PARTE SECONDA L’ambito dell’educazione professionale
3. Istituzioni educative per minori ed educatori professionali: uno sguardo storico (Alice Zorzan)
3.7. L’educatore di casa famiglia: aspetti professionali e esistenzial
3.7.1. La professionalità dell’educatore di casa famiglia
La fisionomia professionale dell’educatore non è molto delineata e se questo discorso vale ancora oggi in Italia, esso assume caratteristiche ancora più evidenti in molti paesi in via di sviluppo, dove la professionalità è praticamente inesistente e l’educatore è considerato, per la maggior parte delle strutture, come un volontario che dedica del proprio tempo per aiutare dei bambini abbandonati o in grosse difficoltà.
La letteratura evidenzia come sotto questa denominazione professionale si aggregano persone che hanno formazioni di base le più diverse e disparate, curricula lavorativi e formativi discontinui, collocazioni e orientamenti eterogenei. Non si tratta di una professionalità forte, forse più ancora che per le caratteristiche sociologiche della categoria, per il fatto che non si può identificare chiaramente un corpus tecnico scientifico specifico a cui la professione possa far riferimento. Non sono esistite finora neppure istituzioni che ne garantiscano l’esistenza e la continuità.311
Malgrado ciò, è facile osservare come il lavoro di educatore sia molto ricco e movimentato, e spinga a un forte coinvolgimento personale, ma sia poco definito, diversamente da altri impieghi routinari, guidati o anche costretti da precisi compiti e mansioni.
La dimensione ridotta delle case famiglia e le caratteristiche specifiche del ruolo richiedono generalmente educatori capaci di fare cose tra loro molto diverse, distanti da altri operatori del settore educativo e socio-sanitario: saper cucinare, organizzare giochi, fare colloqui, stendere relazioni, organizzare la pulizia della casa, condurre riunioni, tenere la contabilità, analizzare la situazione, far addormentare un ragazzo, ecc.
Più in generale nell’articolazione del lavoro in casa famiglia è osservabile una spinta all’assunzione diffusa, anche quando esiste una differenziazione di ruoli, delle diverse funzioni organizzative, funzioni che comportano un rapporto sia diretto che indiretto con i ragazzi. Ciò è la risposta, spesso inconsapevole, a una serie di esigenze lavorative più pressanti e complesse che in altri servizi.
Il processo lavorativo in comunità familiari, infatti, è profondamente segnato dalla turbolenza importata dai minori e dalle loro famiglie, che impedisce un lavoro standardizzato. La vita in casa famiglia con bambini e adolescenti è caratterizzata da una serie di incidenti imprevedibili, di azioni repentine, che richiedono rapide risposte ed elevate capacità di coordinamento, per contenere i rischi di reazioni a catena.
Ogni membro della casa famiglia e lo staff nel suo insieme sono chiamati a rispondere e a gestire questioni emotivamente intense non rinviabili nel tempo ed è quindi necessaria una capacità di elaborazione diffusa.
Nel corso dei prossimi paragrafi si cercherà appunto di capire chi è un educatore di casa famiglia, sia dal punto di vista professionale che esistenziale.
3.7.2. La “competenza educativa” dell’educatore professionale
Parlare di competenza educativa non è facile, visto che sono ancora molto diversi i criteri con cui si giudica un educatore competente o meno. Come prima cosa è comunque importante cercare di capire di cosa si sta parlando quando si fa riferimento alla competenza educativa, e ciò lo si può fare considerando solamente gli elementi della letteratura.
Nessuno può improvvisarsi educatore proprio perché nessuno nasce tale. Per questo motivo, alla base della scelta di diventare educatore sussiste un atto consapevole, che si fa forza di una serie di qualità che possiamo definire “dell’essere”, e di competenze professionali. Al primo gruppo appartengono quegli aspetti che possiamo definire caratteriali e ideali: la propensione alla relazione e all’empatia, la spontanea apertura all’accoglienza e all’ospitalità, la tolleranza verso l’opposto e la valorizzazione della diversità, una forte motivazione a vivere e a operare accanto a bambini e ragazzi già segnati dalla vita, a confrontarsi con la loro sofferenza e il loro dolore, a comprendere e gestire le manifestazioni e le provocazioni che ne derivano, la volontà e la capacità di mettersi in discussione, una discreta e sana dose di buonsenso.
Dall’altro lato ci sono le competenze più specialistiche, quelle che si costruiscono con lo studio, con i corsi di formazione e di aggiornamento, con i tirocini, col lavoro, con l’esperienza di comunità, con l’acquisizione di tecniche.
Ma la competenza educativa è qualcosa di più della somma delle singole conoscenze ed abilità perché riguarda anche la sfera dell’eticità, della volontà e dell’affettività del soggetto, perché fa affidamento sulla disponibilità di questi ad affrontare le sfide che gli si parano davanti e perché racchiude in sé le tracce lasciate da esperienze precedenti, da relazioni sociali e da riflessioni personali. Per un educatore, quindi, è importantissimo tener conto della realtà in cui si agisce e riuscire ad affrontare in modo intuitivo (più che analitico) situazioni che non dispongono di soluzioni predeterminate.312
Naturalmente questo paragrafo non può e non deve racchiudere tutte le argomentazioni che in letteratura si sono e si stanno tutt’oggi sviluppando su questo argomento, ma mi pare doveroso ricordare che in campo
311 C. Kaneklin – A. Orsenigo, Il lavoro di comunità, modalità di intervento con adolescenti in difficoltà, La Nuova Italia Scientifica,
Urbino, 1992, p. 149.
312 S. Angori, Professioni educative: quali competenze comuni?, monografia in corso di pubblicazione in un volume a cura di S. S.
educativo oggi si parli di competenza rifacendosi alla triade conoscenza – capacità – competenza , la quale riporta ai piani del “sapere” – “saper fare” – “saper essere”. Quest’ultima triade, ricorrente nella letteratura sulla formazione, ha il pregio di evidenziare la trasformazione che il sapere subisce dalla teoria alla prassi, prevenendo l’equivoco di contrapporre le competenze alle conoscenze come obiettivo alternativo della formazione.313 Tutto questo ci riporta all’importanza di alcune caratteristiche che portano un educatore
professionale ad avere un determinato comportamento lavorativo, tali caratteristiche sono disposizionali, esperienziali e motivazionali, le quali, incontrandosi con le varie esigenze del caso e con i diversi fattori situazionali determinano l’agire educativo.314
Una delle funzioni peculiari dell’educatore all’interno della casa famiglia è, tra le altre, quella di farsi persona autentica in un certo sistema di relazioni, senza però mai abbandonare il suo bagaglio di conoscenze tecniche e specialistiche.
Il possesso e l’impiego di contenuti, metodi e tecniche; l’esclusione di legami disfunzionali, incuranti del Tu; l’analisi dei fatti; il realismo e il perfezionamento degli interventi: tutto questo e altro ancora trova sostegno nell’istanza dell’autenticità personale dell’educatore di professione. Ciò significa avere consapevolezza di sé, della propria funzione educativa, dei propri limiti e competenze, della propria fallibilità e perfettibilità, dei principi e valori assunti, della condizione di interdipendenza in cui si vive: sono tutti fattori che aiutano l’educatore ad avere fiducia nell’uomo, in questo caso nel ragazzo e nella sua capacità di autoricupero.315
Un educatore, dunque, si fa persona autentica quando è capace di soddisfare nella maniera più adeguata le richieste dell’educando e, senza tradire i suoi orientamenti culturali e tecnici, sa intrecciare con lui una relazione <<da persona a persona>>.
3.7.3. I contenuti fondamentali della competenza educativa
Sono di conseguenza importanti alcune categorie pedagogiche che sottolineano la specificità operativa dell’educatore professionale.
Prima fra tutte l’integralità che impone di considerare l’educando, sempre e in ogni caso, come persona unica, originale, irripetibile. Il minore, cioè, va compreso nella sua integralità di uomo e l’educatore è chiamato ad avere fiducia nella persona che gli è davanti assumendo di conseguenza alcuni atteggiamenti quali l’accettazione, la conferma e l’empatia. Accettazione significa accogliere l’altro come un Tu originale, a prescindere dalla giustificazione e condivisione di tutti i suoi atti e gesti, riconoscere cioè la diversità del ragazzo/a dissociando sempre la persona dagli errori in cui incorre. La conferma consiste nel fatto che l’educatore fa capire all’educando di avere recepito la sua realtà personale e si comporta con delle modalità d’aiuto idonee a rinforzare nell’educando il suo sforzo di miglioramento e di assestamento personale. L’empatia, infine, non è da confondere con l’identificazione: non è un’assimilazione dell’altrui realtà psicologica ma implica un profondo legame interpersonale e la capacità individuale di tutelare il diverso da sé. Essa poggia sulla capacità dell’educatore di affinare la sensibilità personale e di coltivare un insieme di condizioni psico-affettive con cui cogliere appieno l’universo esistenziale dell’educando e contribuire al suo procedere, rimanendo sé stesso.
La comunicazione è l’asse portante del rapporto tra educatore e minore. Con la comunicazione interpersonale l’educatore sospinge l’educando, in maniera intenzionale e continua, ad affrontare e risolvere le proprie difficoltà, a pervenire a uno stato di consapevolezza, a scegliere i propri criteri di riferimento. L’educatore educa in modo intenzionale e permanente, in tutti i suoi comportamenti emerge la capacità di riconoscere, avvalorare, rinforzare la persona del minore accolto in comunità, mentre al tempo stesso lo accetta e lo accoglie in modo totale e incondizionato. Naturalmente la comunicazione educativa deve essere densa di valori e questo soprattutto all’interno di una casa famiglia dove i significati si manifestano attraverso una comunicazione per lo più analogica, non verbale, che si instaurano nel quotidiano, in ogni piccolo gesto. I valori come la disponibilità, la tolleranza, il rispetto, la cooperazione, la giustizia, l’amore, il perdono, vanno insegnati giorno per giorno e l’educatore, che ha a che fare con una fragilità morale del minore, ha il compito di esaltare in modo continuo questa direttività axiologica316 attraverso la quale
sospingere il ragazzo a costruirsi un equilibrato sistema normativo. L’educatore, infatti, non impone regole esterne e nemmeno la propria visione del mondo e della vita ma si preoccupa di offrire un sistema di valori
313 C. Xodo, Modello pedagogico delle competenze, CLEUP, Padova, 2001, p. 55.
314 Competenze trasversali e comportamento organizzativo, le abilità di base per il lavoro che cambia, a cura dell’ISFOL, Franco
Angeli, Milano, 1994, p. 33.
315 L. Pati, L’educazione nella comunità locale, Editrice La Scuola, Brescia, 1990, p. 288. 316 Ivi, p. 294.
che possono aiutare la crescita affettiva, relazionale e appunto morale del ragazzo, l’adulto sa impiegare la propria esperienza e conoscenza per giovare al chiarimento e alla precisazione degli schemi di comportamento del minore.
L’azione educativa non può limitarsi al “qui e ora” , ecco perché la progettualità ha una grande valenza pedagogica. Essa, infatti, pur valutando nel giusto modo i fattori ambientali, i bisogni minorili, le contingenze operative e strutturali, mira a fare leva sulle capacità del minore per favorirlo nel processo di personalizzazione. La progettualità fa capire come l’organizzazione degli interventi educativi non sia una richiesta estrinseca all’intero processo educativo, ma invece costituisca uno dei fattori fondamentali per far si che il minore si avvii ad affrontare in una maniera più equilibrata il corso dell’esistenza. Tale progettualità tutela il dinamismo del processo di crescita dei minori adolescenti accolti nelle case famiglia e costituisce la base su cui disegnare una proposta di sviluppo che, lungi dal risultare statica, si mostra congruente e flessibile, coerente cioè con i compiti di sviluppo di bambini e adolescenti. Il criterio della progettualità fa intendere come la competenza dell’educatore non possa essere perseguita trascurando il momento pedagogico-didattico. Occorre pertanto preparare l’educatore all’impiego di criteri d’analisi affidabili e personalizzati, i quali permettano di programmare con razionalità pedagogica gli interventi educativi.