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Disegni di Guido Cadorin per la rivista satirica “Numero”

164 ANNA VILLAR

su quelle pagine. Coinvolti in veste di redattori o semplici e occasionali collaboratori, arruolati e no, questi intellettuali e questi artisti, sulla base di preoccupazioni, per la prima volta, anche di carattere psicologico, riuscirono a mantenere un loro margine di autonomia espressiva, anche all’interno di una griglia di “norme” di comunicazione, codifi cate e emanate dal Comando centrale sia per la stampa militare che civile, ma in realtà abbastanza generiche in materia di immagini. È così che le pagine delle riviste di satira politica e di trincea – il frutto più inte- ressante del titanico sforzo propagandistico del paese – divennero in molti casi uno spazio dove mettere alla prova codici, tecniche e lin- guaggi visivi che talvolta recuperavano forme, rivedute e aggiornate, della tradizione fi gurativa e grafi ca tardo-ottocentesca, ma talvolta rap- presentarono una sorta di palestra sperimentale, divenendo un labora- torio creativo che in molti casi risentì, grazie all’apporto di artisti come Aroldo Bonzagni, Mario Sironi, Ardengo Soffi ci o Giorgio de Chirico, di echi d’avanguardia e di studi provenienti dalle frange più avanzate della ricerca fi gurativa internazionale, vista anche l’ampia circolazione, in Italia come in tutta Europa, di riviste e materiali grafi ci.

Tra la pratica risorgimentale e postrisorgimentale delle riviste educative – come “Il Corriere dei Piccoli” o “Il Giornalino della Domenica” – espressione di un clima e delle attese della generazione pre-guerra, di quelle satiriche di tradizione tardo-ottocentesca, sulle quali personaggi pubblici venivano deformati e irrisi in vignette allusive e graffi anti, e le esperienze dei nuovi giornali di guerra, si colloca l’avventura edi- toriale di una tra le più interessanti riviste del secondo decennio del Novecento, “Numero”.

Fondata a Torino il 4 gennaio 1914 dall’illustratore Eugenio Colmo (che si fi rmava Golia), dal pubblicitario Nino Caimi, da Dino Segre (in arte Pitigrilli), dal disegnatore Giovanni Manca e con il sostegno di Guido Gozzano e della “divina Amalia” Guglieminetti, “Numero. Settimanale umoristico illustrato” era un giornaletto di piccolo for- mato con pagine a colori – ma divenne in bianco e nero già prima dello scoppio del confl itto, per tagliare i costi – raffi nato e mordace, molto torinese nei riferimenti – Leonardo Bistolfi è spesso citato – e nello stile; un giornale, tra gli altri, dalla dichiarata posizione antigio- littiana e anticlericale, e via via dichiaratamente interventista. Ma al di là degli schieramenti e del momento politico, la rivista si presentava nuova e brillante in ogni sua manifestazione: nei toni degli editoriali, delle novelle, dei disegni, degli scherzi in rima, dei concorsi e perfi no in collaterali iniziative espositive, dedicate all’umorismo e alla caricatura. Grafi camente tra le riviste più ricche di quegli anni, improntata al piglio elegante e sintetico di Golia, “Numero” riscosse un grande successo, arrivando a quintuplicare la tiratura (fi no a più di 40.000 copie) nel giro di appena due mesi, tra il settembre e il novembre del 1914. Un gradimento motivabile, come dichiararono gli stessi fondatori, con la capacità di catalizzare “una certa opinione pubblica” e di rappresen- tare “in questo speciale momento di vita italiana, una delle più sincere

TRA VENEZIA E ROMA, ESORDI GRAFICI E RIMANDI PITTORICI DI UN “VERSATILE TALENTO” 165

e vivaci espressioni del pensiero e delle aspira- zioni nazionali”. Ma certo il pubblico apprezzò anche il carattere singolare delle sue illustrazioni, alcune più politiche e ciniche, altre più aggraziate e da giornalino di moda, e la qualità delle sue matite: tra i tanti collaboratori spiccano Filiberto Scarpelli, simpatizzante futurista, cartellonisti e illustratori già celebri come Enrico Sacchetti, Luigi Bompard, Umberto Brunelleschi, Aldo Mazza, Aleardo Terzi, Marcello Dudovich o, più giovani, i sofi sticati Sergio Tofano e Bruno Angoletta.

Qui ci si vuole tuttavia soff ermare sulla parteci- pazione non di un illustratore di professione, ma di un pittore allora poco più che ventenne, Guido Cadorin: alcuni suoi disegni2 appaiono infatti

confermare la vivacità e il carattere di accessibile “laboratorio” che molte delle riviste catalogate come di satira e di guerra, rivestirono nel pano- rama artistico italiano del secondo decennio del secolo.

Nell’anno in cui avvia la sua collaborazione a “Numero” il veneziano Cadorin, allievo pre- diletto di Cesare Laurenti, cresciuto nel clima internazionale della Venezia di inizio Novecento e sensibile agli echi viennesi e secessionisti, ha già esposto a Ca’ Pesaro e alla Biennale di Venezia, con dipinti e con opere di arte applicata: fi glio di un ebanista oltre che degno erede del suo maestro, dipinge infatti a olio, pastello, encausto e aff resco, ma lavora anche mobili, metalli sbalzati, tessuti dipinti, vetri. Il suo esordio al di fuori della città natia si colloca però nel 1911, con la partecipazione alla mostra del Carnegie Institute di Pittsburgh e soprattutto all’Esposizione Internazionale di Roma, dove ritrova l’amato Klimt ed espone, con un certo successo, tre ritratti a tempera. Il legame con il mondo romano sarà ricorrente e felice anche negli anni successivi: dopo aver parteci- pato alle prime due mostre della Secessione nel 1913 e 1914, alla III mostra, nel 1915, tiene infatti una personale.

La prima uscita di Cadorin sulla rivista torinese è un disegno a colori pubblicato nel n. 14 del 29 marzo 1914 (ill. 1). Una giovane donna è ripresa di spalle in un interno domestico quasi nudo, se non fosse per un angolo di quadro sulla parete e una porzione di pavimento, dalle fughe ben delineate; le braccia non si vedono, il capo è reclinato in avanti, a scoprire la nuca. Scherzosamente, la redazione vi associa una sorta di concorso: “Che cosa fa???” si domanda ai lettori, invitati a inviare la loro interpretazione della fi gura e della posa; e a chi saprà fornirla, in premio “lo stesso originale del disegno del formato 30 × 45 in elegante e artistica

1. Guido Cadorin,

Che fa???, in “Numero”,

n. 14, 29 marzo 1914 (foto Civici Musei, Udine)