenziale pubblica trova, al proprio vertice, una struttura di comando e di coordinamento nel Ministero dei lavori pubblici e in particolare nel neoistituito Cer - Comitato edilizia residenziale -, composto da vari ministri ed esperti: il ruolo statale da regolatore diventa soprattutto di finanziatore. Alle funzioni centrali di programmazione e finanziamento attribuite al Cer si affianca una concentrazione delle competenze periferiche attorno agli Iacp, quali enti pubblici operativi del Ministero e realizzatori dei programmi di edilizia residenziale. Allo stesso tempo, alle Regioni viene attribuito un ruolo di responsabilità nella programmazione regionale e nel controllo della realizzazione degli interventi.

E' in questi anni che nasce l'ERP - Edilizia residenziale pubblica -, concetto consolidato dal D.P..R. 1036 del 1972, il quale vi ha fatto afferire tutti gli alloggi costruiti o da costruirsi da parte di Enti pubblici a totale carico o con il contributo o concorso dello Stato98. Il concetto

ha subito un'evoluzione dinamica nel corso degli anni, fino a tradursi in ben tre tipologie di edilizia residenziale sussidiata attraverso risorse pubbliche: edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata99,

98 CASSADEPOSITIEPRESTITI, op. cit., p. 29.

99 Il sistema prevede tre modalità di realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica. L'edilizia sovvenzionata fruisce di un contributo diretto dello Stato ed è finalizzata a realizzare alloggi - le cosiddette “case popolari” - destinate a cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate (in base a parametri legati al reddito e alla categoria lavorativa): questi muteranno, in una sorta di sistema a rotazione, al variare dei parametri reddituali. Solitamente l'attuazione è demandata

concetti questi attualmente confluiti nella più ampia nozione di social

housing100.

La formalizzazione dell'abbandono del sistema centralizzato avviene, poi, con il D.P.R. 616 del 1977, il quale sancisce il definitivo trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative relative alla programmazione, localizzazione, realizzazione e gestione degli alloggi di edilizia agevolata, convenzionata e sociale - rectius, sovvenzionata -, nonché le funzioni relative alle procedure di finanziamento101; negli

direttamente ai Comuni (o alle aziende territoriali per l'edilizia residenziale, ex Iacp); gli alloggi così realizzati possono essere concessi sia in locazione semplice, che con patto di futura vendita, sia in proprietà. L'edilizia agevolata è, invece, quella finalizzata alla costruzione di alloggi - o all'acquisto di immobili già edificati - da destinare a prima abitazione e realizzata da privati con la previsione di finanziamenti messi a disposizione dallo Stato o dalle Regioni e agevolazioni circa la copertura degli interessi sui mutui contratti dagli assegnatari. I finanziamenti possono essere erogati a favore di enti pubblici, cooperative edilizie, imprese, soggetti privati, per la costruzione di abitazioni con caratteristiche non di lusso destinate a persone in possesso di determinati requisiti soggettivi. Sono le imprese di costruzione a richiedere direttamente i finanziamenti alle Regioni o agli Enti locali. A differenza dell’edilizia sovvenzionata, l'edilizia agevolata prevede solitamente divieti temporanei di vendita, la cui inosservanza produce unicamente la decadenza dai vantaggi di natura finanziaria garantiti dagli interventi creditizi della Pubblica Amministrazione, e non la nullità dell’atto di vendita.

La terza tipologia, detta convenzionata, è realizzata da operatori privati sulla base di specifiche convenzioni stipulate con i Comuni, che stabiliscono prezzi di locazione o di acquisto successivo calmierati. L'articolata procedura è stata disciplinata dalla Legge 865 del 1971, che, peraltro, in caso di vendita dell'immobile realizzato da imprese private prevedeva due casi: quello in cui il Comune assegnava al soggetto costruttore la piena proprietà dell’area, con la conseguenza che il privato acquirente sarebbe divenuto pieno proprietario dell’alloggio, e quello in cui il comune rimaneva proprietario del suolo e assegnava temporaneamente (da 60 a 99 anni, solitamente per 90 anni) il diritto di fare e mantenere sopra o sotto il suolo una costruzione in diritto di superficie. Cfr., anche per un'analisi più dettagliata, P. URBANI, L'edilizia

residenziale pubblica tra Stato e autonomie locali, in Istituzioni e Federalismo, 2011,

pp. 252-253; FEDERNOTIZIE, Edilizia Residenziale pubblica, su www.federnotizie.org;

Cassa depositi e prestiti, op. cit., pp. 29-30.

100 Cfr. E. BARGELLI, Abitazione (diritto alla), cit., p. 7, secondo cui, << nell'accezione accolta, il social housing si presta ad includere tanto l'edilizia pubblica (sovvenzionata, agevolata, finanziata), quando la cosiddetta edilizia sociale di mercato >>.

101 Così P. URBANI, op, cit., pp. 252-253. Ai sensi dell'articolo 93 del D.P.R. 616/1977 vennero trasferite alle Regioni << le funzioni amministrative statali concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attività di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale, nonché le funzioni connesse

stessi anni, l'assegnazione degli alloggi in locazione diviene di esclusiva pertinenza dei Comuni.

Con la Legge 457 del 1978 - ultimo provvedimento organico di finanziamento dell'edilizia residenziale pubblica - fu finanziato un nuovo piano decennale di edilizia residenziale riguardante gli interventi diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio, nonché l'acquisizione e l'urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali mediante sovvenzioni, agevolazioni e convenzioni con soggetti privati102.

Coeva è la Legge 392 del 1978, meglio nota come Legge sull'”equo

canone”, la quale introdusse un regime legale di fissazione dei canoni

di locazione, determinando la compressione dell'offerta delle abitazioni in affitto e quindi incentivando in via implicita l'acquisto della casa in proprietà. La disciplina fu abbandonata solo nel 1998 - con la Legge 431 103-, quando le scelte legislative optarono per il ritorno alla

liberalizzazione dei canoni abitativi - pur mantenendo la regola della predeterminazione legale della durata dei contratti - e per un contributo pubblico sull'affitto destinato ai ceti bisognosi costretti alla locazione privata.

La tappa finale dell'intervento finanziario statale nel settore fu formalmente segnata dall'inizio del nuovo millennio: è nel 2001 che si

alle relative procedure di finanziamento […], le funzioni statali relative agli IACP […], tutte le funzioni esercitate da Amministrazioni, aziende o Enti pubblici statali relativi alla realizzazione di alloggi […]. Lo Stato attua la programmazione nazionale nel settore della edilizia residenziale pubblica >>.

102 Cfr. S.C. MATTEUCCI, op. cit., pp. 163 ss. << Rispetto alla legge del 1971, quella del 1978 accentua il ruolo regionale, ad esempio prevedendo una rappresentanza nel Cer di tutte le Regioni, ma mantiene una impronta centralistica nella predisposizione dei programmi da parte dello stesso Cer secondo gli indirizzi del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe). Alle Regioni vengono assegnati compiti consistenti principalmente nella definizione del fabbisogno abitativo regionale e nella ripartizione degli interventi nel territorio regionale >>.

colloca l'ultimo finanziamento pubblico dal centro, relativo al secondo programma di contratti di quartiere e la costruzione di 20.000 alloggi

in affitto104.

A questi provvedimenti, tuttavia, fece immediato seguito la riforma costituzionale del Titolo V - con la Legge costituzionale 3 del 2001 -, che, sulla base di un ampio decentramento delle funzioni, venne a rivoluzionare i caratteri delle politiche e degli strumenti di edilizia residenziale, determinando l'approdo ad un assetto - già anticipato dal

decreto legislativo n. 112 del 1998 - di carattere fortemente

“regionalista”105. Il vulnus della nuova impostazione, però, risiedeva

104 Tra il 2000 e il 2001 furono emanate due disposizioni di capitale importanza per la definizione delle nuove politiche abitative nazionali: il comma 33 dell’articolo 145 della Legge 23 dicembre 2000, n. 338 (Finanziaria 2001) e l’articolo 3 della Legge 8 febbraio 2001, n. 21. La prima consistette apparentemente solo in una norma finanziaria relativa allo stanziamento di fondi per il comparto dell’edilizia residenziale, mentre la seconda delineò il piano concepito dal Legislatore nazionale per la riduzione del disagio abitativo e l’aumento dell’offerta di alloggi in locazione permanente a canoni non di mercato. Il 27 dicembre 2001 vennero emanati tre Decreti Ministeriali che, oltre a definire l’attuazione di quanto disposto nelle due norme, ne modificarono parzialmente l’impianto originario, presumibilmente nel tentativo di omogeneizzarne i contenuti. In primo luogo, i finanziamenti complessivi, ormai di 1,3 miliardi di euro, vennero incanalati in tre diverse iniziative (con uno stanziamento fisso annuo per 15 anni a partire dal 2002): il programma “20.000 abitazioni in affitto”; il programma “Alloggi in affitto per gli anziani degli anni 2000”; i “Contratti di quartiere II”. In secondo luogo, si previde che le disponibilità finanziarie fossero attualizzate attraverso una convenzione con un istituto di credito, incentivando, così, la realizzazione dei programmi non attraverso contributi in conto interessi, ma attraverso contributi in conto capitale. In terzo ed ultimo luogo, la gestione del programma “20.000 abitazioni in affitto” venne attribuita alle Regioni. Queste ultime avrebbero dovuto predisporre un piano operativo attraverso il quale governare il processo e gestire i finanziamenti ad esse ripartiti. Non si trattò, però, dell’unica innovazione prevista dal Decreto per il programma, poiché venne ampliata anche la tipologia di titoli di godimento in locazione ammessi e stabilita la ripartizione delle risorse tra di essi all’interno dei programmi operativi regionali: alla locazione permanente dovevano essere assegnate il 55% delle risorse totali; alla locazione temporanea per almeno 8 anni, il 15%; alla locazione temporanea per un arco temporale intermedio, il 30%. Cfr. CASSADEPOSITI EPRESTITI, op. cit., pp. 30-

31.

105 << Le funzioni attribuite alla Regioni si estendono da compiti di programmazione (definizione delle linee di intervento, degli obiettivi e delle modalità di utilizzo delle risorse finanziarie) alla gestione e attuazione degli interventi, sino alla determinazione delle tipologie di intervento e dei criteri per l'assegnazione degli alloggi con la fissazione dei relativi canoni. Al livello più propriamente locale

nella mancata corrispondenza tra l'allocazione delle principali funzioni a livello regionale-locale e l'attribuzione delle risorse all'uopo necessarie: alla soppressione della programmazione statale corrispose un inaridimento delle fonti di finanziamento per l'edilizia pubblica106.

In simile contesto si collocano anche una serie di pronunce della Corte Costituzionale107, che - nel vagliare il riparto delle competenze

legislative tra Stato e Regioni in materia di edilizia residenziale pubblica - reintrodussero uno spazio di intervento statale, rimettendo allo Stato centrale non solo la fissazione dei livelli minimi di offerta abitativa per specifiche categorie di soggetti deboli, ma - ai sensi della sentenza 166 del 2008 - anche la conseguente determinazione su scala nazionale degli interventi. Simili pronunce prepararono il terreno per l'approvazione del “Piano Casa” del 2008.

con compiti soprattutto di gestione del patrimonio edilizio pubblico esistente operano, inoltre, come enti strumentali delle regioni gli ex Iacp (spesso rinominati "agenzie del territorio") che talvolta le leggi regionali configurano come enti pubblici economici. Le residue competenze statali riguardano la «determinazione dei principi e delle finalità di carattere generale ed unitario in materia di edilizia residenziale pubblica, anche nel quadro generale delle politiche sociali», la definizione dei "livelli minimi" del servizio abitativo nonché degli standard di qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e l'eventuale concorso, insieme a Regioni ed Enti locali, all'elaborazione di programmi di Erp aventi interesse a livello nazionale. Rispetto alla situazione precedente al 1998, rilevante è soprattutto l'abolizione della programmazione nazionale, che era in concreto elaborata dal Cer, organismo a sua volta soppresso >>, cfr. S.C. MATTEUCCI, op. cit., pp. 163 ss.

106 Ibidem: << Queste ultime, in realtà, erano costituite dalle sole giacenze, e le dovute integrazioni, presenti presso la Cassa depositi e prestiti, successivamente trasferite alle regioni in seguito a specifici accordi. In un quadro di scarsa incidenza della spesa per la casa (nel 2008, 13 regioni su 20 hanno destinato a questo scopo meno dell'un per cento del Pil regionale), le politiche attivate nelle diverse regioni sembrano accentuare la frattura fra il centro-nord e il sud del paese, dove l'investimento è tuttora legato ai residui fondi ex Gescal >>.

107 Per le sentenze della Consulta che negano l'autonoma configurabilità della materia di edilizia residenziale pubblica e ridefiniscono i confini degli spazi normativi coperti dalla potestà legislativa dello Stato e e delle Regioni, vedi S.C. MATTEUCCI, op. cit., pp. 170-171.

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