OSSERVAZIONE VERIFICA
2. Il laboratorio come risorsa didattica (Daniela Frison)
2.2. Le modalità operative: il metodo didattico del laboratorio nella scuola elementare
2.2.3. La realizzazione del laboratorio: modalità e strument
Il laboratorio oltre a rappresentare uno stile operativo, una modalità di interazione con i bambini, costituisce, prima di tutto uno spazio fisico predisposto in modo da facilitare l’attività del fare. “L’ambiente scolastico”, infatti, “deve aiutare il bambino a rafforzare il proprio equilibrio attraverso la presenza di cose belle (arti plastiche, musica, decorazione dei luoghi dove si lavora)”.262 Lo spazio deve suggerire al piccolo apprendista un senso di libertà che garantisca la totale espressione della sua creatività. Il laboratorio è,
quindi, un “posto dove si va a giocare e lavorare”. In esso “si fanno imprese, esperimenti”, “si fanno tante prove, perché le idee trovino un posto su cui germogliare”. E’ “il luogo materiale in cui si respira il piacere del fare. Allora non può che essere un posto gradevole, luminoso, semplice, essenziale ma attrezzato”.263
Laddove sia possibile, molti istituti elementari, allo scopo di rendere il laboratorio un luogo accogliente e stimolante per il bambino, destinano un’aula a questa funzione allestendola in modo tale da creare un clima collaborativo e, in un certo senso, più intimo rispetto alla classe. I bambini, ad esempio, possono avere la possibilità di distribuirsi in piccoli gruppi, evitando, quindi, la classica disposizione per singoli banchi separati, e condividere, così, il materiale necessario allo svolgimento di una determinata attività. L’aula
258 M. Mencarelli, op. cit., 1983, p. 40.
259 Bruno Munari nasce a Milano nel 1907 e a diciotto anni inizia a lavorare come grafico nel capoluogo lombardo. Frequentatore dei
futuristi, è conosciuto per le sue macchine inutili sulle quali ha pubblicato un libro per poi iniziare a costruirle nel 1947. A partire dal 1949 costruisce libri illeggibili. Il mondo dell’infanzia lo attira sempre più finché, nel 1977, realizza il primo laboratorio per l’infanzia alla pinacoteca di Brera. Le esperienze munariane coinvolgono ben presto, oltre ai musei, scuole e ludoteche mentre l’artista continua a dedicarsi al design e alla pubblicità. Muore nel 1998. Tra le sue pubblicazioni: Design e comunicazione visiva,
contributo a una metodologia didattica (1968); Fantasia (1977); Da cosa nasce cosa (1981); Il laboratorio per bambini a Brera
(1981); I laboratori tattili (1984).
260 B. Munari, I laboratori d’arte per bambini. Conversazione con Bruno Munari e Giovanni Belgrano, in C. De Carli (a cura di), Arte per la didattica, Vita e Pensiero, Milano, 1990, p. 60.
261 P. Antonini, Dal laboratorio nasce il laboratorio: dieci anni di esperienze munariane, in C. De Carli (a cura di), op. cit., 1990, p.
80.
262 C. De Carli (a cura di), op. cit.., 1990, p. 40. 263 R. Pittarello, op. cit., 1996, p. 28.
destinata a laboratorio, inoltre, custodisce gli strumenti e i materiali quali ad esempio, colori, pennelli, carta di vario tipo, colla, che rendono la stanza variopinta e, quindi, attraente per gli allievi: “qui tutto va predisposto in modo da favorire lo sviluppo dei vari linguaggi che verranno di volta in volta proposti al bambino. Nel laboratorio-atelier non vi sono dotazioni individuali di materiali e strumenti: i colori, i pennelli e tutto il resto sono a disposizione della comunità”.264
Laddove, invece, non si disponga di una stanza da poter identificare propriamente come laboratorio è fondamentale “sentire l’aula come spazio che può essere trasformato per i vari laboratori, per la lettura, il teatro, i piccoli concerti, le mostre…”265. Fare laboratorio, non significa, quindi, esclusivamente trasmettere
ai bambini nuove tecniche o proporre loro attività alternative ma significa, soprattutto, creare, anche attraverso una disposizione fisica dell’aula diversa da quella canonica della classe, un nuovo stile di comunicazione con gli allievi, di conduzione del gruppo e di interazione con la realtà esterna. E’ fondamentale, inoltre, l’approccio con cui l’insegnante, l’educatore o l’animatore esterno si pongono di fronte ai bambini per proporre loro nuove tecniche e mezzi di espressione. “La tecnica è un imbroglio. Se non ce l’hai sei povero. Se ce l’hai, devi rinunciarci. Per esprimerti”266: la tecnica, infatti, garantisce
l’acquisizione di nuove abilità ma, contemporaneamente non dev’essere in primo piano nelle attività che si propongono agli allievi altrimenti sarebbe vanificato il vero senso del laboratorio, ossia la promozione della libera espressione e creatività dei bambini. Le tecniche devono, quindi, essere considerate semplicemente come risposta al “bisogno di mettere ogni soggetto umano nella felice condizione di esprimere se stesso in tutta la sua originalità”.267 Due sono infatti i punti fermi che ogni attività scolastica dovrebbe rispettare:
primo “che ogni alunno-individuo ha risorse sue, particolarissime, ch’egli ambisce a valorizzare”; secondo “che l’educatore pur dovendo ottemperare alla necessità di tutelare i valori oggettivi, non può prescindere dal dovere di favorire in tutti i modi possibili questa manifestazione della personalità prepotentemente reclamata e voluta dalla natura stessa”.268
Il limite imposto alla trasmissione della tecnica al fine di salvaguardare “il soffio umano che è al principio dell’espressione”269, è in linea con l’attenzione riconosciuta a tutte le manifestazioni espressive del bambino, a partire dallo scarabocchio. Il riconoscimento dell’importanza degli scarabocchi nella vita dei bambini è una scoperta piuttosto recente. Prima, infatti, “tutte le manifestazioni grafiche infantili che non approdavano nella figurazione venivano considerate come l’espressione più chiara dell’incapacità del bambino e rappresentavano un periodo di caos e di disordine che doveva essere superato al più presto”.270 Lo scarabocchio rappresenta, invece, la prima tappa che conduce il piccolo alla consapevolezza di potersi esprimere e “segue, nel tempo, una sua linea evolutiva che viene a riflettere il processo di maturazione psicologica del bambino”.271 L’insegnante deve, quindi, rispettare questa naturale evoluzione e mettere a
disposizione del piccolo artista gli strumenti e i materiali più adeguati ad una determinata fase di sviluppo, oltre ad “esercitare un’azione sollecitante per favorire l’approfondimento del rapporto con i contenuti della realtà”.272
Il laboratorio permette, infatti, al bambino di entrare in contatto con la realtà circostante. In parte, questa interazione con l’ambiente dipende dai contenuti trattati, in parte, invece, è strettamente connessa alla raccolta di materiale. Il ruolo di stimolatore che è proprio dell’insegnante gli impone non solo di fare attenzione alle modalità espressive seguite dall’allievo ma di sollecitarlo nell’esplorazione dell’ambiente che lo circonda, invitandolo a mettersi alla ricerca del materiale necessario alla realizzazione di una determinata attività. Mediante questo aspetto del laboratorio l’allievo sperimenta un contatto diretto con la materia: “i bambini toccano e nel fare ciò conoscono e memorizzano i nomi e le caratteristiche strutturali dei materiali comuni della loro esperienza, conoscono e verbalizzano le sensazioni prodotte dal tatto e inizia il gioco delle relazioni”.273
264 C. Piantoni, op. cit., 1974, p. 67. 265 R. Pittarello, op. cit., 1996, p. 117. 266 Ivi, p. 28.
267 M. Mencarelli, op. cit., 1983, p. 240. 268 Ibidem.
269 Ibidem.
270 C. Piantoni, op. cit., 1974, p. 71. 271 Ivi, p. 73.
272 Ivi, p. 94.
Le considerazioni finora esposte valgono non solo per i laboratori strettamente imperniati sulle attività artistiche ma per tutte le attività espressive che possono essere valorizzate in ambito scolastico. Tra queste è possibile citare274:
Il gioco e il lavoro. A riguardo la storia della pedagogia offre un’ampia gamma di suggerimenti
collegati a vari tipi di materiali didattici: dal materiale froebeliano a quello montessoriano, da quello del Decroly a quello delle sorelle Agazzi. Il fine di questi oggetti è stimolare lo sviluppo percettivo del bambino e garantire la libera espressione del bambino. La scuola ha, infatti, il compito di “favorire l’espressione di sé” evitando “l’alienazione dei talenti personali e quindi della personalità” dovuta al fatto che “l’alunno è preso dalla coreografica disposizione dei mezzi, dal loro suggestivo funzionamento, dalla loro meccanica perfezione”.275
Il disegno spontaneo. La sua funzione è prevalentemente comunicativa. I pedagogisti, a tale proposito,
insistono sulla necessità che il bambino possa esprimersi a suo modo. La varietà di strumenti che gli vengono proposti è finalizzata a garantire al piccolo la possibilità di trovare il più idoneo a manifestare ciò che egli sente.
La composizione spontanea. E’ la più classica fra le attività espressive ma anche una tra le più criticate
poiché si attribuiscono ad essa gli errori ortografici, il disordine. Di fatto, però, essa rappresenta una modalità di riflessione personale sull’esperienza vissuta a scuola e, soprattutto, fuori dall’ambiente scolastico.
La drammatizzazione. Essa “parte dal presupposto di far rivivere un fatto storico o di far calare un’idea
nell’azione al fine di permetterne una reale compenetrazione, che le parole non consentono sempre.”276
Questa tecnica favorisce, da un lato, l’espressione della personalità e, dall’altro “opera nella formazione di un saldo sentimento sociale in virtù della collaborazione che esige fra fanciulli”.277
Teatro e burattini. Il teatro rappresenta una forma complessa di drammatizzazione. Il suo scopo non è
assolutamente creare bambini attori quanto, piuttosto, “stimolare la creatività, coinvolgere la partecipazione attiva di alunni e docenti, gestire le emozioni in una situazione di relazione”.278 Mediante il teatro viene offerta al bambino la possibilità di “mettersi in gioco con regole diverse da quelle normalmente in vigore” e “di esprimere la verità, e la verità di sé, proprio perché è accettato che si stia agendo sul terreno della finzione”.279 Per quanto riguarda l’esperienza dei burattini, essa si pone come obiettivo quello di considerare
il bambino come protagonista e reale risorsa dell’apprendimento. Essa offre ai piccoli burattinai la possibilità di immedesimarsi in un personaggio e farlo parlare permettendo, così, da un lato, la libera espressione di ciò che il bambino si sente di dire, dall’altro, la possibilità di sviluppare mediante questa tecnica, contenuti affrontati in classe che risulterebbero per i bambini troppo pesanti e impegnativi. Attraverso i burattini è, infatti, possibile investire qualsiasi disciplina o affrontare un percorso di recupero qualora ci siano segnali di difficoltà o disimpegno.
Il canto spontaneo. L’espressione musicale, nelle sue forme più semplici, rappresenta sempre una
modalità comunicativa che coinvolge attivamente il bambino.
Collage e mosaico. Il collage richiede l’impiego delle funzioni motrici, intellettuali, cromatiche,
immaginative del bambino e il mosaico ne rappresenta una forma più complessa.
La plastica. La tecnica della modellazione “è un fatto naturale che spinge l’individuo a sottomettere la
materia alla propria volontà, dandole una forma e una significazione”.280 L’esperienza con i materiali plastici
viene inoltre ricondotta all’espressione dei processi proiettivi del bambino: “mentre modella l’argilla o la plastilina il bambino”, infatti, “realizza oggetti e personaggi che rivestono per lui un particolare valore affettivo” e manifesta così “le sue ansie, le sue fantasie, i suoi problemi”.281
L’analisi delle suddette esperienze proponibili ai bambini delle scuola primaria dimostra come la letteratura pedagogica veda nelle attività espressive una modalità di incontro del bambino con se stesso e con il mondo di relazione. Esse non devono essere percepite come tecniche fine a se stesse, da realizzarsi prescindendo dai contenuti disciplinari che l’allievo sta affrontando dal punto di vista intellettuale. Nell’ottica del laboratorio devono essere applicate ai suddetti contenuti e predisposte secondo tempi e modalità che valorizzino l’esperienza di vita degli allievi, compresa quella che essi hanno maturato prima
274 La classificazione delle attività espressive è riportata da Mario Mencarelli come esempio “della migliore esperienza didattica
scolastica per favorire l’espressione della personalità” (M. Mencarelli, op. cit., 1983, pp. 240-249).
275 Ivi, p. 241. 276 Ivi, p. 245. 277 Ivi, p. 246.
278 E. Pasinetti, A. Pennacchio, Perché il teatro a scuola, in “Scuola Italiana Moderna”, n. 6, 15 novembre 2001, p. 15. 279 Ivi, p. 16.
280 M. Mencarelli, op. cit., 1983, p. 249. 281 C. Piantoni, op. cit., 1974, p. 119.
dell’ingresso e scuola. E’ fondamentale, inoltre, “considerare unico ogni bambino” poiché “ognuno deve arrivare a scoprire le proprie attitudini, le proprie dotazioni” e fare in modo che “tutti i bambini partecipino attivamente ai progetti in cui sono coinvolti”.282