“Il mondo e gli oggetti sono in un certo modo doppi”.
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meravigliose scoperte. Quasi mai attinge alle arti visive, sono pochissimi i ricordi fi gurativi di Giacomo Leopardi nelle Operette morali. Per l’imma- gine di Giove, ad esempio, nella Storia del genere umano, può aver contato il “cammeo di giove egioco” a cui accenna nei Ricordi d’infanzia e di
adolescenza, una “faccia dignitosa ma serena”2 che conosceva attraverso
la tavola nell’antiporta del volume di Carlo Bianconi, Rifl essioni sopra un
cammeo antico rappresentante Giove3. Il personaggio della Natura, nel Dialogo
della Natura e di un Islandese, deriva invece da un dipinto settecentesco,
ancora ben visibile sul soffi tto di casa Leopardi, che raffi gura proprio “una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non fi nta ma viva”4. Accanto a
questo c’è poi l’immagine dei colossi dell’isola di Pasqua vista nel Voyage
autour du monde di Jean François La Pérouse e alcune medaglie antiche
racchiuse nell’austero apparato illustrativo del repertorio settecentesco di Joseph Addison (Dialogues upon Usefulness of Ancient Medals, London 1726)5, effi gi che solo la sua portentosa e fanciullesca capacità immagina-
tiva poteva trasfi gurare e animare.
Non ci sono altri riferimenti fi gurativi diretti nelle Operette morali, e non bisogna farsi trarre in inganno anche quando alcuni accostamenti a dipinti o sculture sembrerebbero ovvi. Nella battuta conclusiva del Dialogo di un
folletto e di uno gnomo, quando il folletto ironizzando sulla totale indiff e-
renza della Terra per la scomparsa dell’intero genere umano fa il paragone con l’impassibile contegno tenuto dalla statua di Pompeo di fronte alla morte di Cesare6, Leopardi non sta pensando al noto dipinto di Vincenzo
Camuccini, che non conosceva, ma alle pagine degli storici antichi, a Plutarco, e forse anche a Voltaire, alla sua tragedia La mort de César7. E così
pure nel Dialogo della Natura e di un’Anima l’immagine indimenticabile
1. Mario Martone,
Operette morali, Parigi,
Théâtre de la Ville, giugno 2011 (foto Giampiero Assumma)
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dell’Anima giovanetta che chiede inutilmente a sua madre, la Natura, di non destinarla all’infelicità scaturisce dalle impressioni suscitate in lui dalla lettura della favola di Apuleio:
la favola di Psiche, cioè dell’Anima, che era felicissima senza conoscere, e contentandosi di godere, e la cui infelicità provenne dal voler conoscere, mi pare un emblema così conveniente e preciso, e nel tempo stesso così profondo, della natura dell’uomo e delle cose, della nostra destinazione vera su questa terra
e non dalla Psiche bellissima e pensosa di Pietro Tenerani, una statua che, al tempo della stesura di quel dialogo, Leopardi non aveva mai vista e che solo più tardi potrà ammirare a Firenze in casa dell’amica Carlotta Medici Lenzoni8. Eppure di opere d’arte ne conosceva. Era appena stato a Roma
da dove aveva scritto alla sorella Paolina dell’impressione suscitata in lui dall’immensa cupola di San Pietro: “La cupola l’ho veduta io, colla mia corta vista, a 5 miglia di distanza, mentre io era in viaggio, e l’ho veduta distintissimamente colla sua palla e colla sua croce, come voi vedete di costà gli Appennini”9.
Al fratello Carlo, invece, aveva scritto come si fa tra ragazzi e forse con la volontà di sminuire un po’ ai suoi occhi il fascino di quella avventura romana così lontana da casa: “certo che il parlare a una bella ragazza vale dieci volte di più che girare come io fo, attorno all’Apollo del Belvedere o alla Venere Capitolina”10. E poi c’era Pietro Giordani che non faceva
che parlargli, e scrivergli, dell’utilità politica del bello e dei campioni delle belle arti del suo tempo. Attraverso la mediazione appassionata e civile di Giordani, Leopardi imparava ad amare Canova e molte altre cose dell’arte contemporanea e di quella antica11. Al tempo del suo arrivo a Roma, nel
novembre del 1822, Canova era morto da appena un mese, per pochis- simo Leopardi aveva mancato l’incontro con quell’uomo “veramente singolare e grande” che stava al pari di Raff aello e di Michelangelo e si batteva per riportare in Italia le opere d’arte saccheggiate dai francesi di Napoleone: “Che ti dirò di Canova?”, scrive all’amico Pietro Giordani, “Vedi ch’io sono pure sfortunato, come soglio, poiché quale sperava di conversare intimamente e di stringer vera e durevole amicizia col mezzo tuo, appena un mese avanti il mio arrivo in questa città piena di lui, se n’è morto”12.
Percorrendo gli scritti di Leopardi alla ricerca di tracce del suo interesse per le arti fi gurative, ci si imbatte nei nomi di molti altri degli artisti amati dal Giordani, ci sono Vincenzo Camuccini, Gaspare Landi, Giuseppe Bossi, Andrea Appiani, Pietro Tenerani, ma anche gli eroi dell’arte del passato: Correggio, Raff aello, Michelangelo, Guido Reni, Benvenuto Cellini, e perfi no un pittore raff aellesco di seconda fi la come Innocenzo da Imola, artista caro al Giordani che gli aveva dedicato ben tre discorsi13.
Scorrendo poi gli “Elenchi di letture”14 si incontrano i nomi di alcuni tra
i principali autori di trattati e scritti d’arte: da Vasari a Bellori, da Algarotti a Orioli, a Cicognara. La scultura lo appassiona decisamente di più della