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La nascita delle istituzioni manicomiali nelle esperienze francesi ed inglesi tra Settecento e Ottocento

PARTE TERZA L’ambito socio-sanitario

5. L’assistenza psichiatrica e le istituzioni manicomiali: cenni storici e legislativi (Daniela Baraldo)

5.1. La nascita delle istituzioni manicomiali nelle esperienze francesi ed inglesi tra Settecento e Ottocento

5.1.1. La fondazione della Bicêtre e l’opera di Philippe Pinel

Sono sempre esistiti i matti, i folli, i mentecatti e “la loro pazzia è stata di volta in volta interpretata come di natura diabolica o magica o ispirata; ma in ogni caso era vista come un fenomeno diverso, temibile così da provocare quasi sempre l’emarginazione dalla società”.385 Ed è “impressionante, che fino alla fine del

XVIII secolo non siano esistiti veri ospedali per i malati di mente. Esistevano naturalmente dei posti dove erano “tenuti”. Ospedali in cui erano “tenuti” alcuni pochi “maniaci” e “melanconici” [...] ma non esistevano ospedali adibiti alla cura umana e medica del malato mentale.”386

A Parigi ci fu un ospedale “noto in origine come Grange aux Gueux, che era costruito su un terreno già appartenuto al cardinale di Winchester: la cattiva pronuncia del suo nome fece nascere la parola Bicêtre. Questo ospedale servì in un primo tempo come ritiro per ufficiali e uomini mutilati; poi, nel 1660, andò a far parte dell’Ospedale generale di Parigi.”387

E così a Parigi “nel 1656 il re Luigi XIV ordinò il cosiddetto grande internamento decretando che tutti coloro che per qualsiasi motivo disturbassero la vita civile venissero rinchiusi in stabilimenti come

Salpêtrière e Bicêtre, luoghi di custodia adibiti allo scopo.”388

Una legge del 1790 prevedeva “la creazione di grandi ospedali destinati agli insensati. Ma non ne esisteva ancora nessuno nel 1793. Bicêtre era diventata una “Casa dei poveri”; come prima della Rivoluzione, vi si trovavano ancora confusamente mescolati gli indigeni, i vecchi, i condannati e i pazzi.”389

Oltre a questa popolazione tradizionale si aggiungeva anche quella abbandonatavi dalla Rivoluzione, per primi i detenuti politici.

I malati mentali, se presi e imprigionati, “venivano messi accanto agli assassini e agli altri criminali, in ceppi e catene, senza speranza di essere liberati. Il criminale rimaneva in prigione un dato periodo per essere, prima o poi, liberato o giustiziato; ma l’alienato, ch’era così sfortunato da essere giudicato afflitto da una malattia naturale, non era mai liberato.”390 Inoltre i malati di mente erano giudicati incurabili quando arrivavano a Bicêtre, e non vi ricevevano alcun trattamento, anche se “malgrado la nullità della cura in favore dei folli molti di essi ritrovano la ragione.”391

Sull’assenza di cure mediche all’interno di Bicêtre, Foucault scrive: “sui registri di Bicêtre si trovano menzioni come questa: “Trasferito dalle carceri della Conciergerie in virtù di una sentenza del parlamento che lo condanna a essere detenuto e rinchiuso in perpetuo nel castello di Bicêtre e a esservi trattato come gli altri insensati.” Essere trattato come gli altri insensati: ciò non significa subire una cura medica, ma seguire il regime della correzione, praticandone gli esercizi, e obbedire alle leggi della sua pedagogia”.392

Bicêtre, durante la Rivoluzione, fu “il centro principale di ricovero degli insensati [...] per la prima volta Bicêtre diventa un ospedale in cui gli alienati ricevono cure fino alla guarigione.”393

All’interno di questa struttura, “una figura di primo piano nel movimento per il trattamento umanitario degli internati negli ospizi per folli fu Philippe Pinel (1745-1826). Nel 1793, mentre infuriava la Rivoluzione Francese, egli assunse la direzione di un grande istituto di ricovero a Parigi, conosciuto come La Bicêtre.”394

385 L. Massignan, Appunti sulla storia della Psichiatria padovana, in “Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della

provincia di Padova”, n. 8, anno 2001, p. 15.

386 G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della Psichiatria, Feltrinelli Editore, Milano, 1963, p. 357. 387 Ibidem.

388 Ibidem.

389 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, 2000 (4), p. 399. 390 G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della Psichiatria, Feltrinelli Editore, Milano 1963, p. 357. 391 M. Foucault, op. cit., p. 116.

392 Ivi, p. 117. 393 Ivi, p. 400.

Inoltre la presenza di Pinel (in quanto medico) nelle infermerie di Bicêtre, “prova da sola che la presenza dei folli a Bicêtre è diventata già un problema medico”.395 Si trattava peraltro anche di un problema

politico perché Bicêtre raccoglieva al suo interno molti sospetti: “aristocratici che si nascondono sotto gli stracci dei poveri, agenti stranieri che complottano, mascherati da un’alienazione simulata.”396

La situazione del tempo era dunque piuttosto confusa perché “Parigi era nel bel mezzo di una agitazione rivoluzionaria che scuoteva il mondo intero, e niente [...] sarebbe stato più facile di questa atmosfera in cui veniva distrutta la Bastiglia e venivano proclamati gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità”397, pertanto

risultava difficile precisare la funzione di Pinel, il quale “ha preso servizio il 25 agosto 1793. Si può supporre che, essendo un medico già molto famoso, fosse stato scelto proprio per “neutralizzare” la follia, per prenderne l’esatta misura medica, per liberare le vittime e denunciare i sospetti [...]. D’altronde i sentimenti di Pinel erano abbastanza repubblicani da far presumere che non avrebbe continuato a tener rinchiusi i prigionieri dell’antico regime, così come non avrebbe favorito i perseguitati dal nuovo. In un certo senso si può dire che Pinel si è trovato investito di uno straordinario potere morale.”398

Il 13 maggio 1795 Pinel venne trasferito alla Salpêtrière399 sempre in qualità di direttore e anche qui,

come in Bicêtre, provvide a togliere le catene che i mentecatti avevano ai piedi: “le catene cadono; il folle si ritrova libero. E in quel momento ricupera la ragione [che aveva] sonnecchiato a lungo sotto la follia.”400

Nell’opera di Pinel l’elemento di rilievo non è che le catene siano state tolte, ma “è il mito che ha dato un senso a questa liberazione, introducendola in un mondo popolato di temi sociali e morali, [...] e costruendo, nella fantasia, la forma ideale di un asilo [che non sia più una gabbia per l’uomo].”401 Pinel diventò così il

simbolo della libertà, di quella libertà che doma le passioni dei più violenti e li riporta nel mondo calmo delle tradizionali virtù. Con Pinel nasceva una psichiatria che pretendeva di trattare il folle come un essere umano, l’uomo alienato veniva riconosciuto come incapace e folle, la società, che percepiva la sua stravaganza, limitava la sua esistenza giuridica mediante l’interdizione.

L’asilo ideato da Pinel era “un luogo di sintesi morali dove [scomparivano] le alienazioni che [nascevano] ai limiti esterni della società. Tutta la vita degli internati, tutto il comportamento dei guardiani e dei medici nei loro riguardi sono organizzati da Pinel affinchè tali sintesi morali siano operate.”402

Questo scopo veniva raggiunto mediante tre strumenti. Il primo era il silenzio: il malato che era stato liberato dalle catene si ritrovava in seguito incatenato dalla virtù del silenzio, un silenzio che diviene assoluto perché “non c’è più linguaggio comune tra follia e ragione; al linguaggio del delirio non può rispondere altro che un’assenza di linguaggio, poiché il delirio non è un frammento di dialogo con la ragione, non è affatto linguaggio; nella coscienza alfine silenziosa, egli rinvia soltanto alla colpa”.403 Il secondo modo era il

riconoscimento allo specchio: il folle doveva riconoscersi “nella follia di cui ha denunciato la ridicola pretesa”404 di identificarsi con l’oggetto del proprio delirio. L’asilo quindi disponeva gli specchi in modo tale che il folle non potesse fare a meno di sorprendersi proprio come tale. La terza struttura caratteristica del mondo dell’asilo era data dal giudizio perpetuo, attraverso il gioco di specchi e con il silenzio, la follia veniva ad essere chiamata a giudicare se stessa.

In linea con “l’egualitarismo della nuova Repubblica francese, egli riteneva che i malati mentali affidati alle sue cure erano fondamentalmente persone normali che dovevano essere avvicinate con compassione e comprensione e trattate con dignità in quanto esseri umani e in quanto individui.”405 Pinel riteneva che la

ragione aveva abbandonato queste persone “a causa di gravi problemi personali e sociali e quindi poteva essere loro restituita confortandoli, consigliandoli e impegnandoli in attività rivolte ad uno scopo.”406

395 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, 2000 (4), p. 400. 396 Ibidem.

397 G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della Psichiatria, Feltrinelli Editore, Milano, 1963, p. 345. 398 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, 2000 (4), p. 401.

399 Venne così chiamato “perché vi si fabbricava il salnitro per i cannoni della Regia Armata. In seguito ad un editto di Luigi XVI, fu

costruito un ospedale nel 1656 per rinchiudervi i poveri indigenti della città e dei suburbi parigini. Nel 1660, un atto del Parlamento ordinò che dovesse servire anche per rinchiudervi gli alienati, uomini e donne. Il Pinel vi incominciò ad abolire il vecchio ordinamento. Lì, pure, ordinò per prima cosa che fossero tolte le catene.” (G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della Psichiatria, Feltrinelli Editore, Milano, 1963, p. 348.)

400 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, 2000 (4), p. 409. 401 Ivi,p. 410.

402 Ivi, p. 424. 403 Ivi, p. 425. 404 Ivi, p. 427.

405 C. G. Davison, M. J. Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna, 1989, p. 16. 406 Ibidem.

Nell’asilo di Pinel regnava però una giustizia che usava “i metodi terapeutici del XVIII secolo per farne delle punizioni. E questa conversione della medicina in giustizia e della terapeutica in repressione non era uno dei minori paradossi dell’opera “filantropica” e “liberatrice” di Pinel”.407 Con lui l’utilizzo della doccia,

per esempio, diveniva una punizione abituale del tribunale che risiedeva permanentemente all’asilo e, attraverso essa, si sottomettevano alla legge generale gli alienati che ne avevano bisogno.

In realtà l’asilo fondato da Pinel era “uno spazio giudiziario dove si [veniva] accusati, giudicati e condannati, e dal quale non ci si [liberava]. La follia sarà punita nell’asilo, anche se [era] resa innocente all’esterno.”408 Pinel riconosceva alla figura del medico il potere di guarire questi alienati mettendo in gioco i

riti dell’ordine, dell’autorità, della punizione: il medico doveva agire utilizzando il prestigio entro il quale erano racchiusi quei riti.

Alle tre strutture caratteristiche del mondo dell’asilo (silenzio, riconoscimento nello specchio, giudizio perpetuo) Foucault suggerisce di aggiungerne una quarta: l’apoteosi del personaggio medico. Fra tutti gli elementi menzionati, quest’ultimo appare come il più importante perché favorì una trasformazione del personaggio medico che, in passato, non partecipava alla vita dell’internamento, mentre in questo periodo storico “diventa la figura essenziale dell’asilo, e ne consente l’ingresso. [...] All’interno dell’asilo il medico prende un’importanza preponderante, nella misura in cui lo trasforma in uno spazio medico. Tuttavia, [...] l’homo medicus non acquista autorità come sapiente, nell’ambito dell’asilo, ma come saggio.”409 Infatti il

lavoro medico rappresentava solo una parte del grande compito morale che deve essere svolto nell’asilo. Secondo l’opinione di Foucault, l’opera attuata in Francia da Pinel non fu solo all’insegna di una liberazione dalle catene fisiche, ma presentò ancora aspetti coercitivi non più rappresentati dalle catene, bensì da una serie di punizioni adottate come mezzi terapeutici in grado di rendere l’asilo uno spazio giudiziario dal quale non si riusciva a liberarsi. Credo che Pinel non sia riuscito davvero ad instaurare con i malati “un rapporto umano riconoscendo l’importanza delle loro esperienze e necessità affettive, accanto ai bisogni corporali”410, come invece sostenuto dallo psichiatra Massignan, a lungo direttore del Manicomio Provinciale di Padova. Né ritengo, alla luce di quanto affermato da Foucault, che lo stabilimento di Bicêtre possa essere considerato come “una gestione manicomiale di tipo psicologista”411.

5.1.2. Il “Ritiro” e il no restraint di William Tuke

Un movimento analogo a quello promosso in Francia da Pinel si sviluppò quasi contemporaneamente anche in Inghilterra ad opera di William Tuke (1732-1822), “un commerciante di thè che avendo condiviso la dolorosa esperienza di follia nella famiglia di un amico, si convinse che questi malati dovevano essere trattati in modo diverso da quello, insopportabile cui erano soggetti nei ricoveri per mentecatti. Così a York, in una sua villa che chiamò “il Ritiro”, avviò l’esperienza di un manicomio aperto dove era proibita qualsiasi forma di costrizione fisica. Il metodo fu chiamato no restraint.”412

Il Ritiro era una casa di campagna dove “l’esercizio all’aria aperta, le passeggiate regolari, il lavoro in giardino e nella fattoria hanno sempre un effetto benefico e sono propizi alla guarigione dei folli”.413 Questa

struttura “forniva al malato mentale un’atmosfera tranquilla e religiosa nella quale vivere, lavorare e riposare. I malati discutevano i loro problemi con i sorveglianti, lavoravano nel giardino e facevano passeggiate attraverso la campagna.”414

Il Ritiro era stato fondato per sottoscrizione e doveva funzionare come un sistema di assicurazioni: ogni sottoscrittore poteva nominare un malato che gli stava a cuore, e perciò quest’ultimo versava una somma ridotta: secondo alcuni storici della psicologia il Ritiro era in realtà “una coalizione contrattuale, una convergenza di interessi [...] ma nello stesso tempo si mantiene nel mito della famiglia patriarcale: esso vuol essere una grande comunità fraterna dei malati e dei sorveglianti, sotto l’autorità dei direttori e dell’amministrazione.”415

407 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, 2000 (4), p. 428. 408 Ivi, p. 431.

409 Ivi, pp. 431-432.

410 L. Massignan, Appunti sulla storia della Psichiatria padovana, in “Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della

provincia di Padova”, n. 8, anno 2001, p. 16.

411 Ibidem. 412 Ibidem.

413 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, p. 428. 414 C. G. Davison, M. J. Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna, 1989, p. 17. 415 Ibidem.

In questo tipo di contesto, William Tuke riteneva che i malati potessero ritrovare “la tranquilla felicità e la sicurezza di una famiglia allo stato puro”416 perché qui, il gruppo umano, era ricondotto alle sue forme

originarie e maggiormente semplici: l’uomo veniva riportato ai rapporti sociali rigorosamente fondati e morali. Nel Ritiro, tutto era organizzato in modo che gli alienati fossero considerati come “bambini che hanno un sovrappiù di forza e che ne fanno un uso pericoloso.”417

Si pensava che il Ritiro presentasse dei poteri mitici in grado di dominare il tempo, contestare la storia, ricondurre l’uomo alle sue verità essenziali ma, in realtà, si trattava solo di una costruzione artificiosa che si credeva essere in grado di guarire la follia. Pertanto il Ritiro acquisiva “il potere di guarire in quanto riconduce la follia ad una verità che è a un tempo verità della follia e verità dell’uomo, a una natura che è natura della malattia e natura serena del mondo”.418

Il Ritiro doveva operare come strumento di segregazione, sia da un punto di vista morale, sia da un punto di vista religioso, ricostruendo intorno alla follia un ambiente che assomigliasse il più possibile alla comunità dei quaccheri alla quale apparteneva William Tuke.

La motivazione per cui doveva esserci questa somiglianza era legata a due ragioni principali. La prima era che lo spettacolo del male costituiva per ogni uomo una sofferenza, l’origine dell’orrore, dell’odio, del disprezzo che, a loro volta, originavano la follia. A tal proposito si aderisce all’opinione di Foucault, che ritiene opportuno “rivalutare i significati che si danno all’opera di Tuke: liberazione degli alienati, abolizione delle coercizioni, costituzione di un ambiente umano sono pure e semplici giustificazioni. Le operazioni effettive sono state diverse. In realtà, Tuke ha fondato un asilo nel quale ha sostituito al libero terrore della follia l’angoscia chiusa della responsabilità: la paura ora non regna più dall’esterno delle prigioni; ora infierisce dall’interno delle coscienze.”419

La seconda motivazione era costituita dalla fisionomia di “grande famiglia” che la comunità degli insensati e dei loro sorveglianti assumeva nel Ritiro, in apparenza questa famiglia poneva il malato in un ambiente normale e naturale, in realtà lo alienava ancora di più.

Il tentativo attuato da William Tuke consisteva nel costruire, in modo artificiale, un simulacro di famiglia attorno alla follia: “in realtà, egli ha ritagliato la struttura sociale della famiglia borghese, l’ha ricostruita simbolicamente nell’asilo e l’ha lasciata andare alla deriva nella storia. L’asilo, sempre spostato verso strutture e simboli anacronistici, resterà per eccellenza disadattato e fuori del tempo.”420 L’asilo

fomentava dunque nel folle il sentimento di colpevolezza verso se stesso e, con questa colpevolezza, il folle diventava “oggetto di punizione sempre offerto a se stesso e all’altro.”421

William Tuke viene descritto da Foucault come “uno spirito sensibile che sapeva bene che dalla sua abilità dipendevano gli interessi più cari dei suoi simili. Egli tentò i diversi rimedi che gli suggerivano il suo buon senso e l’esperienza dei suoi predecessori. Ma fu ben presto deluso [perché] i metodi di cura erano così imperfettamente uniti allo sviluppo della guarigione, ch’egli non potè impedirsi di sospettare che si trattasse piuttosto di concomitanti che di cause.”422

William Tuke dimostrò di credere molto nel proprio lavoro al punto tale da voler lasciare “in eredità alla sua famiglia, nel corso delle generazioni successive, un uguale desiderio di essere d’aiuto ai malati mentali. Suo figlio Henry ne continuò l’opera con grande coraggio e abnegazione, contro ogni acre opposizione; Samuel, figlio di Henry, portò avanti la stessa missione con l’identica dedizione. Erano tutti profani di medicina. Infine, Daniel Tuke (1827-1895) figlio di Samuel, bisnipote di William, studiò medicina, diventò psichiatra e contribuì con un numero notevole di scritti al problema delle malattie mentali. Il suo lavoro maggiore lo svolse naturalmente al York Retreat.”423

Come Pinel in Francia, anche Tuke in Gran Bretagna aveva introdotto un personaggio, il medico, i cui poteri erano di ordine morale e sociale, traendo origine dalla minorità stessa del folle, nell’alienazione della sua persona.

L’opera attuata da Pinel e Tuke non rappresentava un punto d’arrivo, in realtà in essa si manifestava “solo un aspetto nuovo e improvviso, una nuova struttura la cui origine si nascondeva in uno squilibrio dell’esperienza classica della follia.”424

416 Ibidem.

417 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, pp. 418-419. 418 Ivi, p. 406.

419 Ivi, pp. 414-415. 420 Ivi, p. 420. 421 Ivi, pp. 414-415. 422 Ivi, p. 432.

423 G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della Psichiatria, Feltrinelli Editore, Milano, 1963, p. 340. 424 M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano, p. 439.

Dopo la rivoluzione francese emerge come la ragione proceda “in base agli interessi di chi detiene il potere, e dal quale esclude le classi subalterne, misere e oppresse. La follia è gradatamente emersa dalla totalità, prima, piuttosto indistinta dei bisogni del soggetto umano, per essere, da Pinel in poi, incanalata nell’alveo della scienza medica e della nascente freniatria, divenuta in seguito psichiatria.”425

Il metodo del no restraint viene definito dal dottor Augusto Tebaldi come “quell’assieme di modificazioni indotte nelle istituzioni inglesi pegli alienati, per le quali spontaneamente si venne alla quasi abolizione dei mezzi coercitivi.”426

L’utilizzo di questi viene sostituito dal ricorso ad altre tecniche che caratterizzano il metodo no restraint come si rivela dalle parole del dottor Augusto Tebaldi quando spiega come intervenire quando un malato presenta un accesso violento di delirio: “i guardamalati […] assistono senza far motto alla collera cui qualche malato è condotto, anzi non intervengono che quando vedono sia l’accesso così violento da minacciare i compagni, allora si cerca ricondurlo alla calma, togliendolo agli oggetti che suscitano in lui la collera, lasciandolo solo in un piccolo giardino, o prateria, mentre se non è passeggero l’accesso, e l’ammalato attenta al vicino con assidua violenza, si ricorre alla reclusione in una separata cella [lo stanzino di isolamento], dove pure si collocano i malati irrequieti la notte.”427

Questo metodo, applicato non solo all’interno del “ritiro” di Tuke ma anche negli ospedali dell’Olanda, Svezia, Germania, assume una particolare importanza in quanto ha costituito il modello ispiratore nell’istituzione del Manicomio Provinciale di Padova. Gli elementi che in particolare si cercarono di introdurre nella struttura padovana riguardano la modalità con cui venivano trattati i malati, l’assenza di misure costrittive e il compito degli infermieri di “risolvere anche le situazioni di crisi con umanità, persuasione e capacità professionali.”428

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