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1. Giambattista Gigola,

Ritratto del marchese Gian Giacomo Trivulzio,

1800-1802, acquerello e gouache su avorio, 16,8 × 12,4 cm. Collezione privata

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collocabile cronologicamente, per i particolari del sobrio abbiglia- mento, agli esordi dell’Ottocento, è in diretto rapporto con due ver- sioni tra loro pressoché identiche4, dalle quali si discosta solo per poche,

ancorché signifi cative, varianti. Mentre in questi ultimi due esemplari il bassorilievo alle spalle della melanconica fi gura a mezzo busto del coltissimo collezionista e bibliofi lo milanese, ripreso in un interno, al tavolo da lavoro, in modo sostanzialmente uguale (unica eccezione: la fettuccia del libro nella destra dell’effi giato, qui di colore turchino anzi- ché rosso), raffi gura forse una scena socratica5, nella miniatura in esame

sembra invece rappresentare il pianto di Ulisse al cospetto dell’aedo Demodoco nel palazzo di Alcinoo (Omero, Odissea, canto VIII). Solo nel nostro caso, inoltre, spicca la presenza di Orazio Flacco, in sosti- tuzione di Curzio Rufo, tra gli autori dei libri più cari all’effi giato – Dante, Lucrezio, Petrarca e Virgilio – disposti in primo piano, in bella evidenza. La miniatura, che va ad arricchire la straordinaria serie di effi gi eseguite da Gigola nell’arco di oltre un ventennio per la famiglia Trivulzio, rappresenta uno dei vertici della ritrattistica dell’artista bre- sciano, che in queste miniature dal sottile linearismo stilizzato, dipinte su lastre d’avorio di grande formato, si dimostra pienamente all’altezza della vasta fama meritata nella sua epoca.

Appartiene a questa tipologia di effi gi di particolare impegno, dove Gigola fa sfoggio della perfetta padronanza della tecnica miniatoria e del suo estroso genio creativo, anche il ritratto del conte Giovanni

2. Giambattista Gigola,

Ritratto del conte Giovanni Battista Sommariva, 1802-

1803, acquerello e gouache su avorio, 16,2 × 12,5 cm. Collezione privata

TRIVULZIO, SOMMARIVA, BEAUHARNAIS 77

Battista Sommariva (ill. 2, tav. 14)6, il rapace ex trium-

viro della seconda Repubblica Cisalpina, trasforma- tosi in grande mecenate delle arti, che impiegò

per lunghi anni il nostro miniaturista, dopo un primo, fortunato incontro a Parigi7, soprat-

tutto nella realizzazione di copie su smalto di dipinti della sua collezione. Eseguito verosi- milmente nella capitale francese tra il 1802 e il 1803, il ritratto, giocato, come le tre effi gi di Gian Giacomo Trivulzio, su una ristretta gamma cromatica che privilegia le sobrie tonalità dei bruni, rappresenta il mecenate a mezza fi gura, seduto in un interno, accanto a un busto di Minerva. Appoggiato allo schienale di una sedia in stile neoclassico, con un libro nella destra, il ritrattato volge allo spettatore il caratteristico volto dalle palpebre pesanti, immortalato da diversi artisti (basti qui ricordare i nomi di Andrea Appiani, Pierre-Paul Prud’hon e Bertel Thorvaldsen), atteggiato in un’espressione a un tempo melanconica e colloquiale. Di recente è tornato alla luce un piccolo tondo che riproduce il solo busto dell’effi gie in esame su un fondo grigio segnato da forti ombre8, mentre

manca ancora all’appello un ritratto di Sommariva con “una veduta”, eseguita “nella non comune proporzione di quattr’oncie milanesi” (circa 15 cm), documentata nelle memorie dell’artista9.

La terza miniatura immortala Eugenio di Beauharnais sullo sfondo di un cielo nuvoloso, a mezzo busto, in abito da cerimonia di principe dell’impero francese (ill. 3)10. L’effi gie, donata dal ritrattato ad André

Masséna, maresciallo di Francia, duca di Rivoli e principe di Essling, va ad aggiungersi ai numerosi ritratti in miniatura del viceré, della sua sposa – la principessa Augusta Amalia di Baviera – e dei loro primi quattro fi gli, Giuseppina, Ortensia, Augusto e Teodolinda, eseguiti da Giambattista Gigola in qualità di “Ritrattista in Miniatura di S.A.I. il Principe Vice-Re d’Italia”11, nei nove anni compresi tra gli inizi del

1806, epoca alla quale sono documentate le prime commissioni al nostro miniaturista, e il fatidico 23 aprile 1814, quando il viceré fi rmava la capitolazione del Regno Italico. Sapientemente miniata su un pic- colo tondo d’avorio, l’opera è in evidente rapporto con tre note effi gi di Beauharnais in abito da cerimonia di viceré d’Italia: due miniature tra loro quasi del tutto identiche, dipinte su lastre d’avorio di ampio formato, che lo rappresentano a fi gura intera, in un interno, accanto alla statua allegorica del Regno Italico, annoverabili tra le primissime prove ritrattistiche commissionate a Gigola dal viceré12; e un piccolo

ovale che lo raffi gura in modo del tutto identico, ma con taglio limi- tato al mezzo busto, off erto in dono dall’effi giato al generale còrso Jean-Toussaint Arrighi de Casanova, duca di Padova, cugino di secondo grado di Napoleone13. Ma se in tutte e quattro le miniature la resa

del bel volto del giovane viceré, illuminato dallo sguardo ceruleo, e

3. Giambattista Gigola,

Ritratto del viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais in abito da cerimonia di principe dell’impero francese, 1806 circa, acquerello e gouache su avorio, diametro 4,8 cm. Collezione privata (foto © Fondation Napoléon)

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incorniciato dai folti favoriti e dai capelli disposti sulla fronte con cioc- che scomposte, risulta del tutto simile, solo nel nostro caso l’abito da cerimonia presenta due importanti varianti che ci permettono di stabi- lire che Beauharnais ha qui voluto farsi rappresentare in veste di prin- cipe dell’impero francese, titolo ricevuto da Napoleone, unitamente a quello di arcicancelliere di Stato, il 1° febbraio 1805. Con la candida cravatta a jabot, il viceré indossa, infatti, un abito di velluto blu, anziché del colore verde scuro proprio degli abiti di corte del Regno Italico, sul quale spicca il rosso squillante della fascia dell’ordine francese della Legion d’Onore, in sostituzione della fascia di colore giallo-arancio listato di verde dell’ordine reale italiano della Corona di Ferro. Come nelle tre effi gi in veste di viceré d’Italia, il sontuoso abbigliamento da cerimonia è anche qui impreziosito dalla placca di Grand’Aquila e dal Grande Collare della Legion d’Onore, indossato per la prima volta da Napoleone il 2 dicembre 1804, in occasione del Sacre, e riservato a sole altre tredici personalità dell’Impero.

Si ringaziano per la collaborazione: Michel Descours, Elodie Lefort, Carlo Orsi, Walter Padovani, Bernd Pappe. 1 Neoclassico e troubadour nelle miniature di Giambattista

Gigola, a cura di F. Mazzocca, catalogo della mostra (Milano,

Museo Poldi Pezzoli, 1978-1979; Brescia, Civica Pinacoteca Tosio Martinengo, 1979), Centro Di, Firenze 1978. 2 Per la ritrattistica di Gigola, oltre al catalogo della mostra Neoclassico e troubadour cit., si vedano: B. Falconi, F. Mazzocca, A.M. Zuccotti, Giambattista Gigola e il

ritratto in miniatura a Brescia tra Settecento e Ottocento,

Skira, Ginevra-Milano 2001; C. Parisio, Giovanni Battista

Gigola. Committenti e opere, Grafo, Brescia 2002; B.

Falconi, Giambattista Gigola “Ritrattista in miniatura” del

viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, Ateneo di Brescia,

Brescia 2008.

3 Acquerello e gouache su avorio, 16,8 × 12,4 cm, fi r-

mato a sinistra: “Gigola inv.”.

4 Acquerello e gouache su avorio, 15,5 × 12 cm, fi rmato

in basso a destra: “Gigola / F.”, Milano, collezione privata (Neoclassico e troubadour cit., p. 206); acquerello e gouache su avorio, 15,5 × 11,5 cm, fi rmato a sinistra: “Gigola F.”, Brescia, collezione privata (inedito; sul verso foglietto a stampa con lo stemma di casa Trivulzio e un’iscrizione che ne documenta la provenienza dalla pinacoteca del principe Luigi Alberico Trivulzio, 1868-1938. Entrambe le opere sono in pendant con i ritratti, tra loro presso- ché identici, della moglie di Gian Giacomo Trivulzio, la marchesa Beatrice Serbelloni, anch’essi fi rmati da

Giambattista Gigola).

5 Neoclassico e troubadour cit., p. 206.

6 Acquerello e gouache su avorio, 16,2 × 12,5 cm, fi r-

mato in basso a sinistra: “Gigola Pin.”, collezione privata. 7 T. Castellini, Cenni intorno alla vita di Giovanni Battista Gigola di Brescia tratti in parte da memorie scritte da egli stesso,

prolusione letta all’Ateneo di Brescia il 6 febbraio 1859, pubblicata in Neoclassico e troubadour cit., pp. 236-239, in particolare p. 238.

8 Acquerello e gouache su avorio, diametro 6 cm, fi r-

mato in basso a destra: “Gigola / F.” (Mobilier, Dessins,

Peintures et Souvenirs des Barons de Brabante, 5 novenbre

2016, Etude Vassy et Jalenques, Clermont-Ferrand, 2016, p. 77, lotto 304).

9 Neoclassico e troubadour cit., p. 238.

10 Acquerello e gouache su avorio, diametro 4,8 cm, collezione privata.

11 Falconi, Giambattista Gigola cit.

12 Acquerello e gouache su avorio, 17,4 ×12,3 cm, fi r-

mato e datato in basso a sinistra: “gigola inv. et pin. / mediolani 1806”, già Parigi, collezione Bernard Franck (Falconi, Giambattista Gigola cit., pp. 2, 14); acquerello e gouache su avorio, 18,4 × 12,6 cm, fi rmato in basso a sinistra: “gigola in. et pin.”, già Londra, Trinity Fine Art Ltd (ivi, pp. 15, 32, fi g. 4).

13 Acquerello e gouache su avorio, ovale, 4,5 × 3 cm,

fi rmato lungo il bordo a sinistra: “Gigola F.”, collezione privata (Falconi, Giambattista Gigola cit. pp. 15, 33, fi g. 5).

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ra i numerosi monumenti comme- morativi che nell’Ottocento fecero del palazzo di Brera un pantheon delle glorie patrie, quello a Giuseppe Longhi è tra i più interessanti, ma tra i meno noti1. Commissionato all’indomani della scomparsa del

celebre incisore e professore dell’Accademia milanese, costituisce non solo un bell’esempio di classicismo accademico, ma anche un interes- sante tassello del confronto ingaggiato da Pompeo Marchesi con Bertel Thorvaldsen nella Milano della Restaurazione.

Alla morte di Longhi, il 2 gennaio del 1831, gli eredi richiesero a Marchesi – già incaricato dall’Accademia del busto oggi posto nel loggiato – di “levarne la maschera” funeraria e di realizzare il monu- mento in marmo per la tomba, su disegno di Francesco Durelli, ma poco dopo decisero di tramutare questo omaggio privato in pubblico, destinando alla tomba una semplice lapide ed erigendo “un più nobile Monumento” all’interno dell’Accademia, “per consiglio di alcuni aff et- tuosi e autorevoli amici”2. A tal fi ne in marzo veniva pubblicato l’avviso

di una pubblica sottoscrizione per l’erezione di un monumento che “servisse di pubblico e continuo eccitamento alla crescente gioventù a battere la via della virtù e della gloria”3, a cura di un’apposita commis-

sione, costituita da Emilio Belgiojoso, Giocondo Albertolli, Giovanni Migliara, Pietro Anderloni e Giovanbattista Bianchi. L’intera operazione sembrava dominata da una corale volontà di ricordo del caro e glo- rioso estinto: l’infaticabile segretario era Francesco Longhena, allievo di Longhi e autore, in quell’anno, della sua prima biografi a, gli eredi stessi partecipavano con una cifra ingente, Durelli e Marchesi, “legati parti- colarmente in amicizia coll’illustre defunto, off ersero spontanei l’opera loro; il primo a darne gratuitamente il disegno, l’altro a eseguirne la parte scultoria con tutto l’impegno e pel minore compenso”4.

Nel giugno dello stesso 1833 la commissione e gli autori sottopone- vano per approvazione all’I.R. Governo un dettagliato progetto, com- prendente un raffi nato disegno acquarellato, opera di Durelli5, molto

simile a quello, più piccolo e con minime varianti, proveniente dallo studio di Marchesi e oggi al Castello Sforzesco6 (ill. 3).La commissione