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Il laboratorio come esperienza del fare: finalità e contenut

OSSERVAZIONE VERIFICA

2. Il laboratorio come risorsa didattica (Daniela Frison)

2.2. Le modalità operative: il metodo didattico del laboratorio nella scuola elementare

2.2.2. Il laboratorio come esperienza del fare: finalità e contenut

La realizzazione dei laboratori didattici nella scuola primaria è indice di una rivalutazione della creatività e dell’esperienza del bambino e, quindi, testimonia una messa in discussione di alcuni pregiudizi e limiti che i programmi per l’insegnamento e la didattica, seguita dalla quasi totalità degli insegnanti, avevano da sempre imposto entro le mura scolastiche.

L’istituzione, come già sottolineato in precedenza, si presta ad accogliere e valorizzare il confronto e la collaborazione con il territorio in cui è situata e, specificamente, con le risorse umane e strutturali che esso è in grado di offrirle, che finalmente, grazie alla citata legge sull’autonomia, fanno il loro ingresso a scuola dalla porta principale.

Mutuando l’ottica propria dello sviluppo di comunità, potremmo dire che la scuola del ventunesimo secolo, si avvia a superare il proprio isolamento per interagire con altre agenzie partendo da un riconoscimento dell’extrascuola come risorsa e rendendosi disponibile ad uno scambio arricchente per entrambe le parti. “La scuola”, infatti, “diventa un piccolo mondo sociale in interazione con altri mondi, che ha la pretesa di porsi come grembo materno in cui l’individuo può venire alla luce”. In “un’ottica sistemica”,

234 La rivista “La vita scolastica” propone in un articolo di Alfredo Pierotti, dirigente scolastico di Lucca, “le caratteristiche strutturali

di definizione di un progetto:

- Titolo e abstract: sintetizzano l’idea, l’obiettivo, lo scenario;

- Analisi della situazione: non deve limitarsi a una mera fotografia dell’esistente, ma chiarire in termini specifici i bisogni formativi, le risorse umane e materiali, i soggetti e gli enti coinvolti;

- Definizione degli obiettivi: in questa fase si esplicitano le conoscenze, le competenze, le valenze educative che ci si aspettano dai soggetti coinvolti nell’iter progettuale (profilo in uscita); secondo un altro approccio, gli obiettivi possono essere dichiarati in termini di sapere, saper fare, saper essere;

- Organizzazione del percorso: suddivisione in moduli o fasi; definizione dei tempi; individuazione dei contenuti specifici e profilo in uscita di ogni fase; previsione e reperimento dei materiali; utilizzo ottimale delle risorse umane ed eventuale coinvolgimento di altri soggetti (genitori, enti, associazioni); definizione degli strumenti di verifica in itinere; esplicitazione del metodo di lavoro; strumenti di flessibilità e aggiustamento;

- Verifica degli esiti finali in rapporto agli obiettivi di partenza: strumenti di verifica/valutazione (produzione materiali, attività, test, questionari, interviste); documentazione ed eventuali ipotesi di sviluppo.

Un progetto si fonda teoricamente sui Programmi e sulla situazione specifica della scuola e del territorio in una prospettiva di unitarietà e di autonomia: ha però bisogno di un’idea, di una scintilla dalla quale si parte e alla quale si ritorna. Le scansioni indicate non sono esaustive né rigidamente applicabili a qualsiasi progetto: rappresentano soltanto un esempio e una modalità operativa, uno strumento unificante per tutti gli insegnanti interessati”. (A. Pierotti, Dietro le quinte, in “La vita scolastica”, anno 56°, n.1, 1° settembre 2001, p. 25).

235 M. Tiriticco, La didattica modulare, in “La vita scolastica”, anno 56°, n.1, 1° settembre 2001, p. 26. 236 Ivi, p. 26.

quindi, essa rappresenta “un microcosmo sociale, un laboratorio sociale dove al rallentatore le nuove generazioni possono sperimentare e controllare i nessi sociali che si vengono di volta in volta ad attivare”.237

Questa identificazione della scuola come mondo sociale è il presupposto imprescindibile per concretizzare i laboratori interdisciplinari i quali, non solo, rappresentano una modalità di collegamento tra gli insegnamenti, ma, soprattutto, consentono agli allievi “l’esplorazione della cultura umana” e la trasformazione della “cultura già fatta” in “cultura del fare”.238

Il laboratorio, quindi, oltre a garantire il raggiungimento di obiettivi prettamente curricolari, consente l’ingresso nell’istituzione scolastica dell’animazione nella sua connotazione di “evento socio-culturale”.239

L’animazione, infatti, è, da sempre, stata relegata ai momenti ludici della scuola o identificata con il superamento del modello di lezione cattedratica consentito da attività, le più svariate, che coinvolgessero maggiormente l’allievo. Essa rappresenta, invece, prima di tutto, un metodo, un modo di procedere che va oltre il semplice agire in gruppo. Si propone, primariamente di “attivare processi attraverso cui i valori possano essere messi in gioco, incontrarsi e scontrarsi, per dare vita a nuove combinazioni e a nuove forme di sapere” e incarna, inoltre, una vera e propria scommessa educativa poiché “crede incondizionatamente nelle potenzialità di ogni ragazzo”.240

Si tratta, quindi, di dare vita ad una scuola che sia, innanzitutto, adeguata alla valorizzazione delle risorse umane di ogni individuo e che, partendo dalla collaborazione-integrazione con “imprese di animazione socio-culturale”, possa offrire accanto “all’educazione intenzionale” che è chiamata a garantire, “l’aiuto preziosissimo dell’ educazione funzionale, predisposta e non affidata soltanto alle occasioni e all’improvvisazione”.241

Si ripropone, a questo punto, il problema del rapporto tra l’animazione e l’educazione e varie sono le connotazioni che la prima assume: si parla di animazione socio-culturale come di iniziative extrascolastiche; se ne parla in termini di metodo per aiutare determinati nuclei sociali a prendere coscienza dei propri diritti; la si collega strettamente all’azione della scuola; la si affianca, infine, alla spontaneità per garantire la creatività degli individui. Si tratta quindi, da un lato, di salvaguardare l’identità e la forza dell’animazione e, dall’altro, di riconoscere la portata del ruolo che svolge nell’ambito delle agenzie educative, la scuola in

primis, al fine di “difendere sempre il diritto della persona ad affermarsi, anche nel rapporto sociale, nella

sua originalità”.242

La realtà, però, testimonia come le attività animative non abbiano ancora acquisito, all’interno della scuola, una cittadinanza effettiva quale è, invece, quella riconosciuta alle materie canoniche. Gli spazi e i tempi ad essa dedicati sono quelli dell’extrascuola e del doposcuola e l’animazione, così come il laboratorio, nello specifico, viene associata al bricolage pomeridiano proposto agli allievi per interrompere lo sforzo mentale richiesto dagli insegnamenti di natura prettamente intellettuale.

E’ fondamentale, quindi, sottolineare ed insistere sul “riconoscimento delle affinità” dell’animazione e delle sue “interazioni con gli orizzonti dell’atto educativo”.243 Essa, infatti, consegue una trasformazione del

soggetto in crescita, una sua valorizzazione ed espansione che abbiano come presupposto l’attenzione costante alla globalità dei suoi interessi, ai suoi bisogni espressivi e creativi.

Da più parti, dunque, si propone la necessità di stabilire, anziché una scissione dell’animativo dall’educativo, un rapporto dialettico tra queste due dimensioni strettamente connesse tra loro: “l’esplicito incontro dell’animazione con le potenzialità dello spazio educativo”, infatti, “ può evolvere fino ad evidenziare un trasferimento della risorsa animativa in campo educativo, tale da qualificarsi come interazione di sostegno alla dimensionalità educativa”244 evitando, però, che questo affiancamento comporti

una minimizzazione del ruolo animativo. E’ necessario, quindi, concentrarsi “sugli esiti di un incessante confronto-incontro, di una continuativa apertura e reciproca integrazione tra i due fronti di definizione”245.

Alla luce di queste considerazioni, un’analisi degli obiettivi del laboratorio didattico, dimostrerà come essi siano in linea con le finalità delle attività animative. Il laboratorio, infatti, oltre a rappresentare un simbolo dell’attivismo e del suo costante richiamo all’esperienza e al coinvolgimento del bambino,

237 F. Floris, L’animazione a scuola: opzioni culturali e strategie d’intervento, in L’animazione a scuola: accoglienza, apprendimento, comunicazione, “Quaderni di animazione e formazione”, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1996, p. 9.

238 Ivi, p. 9. 239 Ivi, p. 8. 240 Ivi, p. 7.

241 M. Mencarelli M., Metodologia didattica e creatività, La Scuola Editrice, Brescia, 1983, p. 69. 242 Ivi, p. 93.

243 M. Borsaro, L’animazione alla luce dell’educativo, Imprimitur, Padova, 2000, p. 50. 244 Ivi, p. 73.

testimonia la stretta relazione tra la dimensione educativa e quella animativa, in quanto permette di “fare esperienza di socialità e di una socialità intesa come lasciarsi coinvolgere emotivamente, avere il controllo delle interazione in cui si è immersi, sentirsi responsabili del piccolo mondo sociale in cui si ha la ventura di vivere”, essendo “parte attiva” e avendo “cura di quella piccola parte di mondo che vive a scuola”.246

Il laboratorio consente, dunque, di perseguire una conoscenza attiva, creativa, interattiva247 favorendo il

superamento di una scuola basata essenzialmente sulla parola e sull’ascolto e facilitando un apprendimento basato sul fare più che sul dire. E’ fondamentale promuovere il protagonismo e la partecipazione attiva degli allievi e lo si può fare attraverso la “metafora del laboratorio, evocatrice di una scuola in cui apprendere attivamente e operativamente quelle abilità con cui costruire il proprio sapere”.248

Obiettivo primario del laboratorio è, quindi rendere l’allievo artefice delle proprie conoscenze garantendogli costantemente la possibilità di toccare con mano, nel senso letterale dell’espressione, ciò che lo circonda e che rappresenta per lui una fonte inesauribile di sapere. Il bambino diventa, secondo quest’ottica, una sorta di tirocinante che sperimenta nuove situazioni e rielabora costruttivamente il proprio patrimonio conoscitivo.

L’idea del laboratorio è supportata dalle idee di attività incessante, di ricerca alacre, di produttività

creativa249 che nella scuola dovrebbero trovare la loro concretizzazione in situazioni di gruppo e di

collaborazione tra i membri che lo compongono.

L’esperienza del fare rappresenta, quindi, il punto di partenza del laboratorio didattico e mira a coinvolgere in qualsiasi attività, il bambino tutto intero, in quanto protagonista creativo del lavoro che conduce. Il fine è renderlo padrone delle proprie percezioni ed emozioni affrancandolo così “dalla dipendenza e dalla passività percettiva per costruire una mente creativa”.250 Troppo spesso, infatti, accade

che la scuola offra al bambino la possibilità di esprimersi trascurando però tutto ciò che si trova a monte dell’espressione e ignorando, quindi, la reale esperienza dell’allievo. Talvolta, infatti, anziché garantire agli alunni la libertà di espressione si suggeriscono loro gli argomenti e le modalità che la loro attività deve seguire impedendo così che la creatività del bambino prenda liberamente forma.251

Altro obiettivo del laboratorio, quindi, è anche costruire un ponte tra il fanciullo e la realtà che lo circonda, una realtà che non è più esclusivamente fisica, ma anche virtuale. Il bambino è fruitore quotidianamente di immagini che alcune volte richiamano alla sua mente esperienze da lui stesso vissute o lo mettono a confronto con realtà lontane, di altri tempi o di altri paesi, e altre volte invece lo catapultano in un mondo irreale, fittizio che può disorientarlo qualora gli venga a mancare un sostegno che riconduca gli stimoli a cui è sottoposto alla situazione reale in cui vive. Questo “mondo dei fantasmi, è quello che arriva a noi con i mezzi di comunicazione di massa” e “i rubinetti sono nelle nostre mani, basta aprirli e queste merci d’obbligo scorrono a getto continuo pronte al consumo”.252 E’ fondamentale, dunque, partire dal presupposto che il mondo dell’esperienza, per il bambino come per l’adulto, non è più, semplicemente, quello vissuto e sperimentato mediante i sensi ma è, anche, quello impalpabile che viene offerto dai media, televisione in

primis. L’insegnante ha, quindi, il compito di aiutare l’allievo a mettere a fuoco le immagini, i personaggi,

che più fortemente lo hanno colpito, a collegarli, attraverso il dialogo, ai propri ricordi e al proprio presente e, infine, ad esprimersi liberamente.

La libertà d’espressione che sottostà all’attività del laboratorio si scontra, da un lato, con il timore di un eccessivo spontaneismo, dall’altro, con la necessità di imporre un metodo. Di fatto non si tratta più, fortunatamente, di educare l’occhio e la mano, fornendo all’alunno copie da riprodurre mediante l’applicazione di determinate tecniche, quanto, piuttosto, di individualizzare i percorsi di insegnamento-

246 F. Floris, op. cit., 1996, p. 9.

247 I. Paganotto, Brainstorming: una tecnica per mille occasioni- riflessioni e percorsi di animazione in classe, in L’animazione a scuola: accoglienza, apprendimento, comunicazione, “Quaderni di animazione e formazione”, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1996,

p. 94.

248 Ivi, p. 94. 249 Ivi, p. 94.

250 R. Pittarello, I laboratori creativi con adulti e bambini, Stampa Daniele, Padova, 1996, p. 8.

251 Carlo Piantoni denuncia, in particolare, la didattica “della mela e della castagna” sostenendo che “è soprattutto durante il periodo

delle mele e delle castagne che questo tipo di didattica dispiega maggiormente i suoi poteri. E’ allora che il fanciullo sistematicamente sottoposto al bombardamento della ricerca stagionale: le mele e le castagne, l’uva e le noci, il grano che scende nei solchi e le foglie che svolazzano rosseggianti nel cielo diventano gli argomenti d’obbligo per temi, relazioni, disegni. Si dimentica che l’ambiente che il bambino oggi trova intorno a sé non è più l’ambiente pastorale e contadino di 50-60 anni fa. […] L’ambiente è quello che si vede e si tocca” ed è fondamentale insistere, secondo l’autore, sul fatto che “il punto di partenza non può essere costituito dagli elementi statici di una realtà scelta dall’insegnante, bensì dagli aspetti dinamici di una realtà scelta dal bambino”. (C. Piantoni, Le attività espressive, La Scuola Editrice, Brescia, 1974, p. 41-42).

apprendimento e di garantire, quindi, ad ogni bambino la possibilità di esprimere se stesso, in quanto individuo con vissuti e interessi propri. Il raggiungimento di questa finalità non comporta, assolutamente, la negazione del ruolo e dei dovere organizzativi dell’insegnante come salvaguardia di uno spontaneismo portato all’eccesso. E’, invece, in una scuola ben organizzata che si offrono “le condizioni necessarie per un efficace apprendimento e per una piena affermazione della personalità degli alunni”.253 E’, inoltre,

fondamentale un metodo, che rispetti, però, la natura infantile. Il dovere dell’insegnante non si deve, dunque, ridurre a fornire al bambino materiali e strumenti affinché egli si sbizzarrisca a proprio piacimento, ma deve consistere in una sorta di accompagnamento del piccolo apprendista nella sua evoluzione, rispettando le differenze di espressione e le disposizioni individuali degli allievi.

Si tratta, quindi, di sollecitare la creatività dei bambini anche attraverso un clima positivo che si instauri tra docenti e discenti intorno ad attività in cui prevale l’aspetto pratico. L’atmosfera che si viene a creare “aiuta i ragazzi a prendere coscienza della propria identità, delle proprie attitudini, rendendoli protagonisti e reali risorse dell’apprendimento e , al contempo, favorisce il dialogo educativo”.254

Accanto al fanciullo, quindi, non bisogna sottovalutare la presenza attiva dell’insegnante. Altro obiettivo del laboratorio è, infatti, la dimensione socializzante, riguardo sia al gruppo dei bambini ma, anche, alla relazione tra i bambini e il corpo docente e, ancora, alla collaborazione tra gli insegnanti. Per quanto riguarda gli allievi, il laboratorio, così come ogni attività animativa rappresenta “una pratica di gruppo” in quanto “opera nei piccoli gruppo, formati dall’insieme delle interazioni in cui i singoli, almeno per una parte di sé, accettano di dipendere dal gruppo, apprendendo a coniugare insieme autonomia personale e appartenenza ad un’entità più grande di loro”.255 Il bambino, quindi, nel gruppo di lavoro è soggetto che

apprende all’interno di una dimensione, quella di gruppo appunto, che è anch’essa in fase di apprendimento. L’insegnante si rapporta da un lato con il singolo allievo secondo un approccio individualizzato ma, aldilà dell’attività pratica che i bambini stanno conducendo, il gruppo e le dinamiche che si realizzano al suo interno forniscono all’insegnante-conduttore un feed-back costante circa l’impatto che il lavoro proposto esercita sul singolo allievo collocato nella più vasta entità del gruppo. Il docente, in questo contesto, non è più un semplice trasmettitore di informazioni ma acquisisce il ruolo, più complesso, di mediatore tra gli allievi e il mondo del sapere disciplinare trovandosi, inoltre, a gestire “nello stesso tempo la dimensione cognitiva, quella emotiva come quella relazionale, unificando una molteplicità di compiti professionali in un’azione formativa complessa” attuando così una “didattica esperienziale ed attiva” che faccia di ogni apprendimento “un’esperienza di successo e conquista personale carica di significato”.256

E’ fondamentale, quindi, che l’adulto accompagni il bambino a scoprire il mondo attraverso i sensi, senza dare giudizi di valore sui suoi elaborati poiché non è il prodotto terminato il fine ultimo del laboratorio quanto, piuttosto, il procedimento che l’attività ha permesso di innescare. Aspetto rilevante di questo processo è lo scambio di esperienze che l’insegnante deve favorire tra i bambini: i più svelti potranno aiutare i più lenti superando così ogni forma di competitività.

Alle dinamiche relazionali che vedono coinvolto il gruppo con il corpo insegnante si aggiunge il rapporto che lega gli insegnanti tra loro all’interno della stessa istituzione scolastica e il corpo docente di una scuola con gli insegnati di altri plessi e, ancora, con le figure del territorio che varcano la soglia scolastica per concretizzare il ponte tra istituzione e contesto territoriale di riferimento. La regia dei progetti e dei laboratori che germogliano in seno alle varie scuole spetta, infatti, agli insegnanti, chiamati ad esprimere nel Piano dell’Offerta Formativa le linee guida che sottostanno a tutte le attività da realizzarsi durante l’anno scolastico. Il primo livello di collaborazione riguarda, quindi, il corpo docente che deve farsi carico del proprio ruolo di guida e accompagnatore e, ancor prima, di organizzatore. E’ fondamentale, infatti, al fine della realizzazione dei laboratori, oltre ad un costante riferimento ai “bisogni dei bambini” e alla “presenza di cose e sussidi nell’aula, l’azione produttiva degli insegnanti” che predispongono “luoghi, momenti e occasioni”. Il laboratorio, infatti, “è una dimensione più che un luogo. Esso è il momento organizzato intenzionalmente dai docenti allo scopo di utilizzare alcune competenze di base per agevolare il conseguimento di abilità specifiche in uno o più linguaggi.” Esso rappresenta “il luogo e il momento della conoscenza di contenuti connessi con una o più discipline”.257 Accanto all’apprendimento del sapere

disciplinare e al contatto interattivo con la realtà circostante, il laboratorio è sempre da ricondurre,

253 M. Mencarelli, op. cit., 1983 , p. 82.

254 C. Mazzocchi, I burattini strumento di interazione educativa, in “Scuola e didattica”, anno XLVII, n.6, 15 novembre 2001, p. 29. 255 F. Floris, op. cit., 1996, p. 15.

256 I. Paganotto, Lavorare in classe in una logica di animazione culturale, in L’animazione a scuola: accoglienza, apprendimento, comunicazione, “Quaderni di animazione e formazione”, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1996, p. 49-54.

principalmente, ad una sorta di lotta per la salvaguardia della creatività, sia dell’insegnante, visto il suo ruolo di regista delle attività, sia, ovviamente, del bambino. “Il tema della creatività” è, infatti, strettamente collegato alla “ricca complessità della persona, alla forza produttiva che le è coessenziale e alla disposizione all’iniziativa”.258

Questa correlazione con la dimensione personale di ciascun allievo e la sua connotazione interdisciplinare, rendono il laboratorio una modalità di rielaborazione del sapere e di full immersion esperienziale adatta a qualsiasi argomento scolastico. Attraverso una rapida analisi della letteratura, ancora piuttosto limitata, dedicata ai laboratori didattici, emerge, infatti, che i contenuti sviluppati secondo questa modalità di lavoro sono i più svariati. Lo stesso laboratorio viene, talvolta, definito creativo, o espressivo,

manuale, o, appunto, più in generale, didattico a seconda dell’aspetto che viene maggiormente valorizzato.

Bruno Munari259, grafico milanese, autore nel 1977 del primo Laboratorio per l’infanzia alla pinacoteca

di Brera, propone, ad esempio, quali “metodi per la stimolazione della creatività infantile” i laboratori di comunicazione visiva, ceramica, tattile, di design, stampa, tessitura, dei suoni, del legno, del libro e delle materie plastiche. Pur nella loro varietà, le suddette attività perseguono un fine comune ossia il permettere di innestare l’informazione storica, culturale su un’esperienza vissuta in prima persona. “Il bambino che gioca con le tecniche”, infatti, “ aiutato dall’adulto che gliele semplifica, acquisisce quella serie di dati che a tempo opportuno, quando il bambino vorrà, potranno diventare contenitori di messaggi e il bambino potrà inventare egli stesso delle regole”.260

I laboratori munariani si sono espansi, a partire dalle esperienze museali, nelle scuola e nelle ludoteche dove l’artista ha dato vita ad un cantiere continuo dove i bambini possano progettare, costruire, demolire per poi ricostruire nuovamente. Il fare rappresenta, dunque, “un metodo per sperimentare la più importante regola del mondo, che è quella della mutazione. In quest’ottica i bambini comprendono che non è importante il prodotto che viene confezionato, ma il processo mentale che permette di realizzare quel progetto”.261

I laboratori di Munari, quindi, così come le attività che insegnanti e operatori esterni propongono agli alunni della scuola primaria, permettono di concretizzare l’esperienza del fare giocando e soprattutto consentono ai bambini di apprendere contenuti teorici in un clima collaborativo dominato dalla pratica. Trova, dunque, ragion d’essere in questa modalità di lavoro un proverbio orientale spesso citato dall’artista:

se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco.

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