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Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori ispirati dallo psichiatra Franco Basaglia (legge 13 maggio 1978, n 180)

PARTE TERZA L’ambito socio-sanitario

5. L’assistenza psichiatrica e le istituzioni manicomiali: cenni storici e legislativi (Daniela Baraldo)

5.4. Le fasi evolutive della legislazione psichiatrica in Italia nel Novecento

5.4.4. Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori ispirati dallo psichiatra Franco Basaglia (legge 13 maggio 1978, n 180)

Questa legge è il risultato di istanze culturali di rinnovamento che pongono in primo piano l’individualità del paziente e il suo diritto d’essere curato e tutelato, d’essere assistito e aiutato e trae ispirazione dalla riforma psichiatrica che “ha le proprie radici nell’ambito di un vasto movimento “antistituzionale”, sorto alla fine degli anni Sessanta, con tendenze profondamente sociologistiche.”475

Questo movimento trovò nei rivolgimenti politici di quegli anni (1968) terreno fertile per svilupparsi. Il suo più autorevole e combattivo esponente fu Franco Basaglia476, i cui scritti aiutano a comprendere

da un lato i motivi ispiratori della riforma, dall’altro l’impatto che ebbe la Legge 180 sul mondo psichiatrico.477 Nel 1961 Franco Basaglia “vince il concorso per la direzione dell’Ospedale psichiatrico di

Gorizia, dove si trasferisce con tutta la famiglia. [dieci anni dopo] nell’estate del 1971 vince il concorso per la direzione dell'Ospedale psichiatrico di Trieste”478 e “muove dalla consapevolezza, più volte dichiarata, che

l'ospedale psichiatrico non ha alcuna valenza di cura, anzi è di per sé produttore di malattia.”479

Franco Basaglia sviluppò in modo originale all’interno dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, nel decennio precedente la legge 180, un modello di comunità terapeutica che “dovrà essere superato, attraverso la progressiva apertura e trasformazione dell'ospedale di Trieste, con lo scopo di costituire una rete di servizi territoriali alternativi e sostitutivi dell'ospedale stesso.”480 Questo superamento del modello di comunità terapeutica è sentito da Franco Basaglia come esigenza perché la comunità terapeutica “non può […] considerarsi la meta finale verso cui tendere, quanto piuttosto una fase transitoria in attesa che la situazione stessa si evolva in modo da fornirci nuovi elementi di chiarificazione.”481

Durante i primi quattro anni di lavoro, Franco Basaglia riservò molta attenzione al cambiamento degli spazi interni e ai sistemi di comunicazione e scambio tra le gerarchie, nell’ambito del gruppo di lavoro e tra questo e i pazienti. Pertanto “vengono attivate riunioni quotidiane nei reparti e periodiche assemblee di tutti i pazienti. […] Vengono aperte le porte di tutti i reparti e soppresse le terapie di shock e ogni forma di contenzione fisica. Si favoriscono le uscite in città, suscitando attenzione e spesso allarme da parte della cittadinanza.”482

Durante i primi anni di lavoro gli interessi di Franco Basaglia e della sua équipe si concentrano “sulle storie personali dei pazienti, sui loro bisogni, nel tentativo di ricomporre un’esistenza frammentata e di ricostruire un rapporto con la comunità di provenienza. Si organizzano gruppi di convivenza (gruppi appartamento), dapprima all'interno dell'ospedale, poi in città.”483 Risulta anche assai significativa l’apertura

del cancello del parco dell’ospedale psichiatrico alla città: “si organizzano concerti e feste promossi da associazioni politiche e culturali della città, che richiamano un numeroso pubblico di studenti, giovani e gente comune.”484 L’organizzazione interna dell’ospedale vede un cambiamento fin dal 1972 quando “al

criterio di sistemazione dei pazienti nei reparti per gravità (agitati, violenti, sudici, infermi, cronici) viene sostituito un criterio che raggruppa i pazienti per provenienza territoriale, in base a una ripartizione dell'area

473 Ibidem. 474 Ibidem.

475 C. Hume, I. Pullen, La riabilitazione dei pazienti psichiatrici, Raffaello Cortina Editore, Milano, pp. 39-40. 476 Franco Basaglia, psichiatra, fu direttore dal 1962 del manicomio di Gorizia fino al 1971.

477 Come scrive Basaglia, “a distanza di più di un anno dall’entrata in vigore di questa legge, il numero degli internati negli ospedali

psichiatrici si è notevolmente ridotto, i trattamenti sanitari obbligatori sono molto contenuti.” in F. Basaglia, Scritti II 1968-1980.

Dall’apertura del manicomio alla nuova legge sull’assistenza psichiatrica, Torino, Einaudi, 1982, p. 467. 478 M. Colucci, p. Di Vittorio, Franco Basaglia, Mondadori, Milano, 2001, p. 4.

479 Documento reperito nel sito internet www.palazzochigi.it/bioetica. 480 Ibidem.

481 F. Basaglia, L’istituzione negata, Einaudi, Torino, 1968, p. 134. 482 Documento reperito nel sito internet www. palazzochigi.it/bioetica. 483 Ibidem.

urbana in cinque zone (corrispondenti oggi ai quattro distretti sanitari della Provincia di Trieste ed agli attuali quattro centri di salute mentale).”485

In questo modo inizia un “lavoro sul territorio, che ha come obiettivo la dimissione e il sostegno del paziente a casa, la presa in carico dei nuovi casi, la ricerca di un rapporto operativo con le istituzioni e i cittadini di quell'area di riferimento.”486

Il lavoro intrapreso all’esterno dell’ospedale introduce alcuni cambiamenti significativi nell’ambito della pratica terapeutica e nell’assetto istituzionale, gerarchico e amministrativo e rappresenta una scuola sul campo per infermieri e medici.

I primi cambiamenti si riferiscono alla situazione presente “all’inizio del 1975 [quando] i pazienti ricoverati sono 800. Circa un terzo ha già trovato collocazione all'esterno: in famiglia, in gruppi- appartamento, nelle case popolari. Nessuno viene trasferito in altre istituzioni.”487

Tra il 1975 e il 1977 vengono attivati i primi presidi territoriali: “si tratta di strutture preposte inizialmente al supporto di pazienti dimessi dall'ospedale psichiatrico e successivamente anche alla presa in carico di pazienti in crisi. Funzionanti come centri di riferimento diurno, producono una ulteriore sostanziosa diminuzione della popolazione dell'ospedale psichiatrico e la riduzione della durata dei ricoveri.”488

Successivamente “il 13 maggio 1978, sotto la spinta dei processi di deistituzionalizzazione in atto a Trieste e in altre parti d'Italia e sotto la minaccia di un referendum abrogativo della legge 36/1904 e di un conseguente vuoto legislativo, viene approvata la legge 180, che istituisce un modello di assistenza assolutamente innovativo, dando inizio di fatto alla fine del manicomio e dei fondamenti delle istituzioni totali.”489

La legge 13 maggio del 1978 n. 180 è una legge quadro, che definisce i principi ispiratori della riforma psichiatrica, affidandone l’applicazione alle Regioni. Sancisce “la progressiva chiusura dei manicomi; istituisce, per le esigenze di ricovero, nuovi servizi di piccole dimensioni (gli SPDC, Servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura) all’interno degli ospedali generali, e, soprattutto, propone la diffusa creazione di servizi territoriali che consentano un decentramento dell’assistenza psichiatrica”.490

Con questo provvedimento legislativo “l’internamento psichiatrico civile viene definito esclusivamente in termini medici e terapeutici”491: anche i trattamenti psichiatrici, come tutti gli altri trattamenti sanitari,

sono ora volontari. La legge prevede solamente che

“per brevissimi periodi (non oltre 7 giorni ciascuno, prorogabili) possono essere disposti trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera (T.S.O.) se sussistono tre condizioni: 1) alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; 2) gli stessi non vengano accettati dall’infermo; 3) non vi siano le condizioni per adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. In ogni caso il T.S.O. deve essere accompagnato da iniziative rivolte ad ottenere il consenso del paziente.”492

Il trattamento sanitario obbligatorio può essere disposto dal Sindaco in qualità di autorità sanitaria, se ne sussistono le condizioni, sulla base di una proposta motivata dal medico, convalidata da un altro medico appartenente alla struttura sanitaria pubblica.

Ora il malato di mente viene internato per rispondere alle sue necessità di cura e non più per proteggere la società, “il rispetto della legge nell’applicazione del T.S.O. è salvaguardato dal controllo sullo svolgimento della procedura da parte del Giudice Tutelare.”493

Un’altra importante innovazione viene apportata dalla legislazione del 1978: “per motivazioni terapeutiche fortemente critiche sulla validità dell’internamento ospedaliero, si prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici ed un utilizzo drasticamente ridotto dell’internamento, come ultima ratio, solo in assenza di altre misure extraospedaliere”.494

485 Ibidem. 486 Ibidem. 487 Ibidem. 488 Ibidem.

489 Ibidem. Nel 1980 l’ospedale psichiatrico di Trieste termina definitivamente le sue funzioni e nell’agosto dello stesso anno muore

Franco Basaglia. La chiusura dell’ospedale nel 1980 testimonia come “da più di 20 anni Trieste [viva] senza manicomio e, il numero delle persone che si riferiscono ai servizi nel corso di un anno, [sia] mediamente del 12 per mille della popolazione (3500 utenti/anno).”

490 L. Onnis, Franco Basaglia: continuità della memoria, continuità dei percorsi, in “Psicobiettivo. Rivista quadrimestrale di

psicoterapie a confronto”, n. 3, anno XX, dicembre 2000, p. 14.

491 Ibidem.

492 C. G. Davison, J. M. Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna, 1989, p. 597. 493 Ivi, p. 598.

“E’ in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali, istituire negli ospedali generali divisioni o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni neurologiche o neuropsichiatriche.”495

La legge precisa inoltre che

“negli attuali ospedali psichiatrici possono essere ricoverati, sempre che ne facciano richiesta, esclusivamente coloro che vi sono stati ricoverati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge e che necessitano di trattamento psichiatrico in condizioni di degenza ospedaliera.”496

Per le persone già ricoverate negli ospedali psichiatrici al momento dell’entrata in vigore della presente legge, si prevede che:

“il primario responsabile della divisione, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con singole relazioni motivate, comunica al sindaco dei rispettivi comuni di residenza, i nominativi dei degenti per i quali ritiene necessario il proseguimento del trattamento sanitario obbligatorio presso la stessa struttura di ricovero, indicando la durata presumibile del trattamento stesso.”497

Vengono soppresse, nella rubrica del libro III, titolo I, capo I, sezione III, paragrafo 6 del codice penale, le parole: “di alienati di mente”. Nella rubrica dell’art. 716 del codice penale sono altresì soppresse le parole: “di infermi di mente o”, nonché le parole: “a uno stabilimento di cura o”.

Gli articoli 714-715-717 del codice penale rendevano, infatti, “lo psichiatra controllore dell’internamento dei folli, in stretta collaborazione con la polizia, prevedendo a suo carico sanzioni penali se non avvisava l’autorità di P.S. dei soggetti pericolosi che aveva in cura e dei ricoveri che eseguiva.”498 In

realtà, la legislazione italiana attuale considera l’internamento psichiatrico civile in termini principalmente sanitari: solo i medici lo stabiliscono, si ricerca il consenso dei pazienti, l’unica finalità è la cura, non si parla più di custodia dei folli dato che sono state chiuse le strutture ospedaliere di contenimento. Si ritiene realizzata una depurazione della psichiatria del suo mandato di controllo sociale. Queste modificazioni apportate al codice penale indicano una svolta nel modo di vedere il malato di mente, non più come “alienato o infermo di mente”, ma come persona affetta da malattia mentale e, in quanto tale, bisognosa di cure all’interno di un ospedale e non di uno “stabilimento di cura”.

Con l’introduzione della legge 180 vengono soppressi, inoltre, gli articoli 1, 2, 3 della legge del 1904, articoli riguardanti le “motivazioni sottese all’intervento coattivo psichiatrico”499; questa soppressione

produce una modificazione del ricovero coatto in psichiatria. Si definiscono ricoveri “coatti” quei ricoveri effettuati contro la volontà dei pazienti perché “come si desume dalla legislazione vigente, pericolosi a sé e agli altri e bisognosi di cura”500, mentre sono “volontari” quei ricoveri effettuati in seguito alla richiesta dei

pazienti stessi. Quest’ultima modalità di ricovero è stata permessa dalla legge del 1968 che “ha reso possibile l’ingresso volontario all’istituzione psichiatrica”.501

La legge 180 dispone nuove norme sul ricovero in TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Vengono enucleati alcuni principi: “è riconosciuta la possibilità di una libera scelta del medico e del luogo di cura per quanto possibile ed il diritto del malato a comunicare con chi ritenga opportuno. Tutto questo toglie al ricovero il carattere nettamente segregante che aveva il disposto legislativo del 1904.”502 Allo stesso tempo,

non risulta possibile attuare un ricovero coatto, per motivi che abbiano una certa corrispondenza con l’indicazione della legge del 14 febbraio del 1904, perché essa strumentalizzava, al fine di un ricovero psichiatrico coatto, comportamenti che non sono da attribuire esclusivamente ad un individuo affetto da disturbi psichici “come “pubblico scandalo” e “pericolosità a sé e agli altri”.503

La legge 180 “ha completamente rivoluzionato l’assistenza psichiatrica in Italia spostando l’asse dell’intervento terapeutico dalla custodia alla cura, dall’assistenza-reclusione in grandi ospedali psichiatrici al reinserimento nell’ambiente sociale.”504 Rappresenta un punto di svolta rispetto alle norme legislative

495 Art. 7, Legge 13 maggio 1978, n. 180 496 Ibidem.

497 Ibidem.

498 C. G. Davison, J. M. Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna, 1989, p. 598.

499 E. Novello, M. Miricola, Caratteri del ricovero psichiatrico prima e dopo la legge 180/1978, in “Psichiatria generale e dell’età

evolutiva”, n. 2, 1986, p. 159.

500 M. L. Drigo, A, Mosconi, Il problema del ricovero coatto: considerazioni sulla sua incidenza e sulle sue modalità nello ospedale psichiatrico di Padova, in “Psichiatria generale e dell’età evolutiva”, n. 2, 1975, p. 169.

501 Ibidem.

502 E. Novello, M.Miricola., Caratteri del ricovero psichiatrico prima e dopo la legge 180/1978, in “Psichiatria generale e dell’età

evolutiva”, n. 2, 1986, pp. 159-160.

503 Ibidem.

precedenti che esprimendo una visione della malattia mentale che “sottolineava la pericolosità, l’incurabilità, il “pubblico scandalo” costituito dal malato psichiatrico, si preoccupavano unicamente della sua custodia e del controllo sociale.”505

Lo stesso Franco Basaglia evidenzia come la riforma psichiatrica italiana nasca “dallo svelamento della contraddizione tra l’apparente finalità terapeutica della struttura manicomiale e la sua reale funzione segregativa”506, frutto delle teorie della psichiatria positivista che definiscono il disagio psichico come

problema esclusivamente da “gestire” e non da “comprendere”. Secondo l’autore, l’introduzione di questa normativa sanitaria indica “il riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato”507 e introduce una

importante novità data dalla “scomparsa del concetto giuridico di “pericolosità” del malato mentale, da cui si deduceva la necessità di custodirlo e quindi di violentarlo e reprimerlo.”508

Il fatto che questa legge si opponga alla creazione di nuove strutture segreganti secondo Franco Basaglia, capovolge l’ottica tradizionale della psichiatria, che si trova nella condizione di dover affrontare, per la prima volta, chi soffre di disturbi psichici senza lo schermo della “custodia”. In questa nuova prospettiva lo psichiatra rileva che, “in caso di ricovero ospedaliero, la discriminante circa la qualità dell’intervento non risulta più il “malato” in base alla gravità e alla pericolosità della sua “malattia”, ma l’organizzazione sociale in base alla sua capacità o meno di rispondere ai bisogni e ai diritti del cittadino, nella salute e nella malattia”.509 La legge in oggetto, oltre a proibire la costruzione di nuovi ospedali

psichiatrici e prevedere la graduale eliminazione di quelli attualmente in uso, è, per uno dei sui massimi fautori, il risultato di una “rottura pratica della logica dell’emarginazione di classe implicita nell’esistenza stessa del manicomio”.510 L’assistenza ai malati di mente, grazie all’arrivo della legge quadro, non viene più

gestita come nel passato e, “ciò che è interessante, nello spirito della legge, è che non si parla più di pericolosità. La diagnosi secondo cui il malato mentale è pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo non può più essere accettata.”511

Pertanto Franco Basaglia ritiene necessario collocare la persona malata di mente, dentro la medicina, perché così si prende atto che il malato di mente non rappresenta un pericolo. Per questo motivo deve essere posto assieme agli altri malati: “succede dunque che il cosiddetto malato di mente non è una persona che soffre, una persona che si trova in una situazione di disagio, ma appunto è un “malato” di mente.”512 In senso

conforme sono le parole di Michel Foucault: “se la malattia mentale viene definita per mezzo degli stessi metodi concettuali della malattia organica, se i sintomi psicologici vengono isolati e raggruppati allo stesso modo dei sintomi fisiologici, ciò è dovuto anzitutto al fatto di considerare la malattia, mentale o organica, come una essenza naturale che si manifesta attraverso sintomi specifici.”513

Alla luce di quanto precedentemente esposto, Franco Basaglia ritiene importante la soppressione dei manicomi perché sostiene che la malattia mentale debba rientrare nella vasta area della medicina. Luigi Onnis evidenzia, tuttavia, il pericolo che l’effetto di questa riforma possa essere quello di far sopravvivere il manicomio “anche là dove è fisicamente in estinzione, attraverso l’uso di strumenti culturali e operativi che ne ripropongono l’ideologia: l’uso indiscriminato di psicofarmaci, la costituzione di comunità terapeutiche residenziali che spesso si trasformano in nuovi ghetti per cronici, [...] l’utilizzazione di strumenti terapeutici puramente finalizzati al controllo, sono tutte modalità di intervento che di nuovo espropriano la sofferenza di ogni significato”.514

La legge 180 prevede un maggior potenziamento dei servizi psichiatrici territoriali rispetto al passato e prevede anche un’organizzazione diversa dei servizi psichiatrici ospedalieri, affidati alle U.S.L. dal 1980.

505 Ibidem.

506 L. Onnis, Franco Basaglia: continuità della memoria, continuità dei percorsi, in “Psicobiettivo. Rivista quadrimestrale di

psicoterapie a confronto”, pp. 13-14.

507 F. Basaglia, Scritti II 1968-1980. Dall’apertura del manicomio alla nuova legge sull’assistenza psichiatrica, Einaudi, Torino,

1982, p. 468.

508 Ibidem. 509 Ibidem. 510 Ivi, p. 469.

511 F. Basaglia, Scritti II 1968-1980. Dall’apertura del manicomio alla nuova legge sull’assistenza psichiatrica, Einaudi, Torino,

1982, p. 479.

512 Ibidem.

513 M. Foucault, Malattia mentale e psicologia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997, p. 7.

514 L. Onnis, Franco Basaglia: continuità della memoria, continuità dei percorsi, in “Psicobiettivo. Rivista quadrimestrale di

Bisogna tuttavia tener presente che la legge 180 entrò in vigore “in una situazione di quasi totale mancanza di strutture psichiatriche assistenziali, di scarsa progettualità, di meccanismi e procedure burocratiche lente, di mancata integrazione tra servizi e bisogni del paziente e dei suoi familiari.”515

Si è assistito, nel 1978-1980, ad una fase iniziale di crescita di presidi territoriali, poi si è verificato un netto rallentamento negli anni successivi e “ci si è trovati a dover dimettere dagli ospedali psichiatrici pazienti per i quali non esistevano ancora possibilità e strutture di reinserimento. Ci si è dovuti confrontare con situazioni nelle quali gli unici interventi possibili erano quelli farmacologici, con conseguente abbandono del paziente, sovraccarico familiare, livelli di vita non certo migliori di quelli offerti dal manicomio.”516

Lo sviluppo della riforma psichiatrica fu ulteriormente limitato dalla profonda crisi economica e sociale che coinvolse l’assistenza sanitaria italiana dalla metà degli anni Ottanta.

La legge 180 è stata ed è tuttora oggetto di grandi dibattiti. Anche l’oncologo Umberto Veronesi, da ministro della sanità, è intervenuto sull’argomento sostenendo che “dalla legge sulla chiusura dei manicomi ad oggi sono trascorsi esattamente 22 anni durante i quali la psichiatria italiana ha fatto innegabili progressi, facendo tesoro delle importanti acquisizioni nel campo delle neuroscienze, di un più attento utilizzo delle discipline psicologiche e di una progressiva applicazione di nuove regole etiche a tutela dei diritti dell'ammalato quali il consenso, la formazione al lavoro, la contrattualità.”517

Tuttavia bisogna prendere atto dell’esistenza di problemi piuttosto rilevanti che Veronesi riassume in sei grandi temi:

“- Lo "stigma" che ancora investe, con un'ombra triste di distacco e di isolamento, non solo il malato ma tutta la sua famiglia.

- Il peso sempre meno sopportabile per le famiglie, che è andato inevitabilmente aumentando dalla riforma in poi, e che costituisce il disagio sociale e umano più rilevante.

- La disarticolazione tra intervento medico e intervento socio-assistenziale, specialmente evidente nei malati gravi, nei malati destinati alla cronicità, nei malati anziani, nei malati soli, nei malati in difficoltà economica.

- La persistenza e il funzionamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e la modalità di gestione dei problemi psicopatologici nelle carceri.

- L'insufficienza di risorse destinate alla formazione del personale e alla ricerca scientifica. - Una attenzione carente ai problemi della salute mentale in età evolutiva.”518

La salute mentale è definita da Umberto Veronesi come “il prodotto di una costruttiva interazione tra i bisogni del singolo e le necessità del suo contesto relazionale. Di conseguenza il recupero della salute mentale, quando venisse a perdersi, non può avvenire che attraverso un'azione da parte di diverse discipline, le quali conducano al ripristino delle capacità relazionali del singolo e alla riappropriazione della Sua identità, della Sua capacità decisionale e in ultima analisi della Sua libertà personale.”519

All’interno di chi critica la legge 180, scrive Berlinguer, “c’è chi sostiene che la chiusura dei manicomi ha segnato un incremento dei ricoverati nei manicomi criminali. Ciò non è esatto: in essi vi è una popolazione sostanzialmente stabile, di circa mille presenze all’anno. Sono molti, ma non più di ieri, e il vero problema da affrontare è la loro condizione.”520

Sempre all’interno di chi si oppone alla legge 180 si trovano persone che “hanno chiesto, in un appello firmato da molti degni cittadini e pubblicato su un’intera pagina nel quotidiano “Il Messaggero” (7 maggio 2000) la modifica della legge n. 180 perché essa escluderebbe misure coattive, anche se necessarie, ed avrebbe abolito la patologia mentale cronica.”521

E ancora Berlinguer afferma: “nella realtà tali situazioni sono contemplate, e il ricovero coatto non è mai stato soppresso. Esso è ora divenuto meno arbitrario, applicando tutto intero l’articolo 32 della

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