• Non ci sono risultati.

OSSERVAZIONE VERIFICA

2. Il laboratorio come risorsa didattica (Daniela Frison)

2.2. Le modalità operative: il metodo didattico del laboratorio nella scuola elementare

2.2.4. Laboratorio e valutazione

Vista la dimensione interdisciplinare del laboratorio e il pieno coinvolgimento intellettivo e motorio nonché emotivo-relazionale che richiede agli allievi, si pone anche per questa attività considerata ancora, talvolta, estemporanea, più che parte del percorso scolastico della classe, l’esigenza di un processo di valutazione.

Come sostengono i Programmi del 1985, infatti, “al fine di assicurare un’effettiva valutazione dei punti di partenza e di arrivo, dei processi, delle difficoltà riscontrate e degli interventi compensativi attuati, gli insegnanti devono raccogliere in maniera sistematica e continuativa informazioni relative allo sviluppo dei quadri di conoscenza e di abilità, alla disponibilità ad apprendere, alla maturazione del senso di sé di ogni alunno”283. Il laboratorio, dunque, coinvolgendo il bambino in una duplice dimensione relazionale e di

apprendimento, merita di essere documentato e valutato in quanto fornisce dati circa la sua evoluzione come individuo e come allievo. Al di là di abilità prettamente manuali che sono esibite da ogni bambino secondo modalità e gradi differenti, il laboratorio è, per gli insegnanti, una valida occasione di osservazione da effettuarsi nel corso dell’attività didattica. La disponibilità al coinvolgimento e il livello di espressione raggiunto dagli allievi nell’ambito di un’attività che assume, rispetto al tempo dedicato alle materie canoniche, una dimensione connotata da maggiore libertà espressiva e di movimento, da una maggiore interazione con l’insegnante o con l’animatore e con i compagni, possono costituire un dato osservabile di notevole portata. La scelta di fotografare o filmare i bambini durante i loro lavori consente, quindi, di disporre di materiale da rivedere e dal quale ricevere dei feed-back e, ancor prima, di valorizzare ulteriormente agli occhi dei piccoli apprendisti il loro impegno.

Uno strumento maggiormente strutturato che potrebbe risultare utile per la valutazione è, sicuramente, il questionario. Esso va, ovviamente, calibrato in base all’età dei bambini coinvolti e può essere somministrato anche agli insegnanti soprattutto qualora il laboratorio sia stato condotto da un esperto esterno.

Emerge, però, dalla letteratura relativa al laboratorio, quanto l’attenzione dedicata al momento della valutazione sia limitata, poiché maggiormente correlata alle materie e ai contenuti ufficiali.

Il tentativo di teorizzare il laboratorio, articolandone e sviluppandone gli aspetti principali nonché mettendone in luce il rilevante contributo didattico, è finalizzato anche a valorizzarne momenti, come quello valutativo, talvolta trascurati.

Alla luce di quanto detto a proposito del laboratorio si evince la complessità delle attività in esso realizzate, attività che coinvolgono il bambino su più fronti: intellettivo, pratico-manuale ed emotivo- relazionale. E’ proprio questo coinvolgimento globale dell’allievo che dovrebbe rappresentare il presupposto per una maggiore attenzione al laboratorio e al contributo che la sua valutazione potrebbe fornire agli insegnanti per acquisire un più completo quadro informativo sulle conoscenze e abilità di ogni alunno.

2.3. Conclusioni

Quando un bambino vede un adulto che fa qualcosa, vuol vedere che cosa fa e poi lo vuol fare anche lui. Questa è la via più diretta per far conoscere qualcosa ai bambini senza tante parole e senza costrizioni. I bambini sono lì pronti e aspettano che qualcosa succeda.

(Bruno Munari) Riepilogando, vediamo quali sono le tappe fondamentali per la giustificazione e l’implementazione di attività laboratoriali nella scuola elementare.

Il Piano dell’Offerta Formativa della nuova istituzione scolastica delineata in seguito alla legge 59/97 sull’autononomia, illustra le finalità istituzionali che la scuola si propone di perseguire, le scelte educativo-

282 R. Pittarello, op. cit., 1996, p. 118.

curricolari adeguate, le relazioni che intrattiene con il territorio e i progetti innovativi che la collegano con l’extrascuola.

L’attenzione si focalizza su molteplici aspetti, dall’intercultura all’apprendimento delle lingue, dall’alfabetizzazione informatica all’educazione affettiva e infine si riconosce diritto di cittadinanza a progetti teorico-operativi come il laboratorio teatrale, le attività manuali, l’animazione alla lettura e quant’altro.

La scuola elementare, dunque, si impegna a garantire uno spazio definito e adeguato ad attività che coinvolgano il bambino nella sua dimensione emotivo-relazionale e stimolino la libera espressione della sua creatività. Il laboratorio rappresenta, dunque, un contesto attivo in cui il piccolo apprendista ha l’opportunità di immergersi nell’esperienza mettendo in gioco le proprie abilità e le proprie relazioni con i compagni in un clima favorevole in quanto collaborativo.

Il percorso storico-critico intrapreso ha permesso di ripercorrere, nell’ambito della filosofia attivistica, proprio le tappe evolutive del laboratorio inteso come opportunità di espressione creativa del fanciullo nonché di gioco interattivo con l’insegnante e con i compagni, in primis, e, secondariamente, con l’ambiente circostante.

Per ogni autore trattato l’attenzione si è focalizzata su concetti cardine del pensiero pedagogico di ciascuno che rappresentassero al contempo i presupposti per l’integrazione del curricolo teorico con occupazioni pratiche valorizzanti l’esperienza diretta del fanciullo.

L’intento deweyano di portare la vita dentro la scuola, ad esempio, costituisce il fondamento della suddetta integrazione. John Dewey mira, infatti, a superare la scissione che il bambino è costretto a subire per il semplice fatto di trascorrere parte della propria giornata all’interno dell’istituzione scolastica e, parte, al suo esterno. Il pedagogista americano sottolinea, infatti, la necessità di condurre i due contesti, scolastico ed extrascolastico, ad essere l’uno il completamento dell’altro affinché l’allievo si senta arricchito dall’esperienza didattica e non da essa aridamente privato delle proprie radici esterne.

Le occupazioni attive rappresentano, quindi, per Dewey, il punto di incontro delle due realtà, nonché l’occasione per valorizzare l’unicità e la specificità di ogni fanciullo.

L’esigenza di integrazione fra scuola ed extrascuola è avvertita anche da Cèlestin Freinet, che si propone, in particolare, di favorire la libera espressione delle attitudini e delle capacità degli allievi.

Il giornalino scolastico, la corrispondenza, la tipografia sono proprio strumenti atti a garantire questa libertà offrendo, così, al fanciullo l’opportunità di vedere riflessa nel lavoro la propria personalità. Il lavoro proposto dal pedagogista francese ai propri alunni si pone, quindi, come finalità principale il sano sviluppo dell’individuo e delle sue facoltà attive e creative.

L’attenzione frenetiana dedicata agli interessi individuali di ogni fanciullo viene ripresa anche dai successivi autori trattati: Édouard Claparède e Ovide Decroly. Per il primo i metodi didattici vanno pensati e costruiti a partire dal fanciullo, dal suo linguaggio e dalle sue attività. Esclusivamente una presa di coscienza rispetto al mondo infantile e alle sue peculiarità può rappresentare il presupposto per la creazione di un gioco interattivo tra insegnante e allievo che sia alla base della scuola su misura delineata dallo psicologo svizzero.

Anche Decroly, a suo modo, postula una scuola a misura di bambino, in accordo con le esigenze di movimento, esperienza ed espressione degli allievi, proponendo cultura ed istruzione accanto ad attività pratiche di gioco e lavoro manuale. Le occupazioni attive sono, infatti, finalizzate a stimolare la curiosità e la sete di conoscenza dei fanciulli garantendo, così, un apprendimento attivo che promuova in essi la capacità d’ iniziativa e di inventiva.

Pur nella specificità delle esperienze realizzate dai pedagogisti presentati, emergono, circa il laboratorio e l’esperienza del fare, presupposti di base condivisi e comuni anche agli “esperimenti” italiani di scuole nuove, realizzati da Maria Montessori, Giuseppina Pizzigoni e Maria Boschetti Alberti. Sia nella Casa dei Bambini che nella Scuola Rinnovata così come nella Scuola Serena, infatti, le attività pratiche trovano, seppur con connotazioni diverse, ampio riconoscimento.

La pedagogista marchigiana propone il lavoro manuale come attività socialmente utile che garantisca il libero sviluppo delle potenzialità artistiche dei bambini. Nell’esperienza montessoriana è, inoltre, prevalente la dimensione sensoriale a cui è direttamente connessa la predisposizione dell’ambiente e dei materiali offerti ai piccoli ospiti della Casa.

Giuseppina Pizzigoni, invece, pone a fondamento dell’esperienza didattica da lei proposta, un metodo sperimentale fondato sull’azione e sulla partecipazione diretta dell’allievo. Nella Scuola Rinnovata, dunque, il lavoro manuale insieme all’insegnamento scientifico vengono gradualmente riconosciuti come strumenti

educativi privilegiati. L’educatrice milanese, inoltre, affianca ad essi le attività espressive che traggono, dal riconoscimento dell’esperienza vissuta dal fanciullo, concretezza e ricchezza di contenuto.

La valorizzazione dell’esperienza individuale rappresenta un presupposto imprescindibile dell’attività didattica anche per Maria Boschetti Alberti che nella sua Scuola Serena intende, in primis, valorizzare la non eccezionalità dell’ambiente contadino e della vita pratica e, inoltre, riconoscere ampio spazio al lavoro libero, modulato secondo le peculiarità di ciascun fanciullo.

Il richiamo alla libertà espressiva del bambino e il rispetto della sua specificità nonché delle attitudini individuali connota dunque sia le esperienze italiane realizzate dalle pedagogiste trattate, sia le esperienze europee ed extraeuropee considerate.

La maggior rilevanza gradualmente riconosciuta alle occupazioni attive, connotate dalla partecipazione diretta del fanciullo, e alla dimensione di scuola-laboratorio piuttosto che di scuola-uditorio emerge, ulteriormente, dall’analisi dei Programmi della scuola elementare. Il profilo dell’insegnante e dell’allievo di volta in volta delineato dal documento ministeriale determina il ruolo e la rilevanza del laboratorio nel curricolo scolastico. Grazie all’influenza dell’attivismo e del pensiero pedagogico deweyano, ad esempio, si assiste al riconoscimento dell’allievo quale centro del processo di apprendimento e non quale semplice ricettore di informazioni come in passato.

La centralità riconosciuta al fanciullo rappresenta il primo passo verso la valorizzazione della creatività e della libertà espressiva che rappresentano i principi primi e, al contempo, le finalità trasversali, del laboratorio. Le attività realizzate nell’ambito del laboratorio, considerato principalmente nell’accezione di esperienza del fare, rispondono al principio della concretezza, poiché si fondano sulla progettazione e sull’azione diretta degli allievi.

Nel quadro descrittivo dell’attuale istituzione scolastica il laboratorio si pone, inoltre, come modalità di collegamento tra i vari insegnamenti concretizzando così l’interdisciplinarietà di cui la scuola contemporanea si fa portatrice. Esso stabilisce, altresì, in un’ottica tutta deweyana, un punto di contatto tra l’allievo e la realtà circostante, una realtà complessa che si arricchisce di esperienze virtuali che necessitano di essere integrate nella vita scolastica del fanciullo poiché troppo elevato sarebbe, altrimenti, il rischio di frammentarietà e astrazione dal contesto di vita in cui egli è abitualmente inserito al di fuori dell’attività didattica.

Il laboratorio, infatti, consente al bambino di esprimere se stesso attraverso il fare e di proiettare nell’attività realizzata la propria esperienza. Il tutto si realizza in una dimensione socializzante, in un contesto che facilita la partecipazione attiva del fanciullo grazie al clima positivo che si può instaurare tra docenti e discenti intorno ad attività in cui prevale l’aspetto pratico. Agli insegnanti spetta, infatti, il ruolo di registi progettuali, di mediatori che valorizzano il laboratorio come metodo didattico finalizzato alla rielaborazione del sapere, all’apprendimento di tecniche nonché ad una full immersion esperienziale che consenta il coinvolgimento globale dell’allievo dal punto di vista intellettivo, manuale-motorio ed emotivo- relazionale.

Alla luce del tentativo di teorizzazione condotto dalla sottoscritta, del percorso storico-critico intrapreso per verificare e valutare l’evoluzione del laboratorio quale connubio di teoria e prassi, e dell’esperienza maturata nella scuola elementare, il laboratorio merita di essere valorizzato quale metodo didattico che consenta una comunicazione dialettica fra scuola ed extrascuola nonché l’effettiva integrazione tra l’esperienza didattica dell’allievo e la sua ricchezza individuale.

PARTE

SECONDA.

L’ambito

dell’educazione

Outline

Documenti correlati