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1. Angelo Inganni,

L’uscita dal veglione,

1858, olio su tela, 120 × 150 cm, fi rmato e datato in basso a sinistra: “A Inganni/1858”. Collezione privata

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fi gure principali – l’uomo col domino nero e la donna che sviene – che si interse- cano esattamente in prossi- mità della mano sinistra di Lucia, ritratta mentre indica proprio verso la giovane esa- nime, fulcro emotivo di tutto il dipinto.

Grazie a recenti ricerche si è riusciti a identifi care i per- sonaggi raffi gurati, i quali altro non sono che i pro- tagonisti del monumentale

feuilleton dello scrittore mila-

nese Giuseppe Rovani, il celeberrimo Cento anni. Un romanzo, un tempo popo- larissimo, pubblicato inizial-

mente a puntate nell’Appendice del quotidiano la “Gazzetta Uffi ciale di Milano” tra il 1857 e il 1858 e successivamente edito, nel 1859, in un monumentale volume di oltre mille pagine.

Il momento rappresentato3 illustra il primo colpo di scena dell’intricato

romanzo ovvero quando il violinista, Lorenzo Bruni, l’uomo col domino nero, mette a segno un ardito piano per salvare la rispettabilità della pro- pria protetta, la ballerina Margherita Gaudenzi, ingiustamente accusata di essere la destinataria delle scorribande notturne del tenore Angelo Amorevoli, il quale si trova in carcere con l’erronea accusa di furto per essersi invece avventurato nel giardino della proprietà confi nante, appar- tenente alla bellissima contessa Clelia V, la donna ritratta mentre sviene sorretta dalle braccia del fratello.

La scena è ambientata all’uscita del Teatro Regio Ducale dove si è appena conclusa la festa da ballo dell’ultima sera del carnevale milanese4. Il Bruni,

segretamente innamorato della Gaudenzi, ha architettato un escamotage “destinato a gettar fuoco e fi amme nella polveriera di questo dramma”5.

Si è fatto realizzare, da un amico pittore, una maschera ritratto con le sem- bianze del tenore con la quale, complice il carnevale, si mostra alla nobil- donna provocandole un malore che palesa, agli astanti, che è lei l’oggetto della liaison amoureuse della quale tutti sussurrano.

In questa folgorante istantanea, Inganni affi anca ai protagonisti straordinari comprimari: il fratello di donna Clelia, che la sorregge con apprensione, l’elegante sorella la quale, avvolta da un mantello verde cangiante, cerca di sostenerle il braccio, la contessa del Grillo Borromeo, imbarazzata di trovarsi proprio nel mezzo di uno scandalo, una provocante Lucia, pronta a propagare la notizia, Brighella che, incuriosito, si gira di scatto per vedere cosa sta accadendo, il marito, in alta uniforme che non riesce a celare il pro- prio disappunto, il moro sbigottito e, a destra, un misterioso spettatore,

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con cappello piumato, il cui volto è un ritratto dello stesso artista6.

Il carattere melodrammatico del dipinto è amplifi cato dal teatrale deliquio della nobildonna e dal gesto del Bruni, il quale, con gli occhi sgranati, impugna la maschera come se fosse un pugnale. È in eff etti un documento fi gurativo indubbiamente aff ascinante7 che mostra una peculiare interpre-

tazione psicologica dei personaggi coniugata a una ricercata condotta ese- cutiva: la tela presenta infatti un intreccio di pennellate che si compattano in alcune parti e si stratifi cano in altre mediante velature e sovrapposizioni che esibiscono i mirabili rifl essi dei ramages dei vestiti nonché lo scintillio dei monili e della argentea sperada. Anche la luce è ricercata e non poteva essere altrimenti per il mago degli “eff etti di fuoco e di lume”: una penom- bra ambrata avvolge le silhouettes delle fi gure che si accalcano all’uscita del teatro, rischiarato lateralmente dai primi bagliori cerulei dell’alba, il cui portico è permeato da una luce frontale, fuori campo, diff usa e modulata, che cristallizza, in funzione drammaturgica, il tumulto provocato dall’au- dace gesto del Bruni.

Nell’orchestrare la scenografi ca agnizione Inganni si è presumibilmente avvalso di un signifi cativo riferimento visivo: la prima versione dei Vespri

siciliani di Francesco Hayez, un’opera del 1822 acclamata dalla critica come

un nuovo capolavoro della pittura romantica8. Una tela che Hayez eseguì a

Venezia, prima del defi nitivo trasferimento a Milano nel 1823, nella quale proponeva un tema destinato a riscuotere, grazie anche all’evidente allu- sione patriottica, una grande fortuna nel panorama artistico ottocentesco e che si è rinnovata, nei decenni successivi, col melodramma Les Vêpres sici-

liennes musicato da Giuseppe Verdi sul libretto di Eugène Scribe e Charles

Duveyrier, rappresentato all’Opéra di Parigi il 13 giugno 1855 e il 26

2. Roberto Focosi, Bianca

di Messina, I Vespri siciliani, 1834, litografi a,

560 × 633 mm. Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo Stampe 3. Francesco Hayez,

I Vespri siciliani, 1822,

olio su tela, 30 × 38,5 cm. Collezione privata

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dicembre dello stesso anno al Teatro Ducale di Parma col titolo Giovanna di Guzman. Sembrerebbe invero azzardato aff ermare che Inganni possa aver visto il celebre dipinto commissionato dalla marchesa Vittoria Visconti d’Aragona. D’altro canto è invece altamente probabile che conoscesse la litografi a dell’opera che Roberto Focosi presentò all’annuale esposizione dell’Ac- cademia di Belle Arti di Brera nel 18349

proprio nello stesso anno del suo debutto (ill. 2)10. Una stampa che, tra l’altro, ricevette

una straordinaria attenzione da parte della critica del tempo11. Non è poi da escludere

che Inganni possa aver avuto l’occasione di visionare qualche altra variante dei Vespri

siciliani di Hayez12: forse quella di dimen-

sioni più contenute di proprietà dell’inci- sore Paolo Caronni13, anch’essa esposta alla

rassegna di Brera nel 1822 e defi nita da Francesco Pezzi sulla “Gazzetta di Milano” come una “prima idea” della versione di grande formato (ill. 3)14.

Confrontando i dipinti, L’uscita dal veglione trasuda di riferimenti ad Hayez quali la corrispondenza compositiva della protagonista la cui fi gura vacilla lateralmente forzando suggestivamente l’armonia spaziale del quadro, la gestualità teatrale, la caratterizzazione fi siognomica nonché la scelta di ritrarre nei volti dei personaggi persone note: in primis Amanzia Guerillot alla quale il pigmalione nonché neo marito assegna il ruolo della tormen- tata eroina, la bellissima contessa Clelia V15.

D’altro canto pare proprio che il 1858 sia stato un anno consacrato a una sorta di “revival hayeziano” come documenta anche un’altra tela di Inganni raffi gurante L’ultimo bacio dato a Giulietta da Romeo che fa parte di un ciclo pittorico dedicato agli amori celebri della letteratura (ill.4)16.

La scena richiama, in controparte, l’omonimo celeberrimo dipinto di Hayez del 182317 che l’artista bresciano forse aveva avuto modo di osser-

vare nella collezione Sommariva a Tremezzo grazie anche alle frequenta- zioni col pittore miniaturista Giambattista Gigola18. Certo, rispetto all’illu-

stre referente – la cui diff usione era stata grandissima in incisioni, cammei smalti e miniature – quest’opera appare priva di quella carica emotiva e sensuale che aveva reso così memorabile il prototipo hayeziano. Ma la particolare collocazione di questa serie di tele – forse destinate a decorare gli ambienti di qualche residenza signorile19 – giustifi ca l’evidente calligra-

fi smo dell’immagine, permeata da misurati contrasti chiaroscurali nonché da un’ardita scelta cromatica nella quale opalescenti bianchi e azzurri, rial- zati da squillanti tocchi di luce, si alternano alle tonalità brillanti dei verdi, rossi, viola e arancio che frequentemente ricorrono nella produzione arti- stica del maestro bresciano nel corso degli anni cinquanta dell’Ottocento.

4. Angelo Inganni,

L’ultimo bacio dato a Giulietta da Romeo, 1858, olio su tela sagomata, 98 × 90 cm, fi rmato e datato in basso: “Angelo Inganni/1858”. Brescia, Civici Musei di Arte e Storia (Archivio fotografi co Civici Musei di Brescia - Fotostudio Rapuzzi)

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1 L’uscita dal veglione è un olio su tela di 120 × 150 cm, fi rmato e datato in basso a sinistra: “A. Inganni / 1858”, conservato in collezione privata. È stato pubbli- cato in Galleria Guglielmi. Raccolta Nob. A. Ambrosi, Dipinti

dei Maestri dell’Ottocento, Milano 1940, n. 200, tav, 42; G.

Nicodemi, Angelo Inganni, Libreria Lombarda Editrice, Milano 1942, p. 90 n. 93.

2 Per la bibliografi a di Angelo Inganni rimane a tutt’oggi fondamentale il volume edito nel 1998 in occa- sione dell’esposizione tenutasi a Brescia a Palazzo Bonoris a cura di Fernando Mazzocca: Angelo Inganni 1807-

1880, Un pittore bresciano nella Milano romantica, a cura

di F. Mazzocca, catalogo della mostra (Brescia, Palazzo Bonoris, 1998), Skira, Milano 1998.

3 Il passo, raccontato nel secondo capitolo del romanzo, è stato pubblicato per la prima volta sulla “Gazzetta Uffi ciale di Milano” il 6 giugno 1857. È suggestivo immaginare che Inganni possa averlo letto in compa- gnia della sua giovane seconda moglie, l’allieva e musa Amanzia Guerillot sposata il 15 maggio del 1856. 4 Inganni ambienta l’atto del Bruni all’esterno del tea- tro e non all’interno come invece descritto nel romanzo di Rovani. Al contempo si mostra abbastanza fedele nel rappresentare il “vestito azzurro ricamato in argento” di donna Clelia V (cfr. G. Rovani, Cento anni, Libri XX, vol. I, A spese dell’autore, Milano 1859, p. 178).

5 Ivi, p. 69.

6 Si veda a questo riguardo la litografi a di Roberto Focosi raffi gurante Angelo Inganni conservata a Milano alla Biblioteca Nazionale Braidense, pubblicata nel cata- logo Angelo Inganni 1807-1880 cit., p. 175.

7 Ed è altresì un quadro innovativo, all’interno del panorama artistico lombardo dell’epoca, in considerazione dell’anno di realizzazione. L’unica eccezione, nonostante le indubbie diff erenze, potrebbe costituire un dipinto di Francesco Gonin, conservato a Milano al Museo Teatrale alla Scala, L’uscita dal veglione (olio su tela, 84 × 120 cm). 8 Un nobile palermitano vendica nella persona di un soldato

angioino per nome Drouet l’oltraggio fatto al decoro della pro- pria sorella promessa sposa, del qual fatto accaduto in Monreale l’anno 1282 ebbe principio la strage de’ francesi in tutta l’isola (I Vespri Siciliani), olio su tela, 150 × 200 cm, Torino, col-

lezione privata: cfr. F. Mazzocca, Francesco Hayez. Catalogo

ragionato, Federico Motta Editore, Milano 1994, pp. 149-

151, n. 57.

9 Esposizione dei grandi e piccoli concorsi ai premi e delle

opere degli artisti e dei dilettanti nelle Gallerie dell’I.R. Accademia delle Belle Arti per l’anno 1834, Milano 1834,

p. 22, n. 63. Una copia è conservata a Milano nel Fondo Stampe della Biblioteca Nazionale Braidense: R. Focosi,

I Vespri Siciliani, litografi a, 560 × 633 mm, a sinistra: “F.

Hayez inv. e dip.”, al centro: “Milano Litog. G. Gallina”, a destra: “R.Focosi dis.”.

10 Inganni esordì all’annuale rassegna braidense nel 1834 con Ritratto di donna, dipinto ad olio e Truppe che sfi -

lano all’accampamento di Medole e Castiglione per commissione di S. E. il signor Conte Radetzky, Generale di cavalleria: si

rimanda a Esposizione dei grandi e piccoli concorsi, cit., p. 39, n. 124 A e B.

11 Ne avevano decretato la fortuna i commenti di Francesco Ambrosoli sulle pagine de “L’Eco”, 24 settem- bre 1834, p. 458, n. 115, di Gian Jacopo Pezzi su “Glissons n’appuyons pas”, a. I, n. 1, 2 luglio 1834, pp. 2-3 nonché di Giuseppe Mosconi sul “Ricoglitore Italiano e Straniero ossia Rivista Mensuale Europea”, a. I, parte II, Milano 1834, p. 379.

12 Oltre alla redazione già citata, Hayez esponeva, sem- pre nel 1822, un’altra versione di minori dimensioni dei

Vespri siciliani (vedere anche nota seguente); nel 1835

circa ne realizzava un’altra, commissionata da Francesco Teodoro Arese (olio su tela, 91 × 114 cm, collezione pri- vata), e nel 1846 la variante intitolata La sposa di Ruggier

Mastrangelo (I Vespri siciliani) (olio su tela, 225 × 300

cm, fi rmato e datato in basso a sinistra: “Fran.co Hayez Venez.o / dip.se an.o 1846”, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna): si rimanda a Mazzocca, Francesco Hayez.

Catalogo ragionato cit., n. 57, pp. 149-151; p. 247, n. 214; pp.

289-291, n. 277.

13 Olio su tela, 30 × 38,5 cm, collezione privata, pub- blicato in Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi, a cura di F. Mazzocca, I. Marelli, S. Bandera, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, aprile-settembre 2011), Skira, Milano 2011, pp. 54-55; è ipotizzabile che Inganni avesse conosciuto l’incisore Caronni grazie alle comuni frequentazioni con l’Accademia di Belle Arti di Brera. 14 F. Pezzi, Esposizione di Brera. Quadri di Hayez, in

“Gazzetta di Milano”, 6 settembre 1822, n. 249, p. 1434. 15 Eloquente è il confronto con i dipinti La toletta

dell’odalisca (olio su tela, 24 × 20 cm, Milano, Pinacoteca

Ambrosiana), Ritratto di Amanzia con candela (olio su tela, 103 × 78 cm, fi rmato e datato in basso a destra: “Angelo Inganni 1859”, Brescia, collezione privata) e Ritratto di

Amanzia Guerillot allo specchio (olio su tela, 90 × 74,5 cm,

1856-1860 circa, Brescia, Civici Musei di Arte e Storia). 16 Olio su tela sagomata, 98 × 90 cm, fi rmato e datato in basso: “Angelo Inganni/1858”, Brescia, Civici Musei di Arte e Storia.

17 L’ultimo bacio dato a Giulietta da Romeo che obbligato a

fuggire sta per iscendere dalla fi nestra; il fondo rappresenta l’alba nascente; la fante trasporta altrove la lucerna; l’architettura ricorda i tempi in cui vissero questi due sventurati sposi (olio su tela,

291 × 201,8 cm, Tremezzina, villa Carlotta). Il dipinto venne commissionato dal noto collezionista Giambattista Sommariva, il quale lo aveva destinato alla prestigiosa casa museo di Tremezzo sulle rive del lago di Como. 18 Giambattista Gigola nel 1812 aveva acquistato, tra- mite il suo mecenate Giambattista Sommariva, una villa a Tremezzo aff acciata sulle sponde del lago che nel corso degli anni era diventata luogo d’incontro fra vari amici artisti: fra questi c’erano anche i fratelli Inganni, Francesco e Angelo; il quale, l’anno successivo alla dipartita di Gigola, convolò a nozze con la vedova del miniaturista, la tremezzina Aurelia Bertera.

19 Sono tre tele inscritte in una cornice sagomata tutte delle medesime dimensioni e conservate a Brescia nei Civici Musei d’Arte e Storia; le altre due raffi gurano Paolo

e Francesca leggono gli amori di Ginevra e Lancillotto e Paolo e Virginia smarriti guadano il Fiume Nero.

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el 1837 la scultura Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini veniva esposta trionfalmente a Brera quale com- mittenza della nobildonna Rosa Trivulzio vedova Poldi (1800-1859). La sua importanza, già riconosciuta dai contemporanei1, è stata superba-

mente tracciata da Fernando Mazzocca, che l’ha eletta a statua simbolo del romanticismo italiano2.

Il principio del singolare rapporto di Rosina Trivulzio con Lorenzo Bartolini, avviatosi proprio con quella committenza – e non, come vedremo, nel 1828 come fi nora si era creduto – e poi durato tutta la vita, è stato recentemente individuato nei carteggi tra la Poldi e Paolo Toschi, che ha evidenziato il ruolo dell’incisore parmense come primo mediatore tra lei e lo scultore fi orentino3. Fu Toschi, amico del coniuge

Giuseppe suo concittadino, il primo a proporle di innalzare nel 1833 “qualche piccola cosa in memoria del marito” e di affi darla al suo gio- vane protetto, Tommaso Bandini, che stava perfezionandosi a Firenze presso Lorenzo Bartolini. Rosina accettò la proposta, ma preferì rivol- gersi direttamente all’aff ermato maestro. Come risarcimento della man- cata committenza, Rosina affi derà a Tommaso Bandini i busti di Paolo Toschi e Pietro Giordani (ora inv. 82 e 83), esposti a Brera rispettiva- mente nel 1837 e nel 1838.

Altrettanto signifi cativa fu su Rosina l’infl uenza del critico piacentino Pietro Giordani4, a sua volta amico di Toschi, il cui discepolo Antonio

Gussalli era precettore del fi glio Gian Giacomo.

Giordani era fortemente convinto che grazie a Canova l’Italia avesse ripreso un ruolo egemone nella storia dell’arte europea e che anche dopo la sua morte fosse la scultura l’arte guida in cui l’Italia stava eccel- lendo, e Bartolini e Tenerani ne fossero i campioni: il critico nutrì in tal modo il sentimento della nobildonna che Rosa Trivulzio ne divenne una delle principali mecenati5.

L’essere stata la fortunata committente di una celeberrima opera del più ammirato scultore dell’epoca inorgoglì Rosina, che tentò in tutti i modi di proseguire quella fama di mecenate dell’arte plastica che la Fiducia le stava conferendo.