PARTE TERZA L’ambito socio-sanitario
SEZIONE “DAY – HOSPITAL”
pieno (giorno e notte), ma, poi, con l’abolizione del ricovero, solamente dalla mattina alla sera.
SEZIONE DI RIABILITAZIONE NEURO-FUNZIONALE
La Sezione Riabilitativa effettuava, con opportune strutture e con équipe di lavoro residenziali ed itineranti, la sua attività riabilitativa ai minori da zero ai 18 anni.
Quest’ultima era volta al recupero funzionale degli organi di movimento dei soggetti colpiti da handicap congeniti od acquisiti, e ad essa vi era preposto un medico fisiatra, il quale era responsabile dell’attuazione dei programmi terapeutici, ne valutava i risultati, aggiornava le cartelle del paziente ed era vigile sul lavoro del personale a lui affidato.
Le varie attività, che normalmente erano svolte all’interno dei locali del Servizio, a Cusighe, e dove era possibile presso le sedi dei Distretti, comprendevano sia la seduta con il bambino in cui agiva la singola persona, sia la formazione di gruppi terapeutici (sempre con finalità riabilitativa) svolta anche da due terapisti contemporaneamente.
In qualche caso, inoltre, le terapiste operavano direttamente sul territorio realizzando il loro lavoro nell’ambiente nel quale il bambino viveva, come nella scuola materna e nell’asilo nido.
Tutte queste attività erano poi verificate all’interno di sedute di sintesi con l’équipe e richiedevano dei colloqui con i genitori e con gli insegnanti del bambino, per fare un lavoro coordinato e soprattutto uniforme.
SEZIONE “DAY – HOSPITAL”
La Sezione “Day-hospital” per bambini fino ai 14 anni portatori di handicap medio-gravi e gravi residenti nel territorio che dipendeva dall’U.S.L. di Belluno598, accoglieva nella sede del Servizio diurno
(dalle 9.00 alle 17.00) coloro che avevano bisogno, per il loro tipo di handicap o per la situazione familiare (esaminata dal Direttore e dall’assistente sociale che ne facevano un quadro preciso), dietro delibera del Comitato di Gestione, su proposta del direttore.
Il trasporto dei minori al day-hospital ed alle sedi dove si attuava la riabilitazione era curato dall’U.S.L. con la collaborazione dei Comuni. V’erano, infatti, dei pulmini che passavano la mattina a prendere i ragazzi e che la sera rifacevano il giro per riportarli a casa.
Il personale addetto all’assistenza diurna era costituito da assistenti educatrici, infermiere professionali ed ausiliarie. L’organizzazione dei turni di lavoro per il personale d’assistenza e ausiliario e le funzioni amministrative erano svolte da un Capo servizio responsabile, secondo le direttive del Direttore. Questi, inoltre, curava in modo particolare l’assistenza agli handicappati gravi e riferiva al Direttore le eventuali necessità, tenendo conto anche delle informazioni date dai parenti.
Nel marzo del 1989 il referente di tutti i soggetti frequentanti il Day-Hospital era uno dei neuropsichiatri del Servizio di Riabilitazione Funzionale, al quale dovevano rivolgersi le educatrici per ogni caso. Era questo, successivamente, che si occupava d’interpellare, a seconda del problema, lo psicologo, la testista o l’assistente sociale. Si faceva carico, inoltre, dei colloqui coi genitori e con la scuola dopo aver discusso il caso in una riunione di sintesi con gli operatori che conoscono il bambino.599
Dei casi bisognosi d’assistenza a causa della gravità della loro patologia si occupava soprattutto il personale infermieristico. Il Direttore del Servizio di Riabilitazione Funzionale, invece, stabiliva e controllava i programmi d’assistenza e riabilitazione.
Il day-hospital erogava le seguenti prestazioni600 in base alle necessità e le potenzialità di ciascun utente:
L’assistenza igienico-sanitaria attuata secondo le proprie competenze professionali dal neuropsichiatria infantile, dall’assistente sanitaria visitatrice, dal personale infermieristico e da quello ausiliario;
La riabilitazione fisioterapica, logopedia e psicomotoria effettuata dai terapisti delle équipe di neuropsichiatria per l’età evolutiva;
Le attività educative per lo sviluppo ed il mantenimento dell’autonomia personale (lavarsi, vestirsi, mangiare, tenersi puliti, ecc.) svolte dalle educatrici con la supervisione delle équipe di neuropsichiatria, in particolar modo per quanto riguardava il necessario coinvolgimento delle famiglie;
598 L’U.S.L. n.3 di Belluno comprendeva, negli anni ’80, i territori del Bellunese, dell’Alpago, dello Zoldano.
599 U.L.S.S. n.3 di Belluno, protocollo n.67 del 20.3.89., Chiarificazione dei rispettivi ruoli dei membri dell’équipe nella gestione dei casi del Day-Hospital.
600 U.L.S.S. n.3 di Belluno, delibera del Comitato di Gestione n.151 del 7.2.89, Nuovo Regolamento del Servizio di Riabilitazione Funzionale.
Le attività educative per lo sviluppo affettivo e delle relazioni interpersonali e sociali con l’ambiente familiare e scolastico realizzate dalle educatrici, in base alla collaborazione delle équipe di neuropsichiatria con il settore sociale;
La vigilanza dei minori organizzata dal personale infermieristico con la collaborazione del personale ausiliario.
Il day-hospital era inserito nel contesto dei servizi riabilitativi, formativo-educativi, socio-assistenziali del territorio, con i quali era funzionalmente collegato; al suo interno era previsto anche il servizio mensa.
L’attività in piscina a favore degli utenti del day-hospital, veniva svolta dalle terapiste e dalle educatrici secondo finalità riabilitative o educative, con la sorveglianza dell’infermiera o dell’ausiliario socio-sanitario. In questo servizio, in pratica, si cercava d’organizzare con ciascun soggetto il tipo d’intervento ritenuto più idoneo, per cui sono stati realizzati, con il sostegno e la guida delle educatrici, diversi tipi di attività, quali interventi educativi individuali o di gruppo, svolte all’interno o all’esterno del Centro; integrazione parziale nella scuola di soggetti non scolarizzabili (ad esempio inserimenti in scuole materne, elementari e medie, e gruppi d’animazione sul territorio);601 attività in piscina; incontri con le famiglie e le scuole;
verifiche periodiche del lavoro con l’équipe.
In collaborazione con il Coordinamento Sociale furono, inoltre, programmati gli interventi indispensabili per l’inserimento scolastico di bambini portatori di handicap, previsti dalla Legge Regionale n.46 del 1980: presenza di un’assistente nella scuola per bambini con particolare situazione psico-fisica, ed aiuto pomeridiano da parte di un insegnante per lo svolgimento dei compiti scolastici.
Le finalità educative delle varie attività erano principalmente lo sviluppo della socializzazione e dell’autonomia del ragazzo, poiché “con soggetti così gravi, infatti, era molto difficile porsi degli obiettivi più specifici nel campo dell’apprendimento.”602
La dimissione dei soggetti dal Day-Hospital avveniva di norma al compimento del quattordicesimo anno d’età, dopodiché erano inseriti in altre strutture secondo la patologia presentata, ad esempio presso il Centro Occupazionale dell’E.N.A.I.P. di Belluno oppure la “Casa del Sole”603 a Ponte nelle Alpi.
Non era possibile elevare l’età limite di frequenza al Day-Hospital, come i genitori auspicavano604,
poiché, indipendentemente dalla gravità dell’affezione dell’utente e della reale età mentale, ci si trovava di fronte a problemi importanti di convivenza fra classi d’età molto differenti; inoltre le problematiche poste cominciavano ad essere di tipo adolescenziale ed adulta con difficoltà di gestione da parte di personale specializzato per l’età evolutiva.
6.3.4. Il lavoro d’équipe
Gli operatori di neuropsichiatria e riabilitazione per l’età evolutiva agivano, integrando le rispettive competenze, divisi in due équipe formate ciascuna dalle seguenti figure professionali:605 neuropsichiatria
infantile; psicologo; assistente sociale; testista (consulente per ambedue le équipe); assistente sanitaria; psicomotricista per la riabilitazione funzionale della psicomotricità; logopedista per la riabilitazione del linguaggio; fisiochinesiterapista per la riabilitazione neuromotoria; assistenti educatrici.
Il compito di coordinare il gruppo di professionisti era stato affidato al neuropsichiatria infantile, mentre quello amministrativo delle équipe all’assistente sanitaria.
Alle riunioni collettive doveva partecipare anche il fisiatra dell’età evolutiva.
L’attività ambulatoriale delle équipe era attuata presso le sedi dei distretti sanitari di base, nelle località stabilite dal responsabile del Distretto.
Le funzioni delle équipe erano la consulenza neuropsichiatria, fisiatrica, psicologica e di assistenza sociale finalizzata alla prevenzione ed alla diagnosi precoce dei disturbi e degli handicap che potevano compromettere il processo di sviluppo del minore, con particolare impegno per le fasi più precoci della vita; e la “presa in carico” di soggetti con problemi di tipo relazionale, d’apprendimento, neuromotorio, psicomotorio, di linguaggio e di svantaggio sociale.
601 Nell’anno scolastico ’85-’86, ad esempio, un ragazzo è stato affiancato da un’educatrice presso il Centro Professionale per
handicappati dell’E.N.A.I.P. a Ponte nelle Alpi, una bambina è stata seguita presso una scuola materna di Belluno ed è stato, inoltre, organizzato un gruppo di animazione con ragazzi della suola media dell’Alpago in cui è stato inserito un bambino con grave handicap psichico.
602 Ibidem.
603 Ex-preventorio Provinciale adibito, in quegli anni, di laboratori protetti. 604 U.L.S.S. n.3 di Belluno, protocollo n.19 del 28.1.92, Adeguamento personale.
605 U.L.S.S. n.3 di Belluno, delibera del Comitato di Gestione n.151 del 7.2.89, Nuovo Regolamento del Servizio di Riabilitazione Funzionale.
Queste funzioni erano svolte in collaborazione con i pediatri di base e di medicina preventiva, con le famiglie, con la scuola e con tutte le strutture sanitarie e sociali del Distretto sanitario di base.
Riguardo alla cooperazione con la scuola, questa doveva effettuarsi: in base alle direttive previste dal Protocollo d’Intesa stipulato tra l’U.L.S.S. ed il provveditorato agli Studi; secondo programmi d’attuazione concordati con le direzioni didattiche e le presidenze, soprattutto riguardo ai controlli e le verifiche della “diagnosi funzionale” necessari per l’impostazione dell’attività didattica; in collegamento con il Settore Sociale, specie per quanto riguardava il personale (educatori professionali, animatori, addetti all’assistenza).
Le équipe potevano avvalersi delle consulenze specialistiche del Presidio Ospedaliero. Successivamente all’assenso del presidente del Comitato di Gestione era possibile, inoltre, presentare ricorso per i casi particolari a consultori qualificati d’altre U.I.L.D.M.
Nell’aprile del 1989 l’Ufficio di Direzione, in rispetto dell’articolo 6 del Nuovo Regolamento,606
suddivise il territorio dell’U.L.S.S. n.3, in base alla popolazione dei minori, nelle seguenti due zone operative delle équipe di neuropsichiatria e di riabilitazione:607
Zona Nord comprendente i Distretti n.4 (Longarone) e n.5 (Puos d’Alpago), la parte nord del Distretto Sanitario n.1 (Ponte nelle Alpi e Soverzene) e per il Comune di Belluno il quartiere n.2 (Castionese, Levego e Sagrogna) e quello n.3 (Oltrardo);
Zona Sud comprendente i Distretti n.2 (Mel) e n.3 (Sedico), la parte sud del Distretto n.1 (Limana) e per il Comune di Belluno il quartiere n.1 (Centro), il n.4 (Bolzano e Tisoi) ed il n.5 (Sois, Bes, Mier e Salce).
6.3.5. Il Servizio di Neuropsichiatria Infantile
A decorrere dal primo gennaio 1993, fu data formale attivazione al Servizio di Neuropsichiatria Infantile (come previsto dal Piano regionale socio-sanitario 1989/1991 approvato con legge regionale n.21/1989), in considerazione soprattutto che il settore principale del Servizio di Riabilitazione Funzionale era quello neuropsichiatrico-psicologico.
La nuova e più adeguata definizione sostituì quella di Servizio di Riabilitazione Funzionale dell’Età Evolutiva, ma le competenze, l’utenza cui si rivolgeva, le modalità d’intervento ed i rapporti con le altre strutture erano, in quel momento, esattamente le stesse fino ad allora svolte dal servizio: ambito psicologico e neuropsichiatrico rivolto all’età evolutiva (da 0 a 18 anni); attività di terapia e di riabilitazione fisiochinesiterapica e logopedia; stimolo delle capacità psicomotorie; attività di Day-Hospital per portatori di handicap (fino al 30 giugno del 1993)608; attività d’intervento a livello scolastico riguardo all’handicap;
attività di prevenzione diretta ad operatori scolastici, socio-sanitari e genitori.
Questo era un servizio ospedaliero funzionalmente autonomo e riconosceva come responsabile dal punto di vista organizzativo-funzionale il responsabile del Settore Materno Infantile.609
6.4. Conclusioni
Con questo mio lavoro di ricerca610 ho tentato di fornire, attraverso la ricostruzione di quasi 40 anni di storia dell’attuale Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile di Belluno, uno strumento per sopperire alla mancanza di una memoria storica che possa contribuire a conferire una più precisa identità a quest’istituzione.
606Art.6 del nuovo Regolamento del S.R.F. di Cusighe, deliberato il 7.2.89,L’Ufficio di Direzione stabilisce le zone operative delle équipe in base alla popolazione dei minori.
607 Ufficio di Direzione dell’U.L.S.S. n.3 di Belluno, seduta del 13.4.89, Settore Materno Infantile ed Età Evolutiva: determinazione delle zone operative delle due équipe di neuropsichiatria, art.6 del Regolamento del S.R.F.
608 U.L.S.S. n.3 di Belluno, protocollo n.14290 del 26.6.93, “Istituzione di un Centro diurno unificato per portatori di handicap con
sede a Cusighe.”
609 Come indicato nel Piano socio-sanitario regionale 89/91.
610 Per ovviare alla mancanza di materiale bibliografico e documentario, ed avere una serie d’informazioni ed impressioni di carattere
generale sugli aspetti salienti dell’area socio-sanitaria in questione, sono state realizzato interviste ad un campione rappresentativo di operatori, privilegiando coloro che hanno svolto la loro attività, o la svolgono tuttora, nell’ambito educativo (educatrici e maestre), e cercando di coprire, con le varie testimonianze, tutto l’arco di tempo che va dall’apertura dell’Istituto, nel 1963, all’attuale Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile. Le interviste erano “libere”, nel senso che si procedeva seguendo un semplice elenco d’argomenti prefissati (dati biografici, ruoli ricoperti, fatti rilevanti quali cambi di gestione o di prassi riabilitative, persone significative, pareri, opinioni e aneddoti), ma si lasciava libero l’intervistato di dire ciò che voleva, anche aggiungendo elementi non strettamente inerenti la domanda. Il vantaggio dell’intervista libera è duplice: da un lato l’intervistatore è padrone di impostare e di condurre l’intervista come reputa opportuno, ponendo di volta in volta quelle domande che ritiene significative e, quindi, funzionali ai fini della sua particolare indagine; dall’altro, l’intervistato non si sente ingabbiato in un percorso discorsivo rigido, e risponde con maggiore attenzione, precisione e passione alle domande poste.
Dialogando, infatti, con la testista ed il neuropsichiatra infantile responsabile dell’Unità, ho potuto costatare che presso la popolazione bellunese si riscontrano, ancora oggi, dei pregiudizi che frenano l’accesso a questo Servizio.
Questi sono legati in parte ai timori che la disabilità psico-fisica e mentale suscitano, in parte alla storia stessa dell’istituzione, nata, nei primi anni ’60, come luogo in cui vivevano i soggetti con handicap, allontanati dalla loro famiglia e dall’ambiente esterno.
Inizialmente l’Istituto Medico Psico-Pedagogico di Cusighe era un servizio rivolto a finalità interne, che assisteva i bambini, dai 6 ai 14 anni, che presentavano importanti problemi di tipo psicologico-mentale, con o senza disabilità fisica, associate spesso a condizioni familiari molto difficili (povertà, isolamento sociale, scarso livello culturale, degrado morale). Alla funzione diagnostica si associava l’attività assistenziale.
A partire dalla seconda metà degli anni ’70, si verificò una graduale apertura del servizio verso l’esterno, grazie allo sviluppo di un modello operativo orientato anche verso l’intervento terapeutico sull’ambiente.
L’Istituto iniziò, così, a coltivare una nuova rete di rapporti che lo coinvolsero in una realtà più ampia e complessa che chiamò in causa, in modo particolare, la famiglia e la scuola.
Favorita dai vari cambiamenti culturali, inerenti alle problematiche dell’handicap e della salute mentale, la capacità operativa dell’istituzione mutò, evolvendosi sempre più, sia dal punto di vista istituzionale, sia dal punto di vista organizzativo e funzionale.
Si assisté al reinserimento dei bambini nelle loro famiglie, con l’attuazione delle direttive dei piani socio- sanitari regionali e delle disposizioni di legge, fondamentali per il riconoscimento e l’integrazione del bambino portatore di handicap all’interno delle scuole del Comune di provenienza.
Si arrivò, inoltre, nel 1982, alla conseguente e necessaria soppressione della degenza dei fanciulli in Istituto. Successivamente venne istituito, grazie alla ristrutturazione interna dell’edificio, un Servizio di Riabilitazione Funzionale dell’Età Evolutiva, più idoneo al soddisfacimento delle nuove esigenze assistenziali.
I cambiamenti più significativi, occorsi negli anni successivi, riguardarono la modifica della denominazione dell’istituzione, che diventò, nel gennaio del 1993, Servizio di Neuropsichiatria Infantile, conferendole così un’identità più specifica ed adeguata.
Nello stesso anno, inoltre, la sezione di “Day-Hospital”, all’interno della quale erano rimasti ancora pochissimi bambini, essendo stati inseriti quasi tutti nelle strutture del paese d’origine, passò sotto la gestione del Settore Sociale, dando al Servizio una connotazione di carattere maggiormente sanitario.
Oggi la struttura è denominata Unità Operativa Autonoma di Neuropsichiatria Infantile e si colloca all’interno del Dipartimento di Pediatria dell’U.L.S.S. n.1 di Belluno. Le sue funzioni restano di diagnosi, cura e riabilitazione per soggetti da zero a 18 anni d’età per i quali si sospetta o è noto un disturbo associato a fattori neurologici, psicologici e socio-ambientali. In ottemperanza alle disposizioni della legge quadro sull’handicap n. 104/1992 e del D.P.R. del 24 febbraio 1994, questa struttura offre consulenza alla scuola per l’integrazione dei soggetti portatori di handicap.
A mio parere, l’Unità Operativa offre alla gente un servizio fondamentale, di carattere ambulatoriale- riabilitativo e di consulenza scolastica che, favorendo un intervento precoce, può migliorare la qualità della vita, non solo degli utenti, ma anche delle persone che ruotano intorno agli stessi, come i familiari e gli insegnanti.
Inoltre rivolgere le energie verso fasce d’età quanto più possibili precoci, consente di ridurre gli eventuali danni in età matura, realizzando, così, indirettamente, anche un intervento di tipo preventivo.
Ritengo che, dal punto di vista organizzativo e funzionale, l’Unità Operativa operi positivamente, ma che, nonostante gli sforzi fatti in passato, volti a migliorare l’immagine dell’istituzione, questa rimanga connotata negativamente presso la popolazione, anche a causa della sua posizione. Essa, infatti, è collocata nell’area attigua al Centro Multizonale residenziale per soggetti gravi adulti e ad un Day-Hospital sempre per utenti con gravi handicap. Per questo, quando il genitore viene indirizzato a rivolgersi a questa struttura, nel suo immaginario scatta già l’idea di gravità ed handicap.
Sarebbe utile, quindi, investire maggiormente gli sforzi nell’informare la popolazione su “cosa è e come opera oggi” l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile di Cusighe, al fine di correggere l’immagine non corrispondente alla realtà attuale.
Per avviare il progetto e realizzare tale scopo, è necessario conoscere bene, prima di tutto, la popolazione interessata, le sue convinzioni, le sue aspettative, le sue speranze, i suoi timori e perplessità.
Una strategia possibile, ad esempio, potrebbe essere quella di svolgere un’indagine sul territorio provinciale attraverso un’inchiesta rivolta ad un campione rappresentativo della popolazione, con l’ausilio di questionari o, meglio ancora, di interviste.
La speranza è che la popolazione possa finalmente considerare tale struttura come una grande risorsa a loro disposizione, senza fare distinzioni rispetto ad altri Servizi ospedalieri di diagnosi e cura, dove accedono senza pregiudizi.
Si otterrebbe, così, un miglioramento del rapporto fra servizio e comunità, che si rifletterebbe anche sulla qualità del lavoro, garantendo un approccio più sereno all’Unità Operativa da parte dei bellunesi ed una maggiore efficacia dell’intervento.