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“Il mondo e gli oggetti sono in un certo modo doppi”.

128 IPPOLITA DI MAJO

pittura, forse anche perché per lui il senso della vista è quello vissuto in maniera più dolorosa, legato come è alla malattia e alla soff erenza: “la vista presto si stanca di colori tutti vivissimi, benché e belli e vari”, annota il 3 novembre del 182315. Lo sguardo di Leopardi sull’arte e sugli artisti è

sempre di tipo critico, letterario; di Raff aello e Michelangelo, per esem- pio, lo interessa confrontare la capacità di resa delle anatomie e ragionare sulla considerazione che quest’aspetto della loro opera ha avuto nella let- teratura successiva:

È curioso che si riprenda (dagli stranieri particolarmente) Michelangelo per aver troppo voluto dimostrare la sua scienza anatomica nelle scolture, e si dia per regola di nasconder sempre questa scienza nell’arte dello scolpire o del dipingere, ed esser meglio ignorarla aff atto che ostentarla (come si dice, mi pare, di Raff aello, che non si curò di studiarla).16

In una delle prime lettere a Pietro Giordani, al quale Leopardi aveva mandato da leggere l’Inno a Nettuno, un testo che il poeta fi nge di aver tradotto dal greco, ma che in realtà ha composto lui stesso, c’è un passag- gio sul celebre Cupido dormiente di Michelangelo usato come metafora per giustifi care agli occhi dell’amico l’escamotage adoperato e la troppa erudizione di quel testo: “Innamorato della poesia greca, volli fare come Michelangelo che sotterrò il suo Cupido, e a chi dissotterrato lo credea d’antico portò il braccio mancante”17.

È un passaggio signifi cativo per la comprensione del suo rapporto con l’antico e con le arti fi gurative. L’uso letterario dell’aneddoto michelan- giolesco serve infatti a Leopardi a costruire il registro meraviglioso su cui fonda, con solida consapevolezza, il mito dell’imitazione dei classici. Come Michelangelo e poi come Canova, il giovane Leopardi, fi lologo accanito, imita quei testi fi no allo spasimo e aderisce a essi con passione per reincarnarne la verità e la bellezza. Gli aspetti teorici del dibattito sulle arti lo interessano in modo particolare e di continuo ne ragiona per iscritto rifi utando di aderire pienamente ai principi dell’estetica neoclas- sica come a quelli dell’estetica romantica:

pittura, o scultura, o poesia, per bella, effi cace, elegante, e pienissimamente imitativa ch’ella sia, se non esprime passione […] è sempre posposta a quelle che l’esprimono, ancorché con minor perfezione nel loro soggetto. E le arti che non possono esprimere passione, come l’architettura, sono tenute le infi me fra le belle, e le meno dilettevoli. E la drammatica e la lirica son tenute fra le prime per la ragione contraria. Che vuol dir ciò? non è dunque la sola verità dell’imitazione, né la sola bellezza e dei sog- getti, e di essa, che l’uomo desidera, ma la forza, l’energia, che lo metta in attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L’uomo odia l’inattività, e di questa vuol esser liberato dalle arti belle. Però le pitture di paesi, gl’idilli saranno sempre d’assai poco eff etto; e così anche le pitture di pastorelle, di scherzi, di esseri insomma senza passione: e lo stesso dico della scrittura, della scultura, e proporzionatamente della musica.18

“IL MONDO E GLI OGGETTI SONO IN UN CERTO SENSO DOPPI” 129

Su questo crinale si colloca la sua sensibilità per il tema dei sepolcri. Piange davanti al sepolcro di Tasso, “coperto e indicato non da altro che da una pietra”, e ne scrive al fratello: “tu comprendi la gran folla di aff etti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e l’umiltà della sua sepoltura”19.

Guarda alle antiche vestigia e ai solenni monumenti funerari come a testimoni nobili e silenziosi delle “grandi illusioni onde gli antichi erano governati, e l’amor della gloria che in lor bolliva”20. Lui stesso, autore a

vent’anni della celebre canzone Sopra il monumento di Dante che si preparava

in Firenze, scriverà più tardi due canzoni direttamente ispirate da monu-

menti sepolcrali di Pietro Tenerani (Sopra un basso rilievo antico sepolcrale,

dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi

e Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della

medesima)21. Immagini e ricordi visivi di sculture e monumenti funebri

sono anche nelle Operette morali, ma qui la funzione dei sepolcri di eter- nare la virtù e di proporla come monito ai viventi è richiamata in chiave decisamente ironica, rovesciando il canone romantico in favore di un registro schiettamente comico e fantastico. Nel Dialogo di Timandro e di

Eleandro, per esempio, Eleandro discute sarcasticamente “Circa la perfe-

zione dell’uomo”, alla quale non vuole e non può credere, e fi nisce con l’aff ermare, con grande ironia e gusto del paradosso, di voler lasciare per testamento la propria “roba ad uso che quando il genere umano sarà per- fetto, se gli faccia e pronuncisi pubblicamente un panegirico tutti gli anni; e anche gli sia rizzato un tempietto all’antica, o una statua, o quello che sarà creduto a proposito”22.

Nell’incredibile fi nale del Dialogo della Natura e di un Islandese, invece, il registro comico si nutre di panorami ampi e indeterminati, di elementi naturali incontrollabili e del richiamo fantastico alle sepolture dell’antico Egitto, e così l’Islandese, travolto dall’intensità del suo stesso disperato soliloquio, scompare poco a poco sepolto nella sabbia:

un fi erissimo vento, levatosi mentre che l’Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edifi cò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.23

Diverso è il caso del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, un testo indimenticabile per visionarietà, densità argomentativa e ironia. Qui Leopardi pur conoscendo esattamente, attraverso l’Éloge de monsieur

Ruysch di Fontenelle24, il contenuto del gabinetto di curiosità del grande

scienziato e imbalsamatore olandese – “si abondant e si riche, qu’ont l’eùt pris pour le Trésor d’un Soverain” – non indugia neanche un attimo sulla descrizione di quegli oggetti e di quelle mummie: niente piante rare, niente conchiglie, né rami di corallo o animali strani, niente mirabilia, ma solo voci, parole di straordinaria sostanza lirica. La scena è ridotta all’as- soluto di una visione interiorizzata, un paesaggio dell’anima, allo stesso tempo macabro e sublime. Sono immagini straordinarie che derivano a