• Non ci sono risultati.

Panoramica degli enti per l’assistenza in Provincia di Belluno nei primi anni Sessanta

PARTE TERZA L’ambito socio-sanitario

6. L’assistenza socio-sanitaria ai minori nel territorio bellunese dagli anni Sessanta ad oggi: aspetti storici, istituzionali ed operativi (Barbara

6.1. Una storia presente: dall’Istituto Medico Psico-Pedagogico al Sevizio di Neuropsichiatria Infantile

6.1.1. Panoramica degli enti per l’assistenza in Provincia di Belluno nei primi anni Sessanta

555 L’articolo 4 della legge regionale del Veneto, 6 settembre 1991, n. 28, definisce le RSA come “strutture residenziali

extraospedaliere, gestite da soggetti pubblici o privati, organizzate per nuclei, finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale a persone prevalentemente non autosufficienti”.

A Belluno, come nelle altre città capoluogo di provincia, l’assistenza ai minori nei primi anni ’60 era gestita dall’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia (O.N.M.I.) e dall’Amministrazione provinciale. I Comuni, invece, si occupavano di erogare sussidi in denaro od in altri generi di prima necessità alle persone povere in generale. Questi due Enti hanno sempre lavorato a stretto contatto, riservandosi, però, degli ambiti diversi d’intervento.

L’ONMI fu istituita a livello nazionale con la legge 10 dicembre 1925, n° 2277 (e successive modifiche), e sciolta con la legge 23 dicembre 1975, n° 698, con conseguente trasferimento delle sue funzioni alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Era un ente autonomo parastatale di diritto pubblico, operante a livello nazionale, che veniva finanziato in maggior parte dallo Stato e posto sotto il controllo del Ministero dell’Interno prima, e da quello della Sanità dopo.

La Federazione provinciale di Belluno, struttura periferica dell’Opera che con la Legge 1 dicembre 1966, n° 1081, cambia la denominazione istituzionale diventando Comitato provinciale, gestiva due “Case della Madre e del Bambino”, di cui una a Belluno e l’altra a Feltre, le quali raggruppavano insieme diversi servizi sanitari a carattere operativo: Consultorio pediatrico; Consultorio ostetrico-materno; Consultorio prematrimoniale e matrimoniale; Consultorio dermosifilopatico; Consultorio (o Centro) medico-psico- pedagogico; Refettorio materno; Asilo nido.

L’O.N.M.I., quindi, provvedeva, fra le altre cose, all’ammissione dei bambini agli asili nido ed esercitava la vigilanza igienica, educativa e morale sui minori collocati presso nutrici, allevatori ed istituti pubblici o privati d’assistenza e beneficenza.

La Provincia, invece, assisteva i bambini con deficit sensoriali (ciechi e sordi) e gestiva l’I.P.A.I. (Istituto provinciale per l’assistenza all’infanzia), dove venivano ricoverati i bambini “esposti”, “illegittimi” o “abbandonati”, le gestanti nubili e le madri con il proprio bambino cacciate di casa. Quest’ultime rimanevano all’interno del servizio col loro bambino, poi le aiutavano a trovarsi una casa e un lavoro per permettere loro di ricostruirsi una propria vita all’esterno. Nel momento in cui si sistemavano potevano riprendere con sé il proprio figlio, che nel frattempo era rimasto affidato all’Istituto. Nei casi in cui la madre non avesse dimostrato di essere autosufficiente e di essere in grado di accudire al suo bambino, allora veniva dichiarato libero per l’adozione. Nel caso in cui le gestanti non fossero state nubili, invece, era l’O.N.M.I. che se n’occupava.

Riguardo all’assistenza alle persone con handicap psico-fisico, che non potevano frequentare le scuole “normali” e avevano bisogno di affido ad Istituto medico-psico-pedagogico, venne stabilito che l’Amministrazione Provinciale si facesse carico, economicamente e professionalmente, dei minori con quoziente intellettivo inferiore a 0.70 (ritardo grave e gravissimo). All’O.N.M.I., invece, spettavano coloro che superavano questa soglia, quindi con un ritardo considerato lieve.

Siccome a Belluno, prima che fosse aperto l’Istituto Medico Psico-Pedagogico a Cusighe nel 1963, non vi era una struttura adeguata per soddisfare le esigenze di questa particolare tipologia di utenza, l’O.N.M.I. fu costretto ad affidare questi minori in età scolare ad istituti o comunità situati fuori provincia con i quali era convenzionato.

In particolar modo questi bambini in “difficoltà”, con deficit cognitivi lievi, psico-affettivi e comportamentali, venivano collocati nell’Istituto Medico Psico-Pedagogico di Nomi a Trento e nella “Nostra Famiglia” a S. Vito al Tagliamento; qualcuno, più tardi, anche al “Villaggio del Fanciullo” di Pordenone e al “Villaggio del Fanciullo” di Trieste, in località Opicina. I gravi e gravissimi, invece, venivano mandati dalla Provincia in altri Istituti, come il Cottolengo di Padova o a Mogliano Veneto.

Operavano sul territorio, inoltre, l’Ente Nazionale per l’Assistenza agli Orfani Lavoratori Italiani (E.N.A.O.L.I.) e l’Ente Nazionale per la Protezione Morale del Fanciullo (E.N.P.M.F.). Il primo era un ente di assistenza discrezionale composto di personale amministrativo e da assistenti sociali, che lavorava su base assicurativa. In sostanza tutti i lavoratori, madri e padri, avevano la possibilità di versare dal salario una quota che tutelava, in caso di loro morte, i figli minori. Nel momento in cui i minori avevano il titolo di “orfani di lavoratori”, quindi, l’assistenza era tutta a carico di quest’ente. Il secondo funzionava esclusivamente grazie alla beneficenza. Era gestito da personale distaccato dal Provveditorato agli Studi (un maestro con funzione amministrativa ed una maestra che era la presidente), e si occupava soprattutto di situazioni disagiate dal punto di vista economico. Fungeva anche da cartina di tornasole per questi casi di disagio che, poi, segnalava all’O.N.M.I. e alla Provincia.

Verso la fine degli anni ’50 si fa sempre più forte la necessità di sopperire alle carenze in ambito di assistenza ai bambini con difficoltà cognitive, psico-affettive e di comportamento della Provincia. Erano molti, infatti, i disagi che comportava l’affidamento dei minori in questione ad istituti dislocati fuori della Regione.

L’Amministrazione Provinciale di Belluno decise, così, di istituire in provincia una struttura che si dedicasse all’età evolutiva, ed in particolar modo alle alterazioni neuropsichiatriche di questa fase della vita. A tale scopo si rivolse alla Clinica Malattie nervose e mentali della Facoltà di Medicina dell’Università di Padova, diretta dal professor Belloni, dove venne studiata la struttura dell’organigramma e dell’organizzazione di questa.

Il 27 aprile del 1959 il Consiglio Provinciale decise di approvare, in ogni sua parte, il progetto tecnico esecutivo redatto dall’Ufficio Tecnico Provinciale il 20 ottobre 1958, la quale prevedeva i lavori di riattamento del vecchio fabbricato provinciale ex sede del Brefotrofio di Cusighe, a nuovo Istituto pedagogico per minorati psichici. La capienza prevista inizialmente era di 50 posti letto, con relativi soggiorni e refettorio, più gli alloggi per il personale.

Poiché l’edificio non presentava una capienza sufficiente allo scopo, fu prevista la costruzione di una nuova ala in prosecuzione della fronte principale dell’edificio con due piani e soffitte, nella quale sarebbe stata situata l’astanteria con l’ambulatorio medico e servizi al piano terreno, e l’infermeria coi relativi servizi al piano superiore. L’edificio di Cusighe, così ammodernato ed ampliato, constava complessivamente di 120 locali, comprensivi delle aule, dei servizi accessori, delle sale per l’alloggiamento dell’apparecchiatura clinica, degli alloggi per il personale medico ed assistenziale, in grado di ospitare circa settanta minori.

Il progetto venne portato avanti con maggior insistenza e qualificazione quando vennero assunte, una in Provincia e una all’O.N.M.I., le prime assistenti sociali. A loro fu subito affidato il compito di andare a visitare i vari Istituti dove soggiornavano i ragazzi bellunesi, con lo scopo di vedere fra i bambini che vi risiedevano, quali potevano essere trasferiti nella nuova struttura senza, però, subire un trauma eccessivo. Era stato deciso, infatti, che coloro che si erano già conquistati una situazione di favore, con la stabilizzazione di particolari rapporti affettivi e relazionali, non sarebbero stati privati di questo loro patrimonio.

Outline

Documenti correlati