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Il monumento a Giuseppe Longhi nel palazzo di Brera:

un confronto tra Pompeo

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richiedeva che il monumento, progettato da Durelli, fosse in Crevola per le parti architettoniche e in marmo bianco di Carrara per i rilievi, come l’arco della Pace allora in piena costruzione; che fosse destinato a una delle sale dei gessi dell’Accademia, al posto dei calchi della porta del battistero di Firenze del Ghiberti; e infi ne “che le sue parti siano com- binate in modo analogo al monumento Appiani, che verrebbe a corri- spondergli dirimpetto, sicché possa formare con quello un bel richiamo euritmico”7 (ill. 1, tav. 15).

L’opera nasceva quindi come contrappunto e risposta al soff erto monu- mento ad Appiani, inaugurato pochi anni prima nelle sale dell’Accademia tra aspre polemiche, non ancora spente (ill. 2). Nel 1819 la sua commis- sione era stata l’occasione di uno dei primi scontri tra classici e romantici: il progetto di una grande statua sedente di Appiani vestito di abiti con- temporanei, presentato da Marchesi insieme a Pelagio Palagi e sostenuto da Giuseppe Pecchio sulle pagine del “Conciliatore”, era una delle prime e coscienti aff ermazioni di emancipazione dal dettato neoclassico, per questo duramente attaccato dal coté classicista, sostenitore del progetto di Thorvaldsen, che assicurava il necessario ossequio alla tradizione con il purissimo rilievo rappresentante Le tre Grazie8. Per ironia della sorte,

era stato proprio il classicista Longhi a perorare, con successo, il progetto del celebre Thorvaldsen contro quello dell’allora oscuro Marchesi. Ma a distanza di pochi anni quest’ultimo rincorreva il danese per un confronto che, sulla scena milanese, poteva apparire ad armi pari: all’esposizione di Brera del 1826, le polemiche per l’inaugurazione del monumento ad

1. Pompeo Marchesi, Francesco Durelli,

Monumento a Giuseppe Longhi, 1833-1843,

marmo. Milano, palazzo di Brera

2. Bertel Thorvaldsen, Giacomo Moraglia,

Monumento ad Andrea Appiani nella pinacoteca di Brera, 1819-1826,

fotografi a di Dino Zani. Milano, Castello Sforzesco, Archivio Fotografi co

Appiani avevano preso un carattere decisamente per- sonale nelle accuse dello scultore Gaetano Monti di Milano, che additava senza mezzi termini le presunte macchinazioni della cri- tica contro Thorvaldsen per celebrare “le macchine arti- fi ciose del Marchesi”9, ma

erano state superate dalle lodi tributate alla Deposizione e alla Venere pudica presen- tate da Marchesi, reduce dall’ambita nomina a pro- fessore di scultura dell’Acca- demia milanese10. A cavallo

tra terzo e quarto decennio, a Milano il confronto tra i due era quindi caldeggiato dalla critica più aggiornata, in particolare da Giuseppe e Defendente Sacchi, che li indicavano come eredi e continuatori di Canova11, e anche dalla commit-

tenza, dal conte Paolo Tosio, a Giovan Battista e Luigi Sommariva fi no a Enrico Mylius: istituendo un dialogo diretto, nel 1832 quest’ultimo com- missionava a Thorvaldsen il rilievo raffi gurante Nemesi, da porre di fronte al capolavoro marchesiano del monumento al fi glio Giulio nel tempietto votivo di Loveno, consegnato nel 1835.

Anche a Brera i due monumenti sono pensati per fronteggiarsi, e il “bel richiamo euritmico” è piuttosto la risposta orgogliosa con cui Marchesi sembra voler riscattarsi dalla sconfi tta di pochi anni prima e misurarsi con Thorvaldsen. Rispondendo alle critiche mosse al rilievo del danese12, Marchesi elabora un’allegoria che fa diretto riferimento

all’attività di Longhi come artista e come teorico e professore, che ruota attorno al genio dell’incisione. È lo scultore stesso a spiegarne dettaglia- tamente il senso:

Immaginai di rappresentare il Genio, la Teoria e l’Incisione, collegando tra loro queste tre fi gure per modo che ciascuno possa scorgere facilmente nel basso-rilievo la storia di questo grand’uomo rispetto all’arte da Lui professata. Il Genio è un giovinetto ignudo, alato, con una stella al di sopra del capo, che dimostra la divina sua origine. Egli sta in piedi sopra due gradini, sovrastando così alcun poco alle altre due fi gure. Colla manca amorevolmente si appoggia alla Teoria in signifi cazione di aff etto e di gra- titudine: di aff etto, perché la Teoria è in certo modo una sua emanazione: di gratitudine, perché da lei ha ricevuto e vigore e sicurezza negli arditi suoi voli. Nel tempo medesimo egli stende la destra verso l’Incisione, e

3. Pompeo Marchesi, Francesco Durelli, Progetto per il monumento a Giuseppe Longhi, 1833, inchiostro di china e acquerello su carta. Milano, Castello Sforzesco, Gabinetto dei disegni

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le viene insegnando praticamente i precetti ch’egli per forza sua propria e suoi studj teoretici ha trovati. La Teoria è una donna a cui dalle forme ancora giovani traspare un senno maturato dall’abitudine di meditare, e sollevando nobilmente la faccia essa guarda fi ssamente nel Genio, fonte di tutti i precetti nelle arti. […] Il Genio nel mezzo s’innalza fra le altre due fi gure, perché è conforme a natura che il Genio sovrastia sempre in tutte le creazioni dell’uomo.13

Marchesi si fece carico dell’intera realizzazione del monumento, impe- gnandosi a consegnarlo e metterlo in opera per il luglio del 1834, con una rapidità che voleva far dimenticare le estenuanti attese del monu- mento appianesco14, mentre l’insistente riferimento al collocamento

“nel luogo destinatogli” sembra conservare più di un ricordo a quell’al- tro pasticciaccio del monumento a Giuseppe Bossi di Canova, Palagi e Marchesi, che l’Accademia aveva rifi utato15. Tale era la determina-

zione a elevare il monumento di fronte a quello di Appiani, che quando si paventò lo spostamento di questo in altra sala, immediatamente Marchesi propose anche lo spostamento del monumento Longhi, ma soprattutto lo scultore si accollò, di sua iniziativa, il costo e ogni respon- sabilità relativi allo spostamento dei monumentali calchi della Porta del Paradiso del Ghiberti, che già erano stati spostati per collocare il monu- mento Appiani.

Ovviamente l’ottimistica scadenza non venne rispettata. Bisognerà attendere dieci anni per l’inaugurazione del monumento, complice anche il misterioso incendio che il 28 maggio del 1834 divorò lo studio dello scultore e distrusse, tra le altre cose, anche il marmo del rilievo16.

Solo nel dicembre del 1842 Marchesi comunicò alla commissione di aver terminato i lavori17: si apriva così un carteggio dai toni via via più

accesi e piccati sull’opportunità della collocazione18. Marchesi dichia-

rava di temere per i preziosi gessi del Ghiberti, spaventato piuttosto dalla cifra da sostenere in caso di danni19, ma è anche vero che il decennio

4. Palazzo di Brera, in Ferdinando Cassina,

Le fabbriche più cospicue di Milano, Milano 1850,

IL MONUMENTO A GIUSEPPE LONGHI NEL PALAZZO DI BRERA 83

trascorso doveva aver raff reddato lo zelo suo e quello della città, che certo non sembrava attendere il monumento con la stessa smania di quello ad Appiani. Non così la commissione, che ottenne infi ne, dopo una serie estenuante di scambi epistolari, sopralluoghi, prove e sotto- commissioni accademiche, il trasporto e il montaggio dei marmi nel luogo prescelto: in occasione dell’esposizione annuale, nel settembre del 1843 il monumento, con l’iscrizione dettata da Giordani, veniva infi ne inaugurato nella sala dei gessi dell’Accademia, alla fi ne della lunga infi - lata che percorreva tutta la facciata del palazzo, esattamente di fronte al monumento di Thorvaldsen, al capo opposto.

La stampa celebrò “l’opera grandiosa, stupenda, sublime, in cui il marmo diventa allo sguardo vivo e parlante. […] d’uno stile sì terso e purgato, che di greco scalpello lo direste lavoro”20, azzardando paragoni

con Canova “tant’è la gentilezza delle forme ben tornite di quel nudo Genio”21, ma l’eco del monumento non fu certo paragonabile a quella

del suo pendant, complice la decennale attesa, ma soprattutto l’assenza della dimensione militante che aveva accompagnato tanto la celebra- zione di Appiani, quanto l’accendersi del lontano scontro tra classici e romantici, mentre si appannava ormai anche il senso del confronto tra i due scultori, Thorvaldsen già lontano dall’Italia e Marchesi – forse anche disamorato del progetto – avviato su altre posizioni. Alla rarefatta decantazione arcaizzante di Thorvaldsen, Marchesi contrapponeva il turgido monumentalismo di una scultura eloquente e carnosa, classici- sta senza ricorrere alla mitologia, che continuava la linea canoviana nella raffi natissima e virtuosistica lavorazione del marmo, oggi solo in parte apprezzabile, attenta alla resa epidermica del nudo, in contrasto con le

Grazie del danese, che a Niccolò Bettoni erano apparse “dimagrate per

lungo digiuno, […] non abbastanza morbide le carnagioni”22.

Per tutto il secolo i due monumenti si guardarono attraverso la serie di arcate delle sale dell’Accademia – così li raffi gura Ferdinando Cassina nel 1850 (ill. 4) – in compagnia dei calchi dall’antico e dal Rinascimento e delle opere moderne, fi no a quando, nel Novecento, l’annessione alla Pinacoteca di Brera degli ambienti attorno al cortile d’onore voluta da Corrado Ricci costrinse alla fuga i monumenti23: quello ad Appiani di

Thorvaldsen fi nì nella sala di ingresso al museo, quello di Marchesi fu smontato e trasferito, insieme a molti altri, nei bui corridoi al piano terra dell’Accademia, privato della prospettiva, della luce e del con- fronto diretto con il suo modello.

* Il soggetto di questo testo prende spunto dalla tesi di laurea La fortuna critica di Pompeo Marchesi nell’Ottocento, discussa da chi scrive nell’a.a. 2006-2007 all’Università degli Studi di Milano, relatore Fernando Mazzocca, a cui, in quest’occasione, va la mia riconoscenza.

1 Il monumento non compare nelle recenti mono- grafi e dedicate a Pompeo Marchesi (A. Sassi, Pompeo

Marchesi scultore, s.e., Saltrio 1983; A. Sassi, Pompeo Marchesi: scultore, Niccolini, Gavirate 2001; A. Musiari, G.

Ortelli, Pompeo Marchesi. Ricerche sulla personalità e sull’o-

pera, Niccolini, Gavirate 2003), né all’arredo scultoreo del

palazzo di Brera (La città di Brera. Due secoli di scultura, a cura di G.M. Accume, C. Cerritelli, M. Meneguzzo, catalogo della mostra [Milano, Accademia di Belle Arti,

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Museo della Permanente], Fabbri, Milano 1995); è citato, ma anonimo, in D. Pescarmona, I monumenti commemora-

tivi, in G. Agosti, M. Ceriana (a cura di), Le raccolte stori- che dell’Accademia di Brera (Quaderni di Brera 8), Centro

Di, Firenze 1997, pp. 159-168; è invece correttamente citato, ma di sfuggita, in C. Brooks, Pompeo Marchesi, in

Dizionario Biografi co degli Italiani, vol. 69, Istituto della

Enciclopedia Italiana, Roma 2007, ad vocem.

2 Lettera di Giuseppe Molteni a Carlo Londonio, senza data [ma inizi 1833], in Archivio Storico Accademia di Brera (d’ora in poi ASAB), CARPI-A-I-7, Ornato pub- blico. Monumenti e onoranze, Monumento Longhi. 3 Invito per un monumento a Giuseppe Longhi, in “Biblioteca Italiana”, vol. 61, marzo 1831, pp. 364-365. 4 Ibidem.

5 Il disegno del prospetto, accompagnato dallo spac- cato del fi anco, è in ASAB, CARPI-A-I-7, Relazione di Giovanni Migliara all’I.R. Governo, 30 giugno 1833, allegati A e B.

6 Gabinetto dei Disegni, inv. 4275 C 451.. Minime

varianti con il disegno dell’Accademia di Brera portano a considerarlo di poco precedente a questo.

7 Relazione di Giovanni Migliara all’I.R. Governo, 30 giugno 1833, in ASAB, CARPI-A-I-7.

8 L’esemplare ricostruzione della vicenda è in F. Mazzocca, Thorvaldsen in Lombardia, in L’ideale classico:

arte in Italia tra neoclassicismo e romanticismo, Neri Pozza,

Vicenza 2002, pp. 278-289. 9 Ivi, p. 288.

10 G.B. Carta, La Venere e la Deposizione del Salvatore. Sculture di Pompeo Marchesi, Fontana, Milano 1826; i

marmi si trovano rispettivamente a Saronno, santua- rio della Beata Vergine dei Miracoli, e a Cambridge, Fitzwilliam Museum.

11 G.S. [G. Sacchi], Quadro statistico delle produzioni di

belle arti eseguite in Lombardia nell’anno 1827, in “Annali

Universali di Statistica”, XLII, v. XIV, dicembre 1827, pp. 225-247; D. Sacchi, Intorno all’indole della letteratura italiana

nel secolo XIX, ossia della letteratura civile, con un’Appendice intorno alla poesia eroica, sacra e alle belle arti, Landoni, Pavia

s.d. [ma 1830], ora in F. Mazzocca, Scritti d’arte del primo

Ottocento, Ricciardi, Milano-Napoli 1998, pp. 133-143.

12 “Mancante di qualche cosa che alluda alle grazie propriamente dette della pittura; al che si sarebbe sup- plito col fi gurare il genio di quest’arte in modo deciso”,

Esposizione in Brera. Monumento in onore d’Appiani, in

“Gazzetta di Milano”, 246, 3 settembre 1826, p. 971. 13 Relazione di Marchesi alla commissione, 20 giugno

1833 (copia conforme), in ASAB, CARPI-A-I-7. 14 A Marchesi spettava il ricavato della sottoscrizione (pagato al termine dei lavori della parte architettonica e dei modelli in gesso dei rilievi) e le 3000 lire austriache stanziate dagli eredi di Longhi, a lavori conclusi; scrittura stipulata tra la commissione e Marchesi, 1 maggio 1834, in ASAB, CARPI-A-I-7.

15 Cfr. O. Cucciniello, in Pinacoteca Ambrosiana. Le scul-

ture, V, Electa, Milano 2010, pp. 239-243.

16 D. Sacchi, Esposizione delle Belle Arti in Milano nel 1834. Scultura, in “Gazzetta Privilegiata di Milano”, 256,

13 settembre 1834; A. Rinaldi, Descrizione dello studio di

scultura del prof. Pompeo Marchesi, compilata dall’architetto Antonio Rinaldi, Fanfani, Milano 1838, p. 7.

17 Copia di lettera della commissione a Marchesi, 23 marzo 1843, in ASAB, CARPI-A-I-7. Conferma della data è in G. Berta, Lo studio di Pompeo Marchesi, in Idem, Enciclopedia Artistica Italiana, Zucoli, Milano 1842, p. 56. La parte decorativa fu terminata da Giovanni Franceschetti, che aveva eseguito anche l’incornicia- tura del monumento Appiani, entro il 1834, anno della sua morte; G. Beretta, Della vita, delle opere ed opinioni di

Giuseppe Longhi, Omobono Manini, Milano 1837, p. 105.

18 “Le diffi coltà non previste ch’Ella ora accampe- rebbe nel suo foglio del 31 marzo passato per indurre la Commissione a provocare in concorso di lei una ispezione locale all’oggetto di verifi care la convenienza della località già da lei scelta, ed accordataci dall’Eccelso Governo, sono diffi coltà già previste benissimo ed a Lei fatte, come risulta dagli atti della Commissione mede- sima, la quale tenne espresse sedute a questo oggetto”: lettera della commissione a Marchesi, 18 aprile 1843, in ASAB, CARPI-A-I-7. Si veda anche la lettera di Longhena a Londonio, 19 aprile 1843, con gli allegati A, B, C, D, che ricostruisce il carteggio.

19 Lettera di Marchesi alla commissione, 31 marzo 1843, ibidem.

20 F. Regli, Pubblica esposizione di belle arti. Articolo II, in

“Il Pirata”, a. IX, n. 21, 12 settembre 1843, p. 82. 21 A. Lambertini, Esposizione nell’I.R. Palazzo di Brera,

in “Gazzetta privilegiata di Milano”, n. 262, 19 settembre 1843.

22 N. Bettoni, Lettere ad Emilia intorno alla pubblica

esposizione degli oggetti di belle arti nelle Gallerie dell’I. R. Accademia di Brera, Bettoni, Milano 1826, pp. XIV-XV.

23 Sul riordinamento voluto da Ricci si veda L. Balestri, Il colore di Milano. Corrado Ricci alla Pinacoteca di

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830-1834: è il segmento temporale dei disegni di Francesco Hayez contenuti nel suo Taccuino giallo1. Si

apre con un foglio quadrettato per il Cantante David, giunto al suo compimento, e si chiude con alcuni schizzi per il Ventura Fenaroli. Oltre all’eroe bresciano, è l’album dedicato ai Profughi di Parga, a Maria Stuarda che protesta la propria innocenza, nella versione defi nitiva, e all’ultimo

Addio di Giulietta e Romeo, insieme ai primi appunti per la Sete dei crociati.

Storie letterarie o aggiornate sulla contemporaneità che si mescolano agli abbozzi di aristocratiche milanesi in posa per il ritratto. E soprat- tutto studi, studi in gran numero di giovani donne, isolate o in coppia – in piedi, di schiena, di profi lo, sedute, accovacciate, distese, prone, recli- nate – come non si era visto nei taccuini precedenti: Carlotta Chabert come Venere (1830), Rebecca, le ninfe del Bagno, una delle fi glie di Loth,

Maddalena, fi no alla bella Betsabea per il cavaliere Uboldo (1834). Ma

non in sequenza, né tematica né esattamente cronologica, semmai fra loro interferenti e in continua oscillazione e ripresa di sviluppo. “Ho trovato il cominciare tele contemporaneamente, lasciando riposare ora l’una ora l’altra, e la mente ed occhi più freschi, assai avantaggioso, perché si può meglio vederne le mende, e si lavora più speditamente”, scriverà Hayez ne Le mie memo-

rie; e anche Defendente Sacchi, in visita nel 1830

allo studio, aveva riferito di “vari leggii sui quali posavano i quadri” cui l’artista stava attendendo2.

La cadenza è simile nella progressione di lavoro degli album.

All’inizio degli anni trenta, come è noto, dopo i precedenti della Leda, di due Bagni di ninfe e della prima Betsabea (tutti dispersi), prende il via la stagione fortunata delle Bagnanti, soggetti ama- bili destinati a un collezionismo in crescita, meno impegnato, così l’esigenza di defi nire un nuovo