suoi viaggi all’isola di Scio
1. Filippo Marsigli,
Omero che racconta al pastore Glauco le cose sofferte nei suoi viaggi all’isola di Scio, 1818. Collezione
122 LUISA MARTORELLI
del Marsigli4, eseguita da Francesco Rispoli, alunno del Real Istituto di
Belle Arti, presente alla mostra borbonica del 1835, testimonianza elo- quente della fortuna acquisita dall’opera tra i contemporanei.
Il grande dipinto fu realizzato da Marsigli nel 1818, come si rileva da data e fi rma di suo pugno in basso a sinistra della tela. Era appartenuto alla raccolta del principe Leopoldo di Borbone (1790-1851), fratello di Francesco I di Borbone, che lo aveva acquistato direttamente dal pittore, durante il terzo anno del quinquennio di pensionato romano, a un prezzo di 1000 scudi romani (pari a 1250 ducati napoletani)5. Esposto nelle sale
del secondo piano del Real Museo borbonico, vi rimane fi no al 1857 quando, alla morte di Leopoldo di Borbone, tutta la raccolta sarà ereditata dall’unica fi glia del principe, Maria Carolina di Borbone, che aveva spo- sato nel 1844 Henri d’Orléans, duca di Aumale. La dispersione del quadro e dei 69 dipinti della collezione, scompaginata e venduta a Londra, a causa dei debiti contratti dal duca di Aumale, avviene il 10 gennaio del 1857 e in tale circostanza si perde di vista anche l’altra celebre opera del Marsigli,
La prigionia del conte Ugolino, eseguita nel 1823 ed esposta alla biennale
borbonica del 1826 insieme all’Omero6.
Il soggetto è desunto da un tema di Tommaso Minardi (Faenza, 1787 - Roma, 1871) eseguito nel 1810, Omero cieco in casa del pastore Glauco (Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna) con un’intonazione intimi- stico-sentimentale, in chiave classicistica, ancora di linguaggio tardo-set- tecentesco7. L’ipotesi di una derivazione dalla matrice romana, come si
riscontra nel tema omologo di Nicola Consoni8, si esclude per il nostro
dipinto che si presenta con una connotazione diversa, non solo per l’im- pianto compositivo del tutto nuovo, segnato dalla scelta del formato, da verticale a orizzontale, ma per una soluzione concettuale neoclassica più rigorosa, centrata sui modelli della statuaria antica e soprattutto per una sorprendente soluzione naturalistica.
Il soggetto di Marsigli s’impernia sull’incontro tra il poeta Omero e il
2. Filippo Marsigli,
Omero che parla al pastore Glauco, 1818
RIFLESSIONI SUL DIPINTO DI FILIPPO MARSIGLI, OMERO CHE RACCONTA AL PASTORE GLAUCO 123
pastore Glauco avvenuto all’esterno di un’abi- tazione, dove si trova a passare anche un giovane pastore, amico di Glauco. Omero è seduto sulla panca, ha le spalle ricurve tipiche di un vecchio e il volto stremato dai disagi delle soff erenze e dell’a- vanzata cecità. Appare duramente provato. Il gesto della mano accompagna la facile narrazione da cui sembra attratto Glauco che “s’invaghì della di lui conversazione”, come cita il testo greco dell’Iliade9.
Il protrarsi della visita lo condiziona in una posi- zione stancante e nonostante la fi sicità “erculea”10
sembra impacciato e si appoggia al muro, aiutandosi col sostegno di una verga (ill. 4). La scena è com- pletata da quel “cane bellissimo che diresti pure ascoltar le avventure del cieco ed errante poeta ed averne più degli uomini pietà compassione e reve- renza”11, dallo sguardo tenero e dolce.
Non sono pochi i riferimenti alla statuaria classica. È facile riconoscere nella testa dell’Omero il proto- tipo dei Musei Capitolini, in ossequio alla lezione impartita durante gli anni del pensionato romano, ma spicca per novità inventiva il personaggio di Glauco, ispirato al modello statuario dell’Ercole Farnese (ill. 3), nella corporeità delle membra tra- sposta alle sembianze dell’umile pastore. La posi- zione lievemente inclinata del corpo e la contra- zione dell’avambraccio sinistro e la mano, studiata dettagliatamente nell’apertura delle dita dall’opera attribuita a Lisippo, con la tensione muscolare delle gambe, la sinistra che avanza sulla destra, contrasse- gnano lo studio attento e puntuale dal capolavoro Farnese.
La realizzazione di questo dipinto riveste non poca importanza perché non solo legittima, con stra- ordinaria tempestività cronologica, le soluzioni indicate dalla direzione di Michele Arditi in merito alla sistemazione del grande atrio del Real Museo Borbonico, del cortile orientale e del “Portico delle divinità”, col vestibolo centrale destinato all’Ercole Farnese “che per la sua celebrità meritava i primi riguardi”12, ma conferma l’indirizzo di politica culturale
della prima restaurazione borbonica. L’ubicazione dell’Ercole, fi nalmente liberato dalle casse che lo avevano negato al pubblico per anni, meritava una scenografi a accurata, concepita per esaltarne da più punti di vista la visione, anche da lontano o di traverso della lunghezza del cortile13 e sug-
gella l’impegno di questa fase di allestimento il compimento della prima
Guida del Museo,, nel 181714.
Il dipinto ispirato al capolavoro Farnese, dopo la sistemazione delle sale di scultura, placava le dispute sul pericolo di dispersione dei capolavori
3. Lisippo, dall’originale bronzeo del IV secolo a.C., Ercole Farnese. Napoli, Museo archeologico nazionale, inv. 6001
4. Filippo Marsigli,
Omero che racconta al pastore Glauco, le cose sofferte nei suoi viaggi all’isola di Scio, 1818,
particolare. Collezione Intesa Sanpaolo
124 LUISA MARTORELLI
della celebre collezione, alimentate in un trentennio di polemiche sorte in ambito pontifi cio e in ambiente accademico romano, quando la colle- zione Farnese fu trasferita da Roma a Napoli, nel 1786.
La sensibilità del principe Leopoldo di Borbone fu tale da accogliere favorevolmente quest’opera di Marsigli perché ritenuta un’interpreta- zione moderna dell’Ercole. Pertanto dopo la sua realizzazione, fu presto collocata nell’appartamento privato del palazzo, mentre al pianterreno del Real Museo si poteva confrontare il modello statuario ispiratore. Nel ripercorrere la vasta fortuna critica che ha accompagnato la storia del quadro, il commento di Domenico Morelli desta un particolare interesse: “Tra i nostri migliori artisti di quel tempo, primo era Filippo Marsigli. Egli aveva fatto una vera opera d’arte; il migliore, anzi l’unico quadro che resterà nella storia della pittura del nostro secolo, Omero che canta e
i due pastori”15, interpretando il dipinto come un’anticipazione di quei
principi del “verismo storico” assegnati al nuovo modo di fare pittura, di cui Morelli sarà singolare interprete, negli anni cinquanta dell’Ottocento.
1 Il dipinto, a olio su tela, di 240 × 360 cm, ubicato nella fi liale San Carlo di Torino, attende ancora un ade- guato intervento di restauro e una degna destinazione che lo rende visibile al pubblico. L’opera è stata già pubblicata nel libro di A. Irollo, Gli artisti. Il mercato. Le mostre. Occasioni
e prassi espositive nel Real Museo di Napoli, Aracne Editrice,
Roma 2010, fi g. 9.
2 Asta di dipinti e arredi neoclassici / mobili e oggetti d’anti-
quariato / dipinti dal XVI al XIX secolo, Roma 27-28 mag-
gio 1980, lotto n. 98, pp. 34-35.
3 Cfr. L. Martorelli, La pittura dell’Ottocento tra Accademia,
Museo e Collezionismo in I Borbone di Napoli, a cura di N.
Spinosa, Franco Di Mauro, Napoli 2009, p. 370, ill. 229. Delle vicende di questi bozzetti ne fa una ricostruzione meticolosa C. Napoli, Le esposizioni di Belle Arti nel Real
Museo borbonico dal 1826 al 1859, Catalogart.it, Genova
2009, pp. 29-31.
4 Di questa replica parla lo scrittore Cesare Malpica che l’aveva vista “nell’abitazione del suo amico”: C. Malpica
Pensieri del tramonto. Prose, Tipografi a all’insegna del
Salvator Rosa, Napoli 1839, pp. 94-96 e Napoli, Le espo-
sizioni cit., p. 96.
5 Cfr. A.S.Na, Ministero degli aff ari Interni, II inv., busta
1966, fasc. 5, anno 1821; A.S.Na, Casa Reale Ammm.va, serie Segreteria di Stato di Casa Reale, busta 259, fasc. 146, in Napoli, Esposizioni cit. p. 30.
6 Cfr. Catalogo delle opere di belle arti esposte nel palagio del Real Museo borbonico il dì 4 Ottobre 1826, Stamperia Reale,
Napoli 1826, pp. 34, 44; Catalogue on Saturday, January 10, 1857, Printed by W. Clowes and Sons, London 1857; cfr. Napoli, Le esposizioni cit., pp. 31-32; Don Fastidio (Fausto Nicolini), La quadreria del principe di Salerno, in “Napoli Nobilissima”, XVI, 1906, pp. 92-94; C. Fiorillo,
Una vendita all’asta nel Real Museo Borbonico, in “Napoli
Nobilissima”, XXVII, fasc. V-VI, 1988, p. 171.
7 G. Capitelli, scheda, in Maestà di Roma. Da Napoleone
all’Unità d’Italia. Universale ed Eterna. Capitale delle Arti,
progetto di S. Susinno, a cura di S. Pinto con L. Barroero e F. Mazzocca, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale e Galleria Nazionale d’Arte Moderna), Electa, Milano 2003, p. 143.
8 S. Rolfi , scheda, in Quadreria. Arte in Italia 1780/1930,
tradizione e continuità, a cura di S. Grandesso, catalogo della
mostra (Roma, Galleria Carlo Virgilio), Roma 2001, p. 50, citata da Capitelli, scheda cit.
9 Cfr. G. Ceruti, La Iliade di Omero, Presso Tommaso Masi e Comp., Livorno 1805, pp. XXI.
10 Duca di Casarano, Omero che racconta le sue avventure a
Glauco, dipinto di Filippo Marsigli della Quadreria di S.A.R. il principe di Salerno, in Rimembranze storiche ed artistiche della città di Napoli, pubblicate per cura di Domenico Del Re,
Stamperia dell’Iride, Napoli 1846, pp. 101-106, tav. XII: 102.
11 E. Rocco, Omero e Glauco [di Filippo Marsigli], in
“Vittoria Colonna”, I, 20 febbraio 1845, n. 2, pp. 9-10: p. 10.
12 Cfr. E. Pozzi Paolini, Da Palazzo degli Studi a Museo
Archeologico, Mostra Storico documentaria del Museo Nazionale di Napoli, Soprintendenza Archeologica di Napoli, Napoli
1977, pp. 5-11.
13 A. Milanese, Il Museo Reale di Napoli al tempo di
Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, in “Rivista dell’I-
stituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’arte”, s. III, XIX-XX, 1996-1997, p. 390. Cfr. F. Rausa, L’Ercole Farnese in Le sculture Farnese / III, Le sculture delle terme di Caracalla.
Rilievi e varia, Electa, Milano 2010, pp. 17-20.
14 Cfr. Il Regal Museo borbonico descritto da Giovan Battista Finati, Presso Giovanni De Bonis, Napoli 1817.
15 D. Morelli, Filippo Palizzi e la Scuola napoletana di pittura dopo il 1840, in D. Morelli, E. Dalbono, La scuola napoletana di pittura nel secolo decimonono, G. Laterza, Napoli
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a prima volta che ho visto Fernando Mazzocca la ricordo come fosse ieri. Ero appena laureata ed ero borsi- sta all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofi ci di Napoli. Fernando aveva i capelli a spazzola, cortissimi, biondo platino, una camicia stretta rosso ciliegia e ci parlava di Canova e Cicognara, fu una lezione straordinaria e in me lasciò un segno profondo. Da allora non ho più smesso di fre- quentare i suoi testi e di seguire il suo lavoro, anche quando ho cambiato strada e la storia dell’arte ha smesso di essere il mio pane quotidiano. Il testo che segue è stato concepito in occasione della messa in scena delleOperette morali di Giacomo Leopardi, per la regia di Mario Martone, nel
marzo del 2011. È stato il primo progetto al quale ho lavorato da dram- maturga e non da storica dell’arte e proprio per questo mi piace dedicarlo a Fernando, amico e maestro1.
Lo spazio reale è quello della biblioteca del padre Monaldo, a Recanati; è quella la scena in cui prendono corpo i fantasmi che accompagnano i giorni e le notti di Leopardi e che popolano le pagine delle Operette
morali. Sono dèi, spiriti, uomini in carne e ossa, fi losofi antichi e moderni:
fi gure larvali e fantasmatiche in cui Leopardi riversa il suo molteplice ingegno, in cui si rifl ette la potenza creativa delle contraddizioni che ani- mano il suo pensiero dando corpo a una folgorante ironia. Si tratta di un testo che non si può defi nire teatrale in senso classico, ma che pure è stato pensato come una commedia, in una lingua e con una struttura così vive e moderne da far saltare i riferimenti drammaturgici del secolo in cui è stato scritto per suggerire una profonda consonanza con esperienze teatrali del Novecento.
La scena delle Operette morali è un non luogo, uno spazio vago e inde- fi nito come sono i sogni, denso di contenuti, popolato di “sembianze eccellentissime e soprumane”, teatro immaginifi co e potente di continue apparizioni di personaggi della fantasia, del mito e della storia. I riferi- menti iconografi ci sono semplici, diretti, presi dai libri, dai dipinti di casa: l’Iconologia di Cesare Ripa, gli Emblemata dell’Alciato, e poi repertori di ogni genere e illustrazioni di libri di viaggio, pieni di sogni di fuga e di