PARTE TERZA L’ambito socio-sanitario
5. L’assistenza psichiatrica e le istituzioni manicomiali: cenni storici e legislativi (Daniela Baraldo)
5.3. Istituzioni totali ed assistenza psichiatrica in Veneto nella seconda metà dell’Ottocento
5.3.1. Panoramica del Triveneto
Passando a considerare la situazione veneta e, in particolare, il contesto storico nel quale sorse il Manicomio Provinciale di Padova, ritengo doveroso compiere un passo indietro per rievocare quando, a seguito della caduta della Repubblica di Venezia, il Veneto subì la dominazione degli austriaci che imposero la cultura tedesca nel territorio.
Nel 1815 il Congresso di Vienna, “liquidato Napoleone, consacrò la rivincita dei conservatori e fra le misure di controllo che dovevano tenere a bada le perniciose ideologie libertarie francesi ci fu anche quella di controllo dei malati di mente, ritenuti categoria inaffidabile”.440
Il compito di assistere i malati di mente fu attribuito allo stato che impose ad ogni regione di avere un manicomio, “così nel Lombardo-Veneto vennero creati il manicomio della Senavra a Milano, quello di San Servolo in un’isola di Venezia”.441
434 Ivi, p. 17. 435 Ivi, pp. 17-18.
436 H. Ey, P. Bernard, C. Brisset, Manuale di Psichiatria, Masson, Milano, 1993, p. 1131.
437 P. Guarnieri, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1991, p. 22. 438 Ivi, p. 23.
439 Ivi, p. 30.
440 L. Massignan, Appunti sulla storia della Psichiatria padovana, in “Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della
provincia di Padova”, n. 8, anno 2001, p. 16.
A tal proposito, in un commento a corredo di un’indagine statistica svolta dal dottor Salerio, medico presso il manicomio di San Servolo, riguardante il triennio 1868-1869-1870 della vita nel Manicomio centrale maschile in San Servolo di Venezia, l’autore442 espresse i seguenti timori: “si verrà a cambiare il
carattere di questi asili curativi, in asili di incurabili e di ricovero, si declinerà dallo scopo, e verrà un momento che la Società reclamerà per la reclusione di furiosi, di pericolosi, ecc., si verrà a progetti per nuovi manicomii e per nuove succursali.”443
Le province inviavano malati cronici o incurabili e non tutti i malati di mente, perché “prima di tutto, pel furioso ogni medico degli ospitali provinciali ha maggiori speranze che pel cronico, e poi il cronico costa di più all’ospitale provinciale, perché sucido le più volte, perché bisognoso di maggior ajuto, mentre il furioso bene incamiciato e qualche volta legato ad un letto, non esige continuo ajuto e dà lusinga di guarigione.”444
Nell’indagine statistica successiva, riguardante gli anni 1871-1874, l’autore evidenziò come “in questo triennio entrarono in San Servolo 133 pellagrosi, mentre nell’anteriore furono 86. Come dei pellagrosi fu superiore di 85 il numero delle ammissioni dei pazzi in genere; quello degli usciti sorpassò malgrado i molti cronici che si aggiunsero ai già esistenti nel Manicomio. La mortalità fu maggiore di quella del triennio antecedente, ma è a notarsi che fu maggiore di 85 anche il numero di accolti.”445
Prima dell’avvento degli Austriaci, nel Veneto non erano presenti i manicomi e i malati di mente generalmente vivevano a casa oppure insieme a vagabondi ed emarginati. Sotto il dominio degli Austriaci, San Servolo accolse al suo interno i malati che affluivano da tutto il Veneto. Un fondo regionale provvedeva a sostenere le spese di questa struttura e anche quelle di altri servizi di assistenza e di ordine pubblico.
Quando nel 1866 il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia, la competenza di fornire un’assistenza ai mentecatti, venne affidata alle province le quali, “venuto meno il fondo regionale austriaco si trovarono gravate da forti spese e decisero di consorziarsi con San Servolo: finanziarono la costruzione di un altro manicomio regionale per le donne nella vicina isola di San Clemente e ne ebbero in cambio un numero di posti letto proporzionale al finanziamento dato.”446
Ben presto ci si rese conto che il numero dei posti non era sufficiente, perché il numero dei ricoveri aumentava; inoltre si stava diffondendo la pellagra, dovuta alla malnutrizione e ad un difetto di assorbimento vitaminico, che si manifestava, oltre che con sintomi periferici cutanei e intestinali, anche con disturbi neurologici e stati confusionali, sovente accompagnati da deliri, che portavano al ricovero manicomiale.
A tal proposito il dottor Salerio affermava: “le provincie ben s’avvedono che lo scarico ai manicomii centrali è insufficiente, non solo a torre agli ospitali la zavorra delle divisioni maniaci, od a renderle veramente stazioni di passaggio pei malati bisognosi di cura, ma ad ostare all’aumento della popolazione delle divisioni medesime.”447
Per ovviare a questo problema, si pensò di aprire appositi ospedali, detti “pellagrocomi”, per poter fornire un’assistenza specifica e liberare i manicomi da un affollamento ormai insostenibile448.
Dalla fine dell’Ottocento, dunque, le amministrazioni provinciali venete furono impegnate sul versante dell’assistenza: il problema principale erano le ingenti spese sostenute.
La provincia di Udine, subito presa ad esempio dalle altre, era riuscita a trovare il modo per risparmiare sulle rette dei degenti, inviando a San Servolo solo i degenti pericolosi ed agitati, e mantenendo quelli tranquilli in ambiente rurale, impiegandoli in lavori agricoli sul terreno annesso alle case chiamate di salute, entro le quali veniva garantita un’adeguata assistenza medica e psichiatrica.
Così le province del Veneto presero accordi con gli ospedali periferici perché organizzassero delle case di salute, la cui spesa veniva ad essere molto inferiore rispetto a quella di San Servolo. La prima convenzione
442 Il dottor Salerio, cfr. F. Coletti, A. Barbo Soncin, Tavole statistiche triennali 1868-69-70, del Manicomio centrale maschile in San Servolo di Venezia, in “Gazzetta Medica Italiana Provincie Venete”, Anno Decimoquarto, Padova, Stab. di P. Prosperini 1871, p.
265.
443 F. Coletti, A, Barbo Soncin, Tavole statistiche triennali 1868-69-70, del Manicomio centrale maschile in San Servolo di Venezia,
in “Gazzetta Medica Italiana Provincie Venete”, Anno Decimoquarto, Padova, Stab. di P. Prosperini 1871, p. 265.
444 Ibidem.
445 Ivi, pp. 188-189. 446 Ibidem.
447 F. Coletti, A. Barbo Soncin., Tavole statistiche triennali 1868-69-70, del Manicomio centrale maschile in San Servolo di Venezia,
in “Gazzetta Medica Italiana Provincie Venete”, Anno Decimoquarto, Padova, Stab. Di P. Prosperini 1871, p. 265.
448 Questo flagello si protrarrà fino alla guerra del 1915-18 quando la presenza dell’esercito italiano nel Veneto contribuì ad
estinguerla: “i soldati, in gran parte di origine contadina, notando la miseria e malnutrizione popolare distribuivano le loro razioni ricche di proteine, che si aggiunsero alla distribuzione di viveri attuate dalle amministrazioni nelle mense popolari. La pellagra si estinse rapidamente.” In L. Massignan, Appunti sulla storia della Psichiatria padovana, in “Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Padova”, n. 8, anno 2001, p. 16.
fu fatta con l’ospedale di Noventa Vicentina nel 1890 e poi vennero presi accordi con Lonigo, Montecchio, Monselice, Conselve. Da questi accordi gli ospedali periferici traevano un notevole vantaggio, “perché la provincia era un buon pagatore e gli incassi sicuri venivano per quanto possibile utilizzati per migliorare gli ospedali.”449
Da tutto questo emergeva, però, un elemento preoccupante: “gli amministratori e anche buona parte del personale erano convinti che l’assistenza data fosse del tutto accettabile. Avevano un letto, alimento, vestito e riscaldamento, e anche qualche svago. Non importava che passassero tutta la giornata inerti dentro un cortile o un unico stanzone, che dormissero in dormitori spogli di qualsiasi oggetto, privi di qualsiasi segno di riconoscimento personale, che venissero al mattino lavati con un getto d’acqua perché in gran parte sudici e abituati a defecare a letto.”450
E questo avveniva a causa della convinzione che i malati fossero indifferenti e insensibili, non capissero niente e non soffrissero.
5.3.2. La situazione padovana
La provincia di Padova presentava una situazione diversa da quella descritta finora:
“Padova ebbe come primo vero ospedale quello di San Francesco annesso alla chiesa omonima. Costruito per lasciti privati cominciò a funzionare nel 1400 e rimase l’unico di Padova fino al 1800 quando fu sostituito dall’ospedale giustinianeo che è tuttora parte dell’ospedale civile. Nell’ospedale di San Francesco vi erano degli spazi riservati ai mentecatti furiosi e violenti ma non c’erano medici psichiatri. L’assistenza veniva dai medici comuni. Nei secoli successivi dentro e fuori da ogni porta di Padova (erano 10) c’erano due ospizi o lazzeretti: quelli dentro le mura servivano ai cittadini, quelli fuori mura agli estranei, costituendo una specie di cintura sanitaria di controllo in tempi in cui incombeva sempre il terrore di pestilenze. Ma nessuno di questi ospizi era un vero ospedale e il loro compito era assistenziale in senso lato […]”.451
Purtroppo anche negli ospedali i malati di mente non avevano un luogo riservato e ci volle del tempo prima che si riservasse loro uno spazio differenziato. Soltanto nel 1800 con l’ospedale giustinianeo vennero previste delle aree riservate ai mentecatti, vicino alle zone riservate alle puerpere, meretrici, nubili illegittime, alle aree infettive e mediche-chirurgiche. L’assistenza veniva garantita dai medici di medicina generale e, nell’ospedale civile, i malati venivano usati per esercitazioni didattiche, ricerca ed esigenze dell’università che gestiva gran parte dell’ospedale.
Non era ancora presente un reparto tenuto con professionalità di tipo psichiatrico e non vi era nemmeno un insegnamento universitario di psichiatria: il primo incarico didattico arrivò nel 1867 e ne fu titolare il professor Tebaldi come lui stesso afferma:
“l’insegnamento cominciò col secondo semestre dell’anno 1867; esso figura fra gli insegnamenti liberi universitarii. L’insegnamento è cattedratico ed al letto de’ malati, o col soggetto sotto osservazione nella scuola. Il corso è completo in un anno, con tre ore per settimana di lezione; ed il primo semestre è di solito dedicato allo studio della etiologia, sintomatologia delle malattie mentali, non che alla conoscenza pratica di alcune forme; il secondo allo studio della anatomia patologica, della terapia ed alla pertrattazione delle follie pellagrose in ispecie.”452
Il professor Augusto Tebaldi documenta in un suo scritto l’inizio del lavoro in ospedale come segue: “in essa Memoria453, ricordando come dal 1° Marzo 1867 io assumessi la direzione delle Divisioni dei maniaci
dello Spedale Civico di Padova, descrissi le condizioni nelle quali trovai le Divisioni stesse, il sistema che, eredità degli anni passati, era tenuto dagli infermieri;”.454
Inoltre Augusto Tebaldi solleva un problema fortemente sentito nell’ambito del suo lavoro come lui stesso afferma: “ma il buon volere non bastò a rimuovere tutte le difficoltà che si incontrarono, e si ebbe una nuova conferma che la cura de’ maniaci in un ospitale per le malattie comuni, qualora questo non presenti ricchezza di spazio e di mezzi economici, è cosa pressoché impossibile.”455
449 L. Massignan, op. cit., p. 17. 450 Ibidem.
451 Ibidem.
452 A. Tebaldi, Note statistico-cliniche raccolte nelle divisioni per i maniaci dell’ospitale civile di Padova dal 1867 al 1871, Edizioni
P. Prosperini, Padova, p. 54.
453 Il prof. Augusto Tebaldi si riferisce ad una memoria precedentemente pubblicata intitolata Sopra lo stato de’ maniaci negli Ospitali delle Provincie Venete e proposte di provvedimenti, Edizioni P. Prosperini, Padova, 1871.
454 A. Tebaldi, Note statistico-cliniche raccolte nelle divisioni per i maniaci dell’ospitale civile di Padova dal 1867 al 1871, Edizioni
P. Prosperini, Padova, 1873, p. 6. 455 Ibidem.
In queste parole il professor Augusto Tebaldi evidenzia la grande difficoltà nel dover curare le persone affette da malattie mentali, all’interno di un ospedale per le malattie comuni, per mancanza di spazio e per problemi economici.