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Appiani ritrattista del nuovo mondo: un inedito napoleonico

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uando Napoleone si acquartierò nel Palazzo Arciducale di Milano il 15 maggio 1796, appena entrato in città, Andrea Appiani, nato nel 1754, non era certo un giovane alle prime armi1. Ma la svolta radicale impressa dai francesi a stretto giro di

giorni alla vita politica, civile e sociale della sua Milano dovette apparir- gli – a lui che era spirito inquieto e uomo ambizioso – un’irrinunciabile opportunità di fare grande e certo vide lontano imboccandola senza riserve. Più che negli aff reschi celebrativi di Palazzo Reale e prima che nella straordinaria epopea contemporanea dei Fasti di Napoleone, sempre di Palazzo Reale, per i quali si dovrà attendere l’inizio del nuovo secolo e il confi gurarsi di un diverso rapporto tra arte e potere napoleonico, fu nei ritratti dei nuovi protagonisti legati a Napoleone e alla sua corte che Appiani seppe farsi interprete di questa tumultuosa metamorfosi, inven- tando rapidamente, praticamente ad horas rispetto a quel 15 maggio, soluzioni fi gurative moderne per una società recente ma già smaliziata popolata da militari valorosi, funzionari entusiasti del cambiamento, intellettuali impegnati, abili faccendieri poco proclivi alle regole. Lo fece maneggiando con disinvoltura la grande tradizione lombarda della pittura della realtà, emulando l’aerea naturalezza di Leonardo e Luini e la grazia diafana di Correggio, strizzando l’occhio alla ritrattistica inglese del Settecento (meno a quella francese, almeno in questi inizi) e interpretando in termini originali il principio estetico del vero naturale idealizzato imposto alle arti dalla svolta neoclassica.

Il talento (straordinario) e la velocità (proverbiale) di Appiani parvero da subito a Napoleone e al suo entourage elementi da spremere a dovere. Intorno al 1818-1819 Giuseppe Repossini, assistente del pittore sin dal 1793, intervistato dall’avvocato Francesco Reina (l’amico di Appiani che stava raccogliendo da colleghi, collaboratori e sodali dell’artista testimonianze per stendere una monografi a mai ultimata), ricordava una notevole mole di ritratti – un po’ più di trenta – dipinti dopo l’ingresso dei francesi nella sola seconda metà del 1796 (in realtà la loro esecuzione si protrasse anche nel 1797)2. Ma di questo momento

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restano oggi poche opere. Oltre al Napoleone dopo la battaglia del ponte

di Lodi (Inghilterra, Dalmeny House, ex collezione Rosebery, colle-

zione Primrose) e al suo pendant con Joséphine de Beauharnais che inco-

rona il mirto sacro a Venere (collezione privata)3, conosciamo il Ritratto a

mezzo busto di Fortunée Hamelin (1796-1797; Parigi, Musée Carnavalet;

ill. 2), il Ritratto a mezzo busto della contessa Regnaud de Saint-Jean d’An-

gély (1796-1797; Versailles, Musée National des Châteaux de Versailles

et de Trianon; ill. 3) e il piccolo Ritratto di profi lo del generale di brigata

delle armate francesi Maurice Meyer von Schauensee, a olio su tavola (1797;

collezione privata).

In ragione di questa esiguità sembra utile rendere noto agli studi il

Ritratto a mezzo busto del generale Guillaume Marie-Anne Brune da poco

riemerso (ill. 1, tav. 13)4, di cui esiste anche una copia piuttosto fedele

commissionata dalla corona francese nel 1835 al pittore Auguste Vinchon per il castello di Versailles5. Brune (1763-1815) partecipò alla

prima campagna d’Italia del 1796, quindi passò in Olanda, dove riportò la vittoria di Bergen (1799), e fu poi comandante in capo dell’armata d’Italia durante la seconda campagna che portò alla vittoria di Marengo (14 giugno 1800) e al defi nitivo ritorno dei francesi in Italia. Il 17 aprile del 1797, quando era ancora di stanza a Milano, ottenne il grado prov- visorio di generale di divisione poi confermatogli defi nitivamente il 7 novembre. Repossini elenca il ritratto del generale tra i molti compiuti

1. Andrea Appiani,

Ritratto a mezzo busto del generale Guillaume Marie-Anne Brune, 1797, olio su

tela. Collezione Gian Enzo Sperone

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nella seconda metà del 1796, ma Appiani dovette dipingerlo dopo il 17 aprile 1797 – probabilmente immediatamente dopo – visto che Brune è raffi gurato con l’uniforme di generale di divisione intessuta d’oro. L’ovale allungato del volto dai lineamenti semplifi cati e severi, con lo sguardo teso affi dato ai grandi globi oculari, è dipinto secondo un procedimento tipico di Appiani, tra introspezione psicologica, verità fi siognomica e idealizzazione neoclassica, effi cacemente sintetizzato da Reina in un passo del suo enorme zibaldone appianesco:

l’Appiani è singolarissimo ne’ suoi ritratti, perché / hanno una ideale somiglianza scevra dagl’individui / difetti. Infatti, se esamini i tratti della persona / da lui dipinta, non ne trovi veruno uguale; ma / trovi bensì fedelmente tutti que’tratti, che la / natura avrebbe fatti, qualora avesse di sua / mano modellati e perfezionati gl’individui / medesimi. L’Appiani ingrandiva ritraendo certe / forme a mo’ del Correggio, specialm.e gli occhi.6

Il fondo del ritratto è indistinto, dipinto alla prima con una sprezzatura che lasciava interdetti i contemporanei. La rapidità con cui Appiani era costretto a lavorare in quei mesi densi di incarichi e commissioni di ogni genere si trasformò in una sfi da alla sperimentazione espressiva, condotta con una disinvoltura tecnica di cui ancora una volta Reina sarebbe stato più avanti testimone:

L’Appiani cancellava sei, otto volte i propri dipinti ad olio, e fi niva / tal- volta a dipingere colle dita, come faceva il Correggio. / Ma quel tocco di

2. Andrea Appiani,

Ritratto a mezzo busto di Fortunée Hamelin, 1796-

1797, olio su tela. Parigi, Musée Carnavalet 3. Andrea Appiani,

Ritratto a mezzo busto della contessa Regnaud de Saint-Jean d’Angély,

1796-1797, olio su tela. Versailles, Musée National des Châteaux de Versailles et de Trianon

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dita, che mosso da noi farebbe / un guazzabuglio, dava fusione e nuova vita ai colori.7

È nelle maglie di questo ineff a- bile sfumato che Appiani – tra compendio formale, diradamento delle stesure cromatiche, sugge- stivo e studiato non fi nito – si erge con diritto tra i maggiori ritrattisti neoclassici europei, con una cifra tipica, inconfondibile e ricca di slanci di modernità che lo distingue sia dalla smagliante ritrattistica francese e dalle raffi -

natezze di abiti e arredi del gusto Impero allora nascente, sia dall’iperre- alismo terso e fulminante di un gigante come David. Genialmente nel ritratto di Brune Appiani – che, sempre secondo Reina, era “sì rapido nel dipingere, che avrebbe potuto fare un quadro al giorno”8 – usava

questo semplifi cato piano di posa affi dato allo sfumato e steso con pre- stezza, anche con i polpastrelli, per evocare i fumi, le fi amme e le luci corrusche di un campo di battaglia. Mentre nei ritratti contemporanei di Fortunée Hamelin e della contessa Regnaud de Saint-Jean d’Angely le due o tre campiture svelte e magre di verde e di blu abbozzano una sfocata ambientazione naturalistica su cui si stagliano nitide le sagome ricche di grazia delle due giovani protagoniste atteggiate come La

Gioconda o La dama con l’ermellino di Leonardo: anche questo, a propo-

sito di riferimenti alla tradizione, è un espediente molto ricorrente nella ritrattistica femminile di Appiani.

Eccezion fatta per i due ritratti fuori norma di Napoleone e di Joséphine compiuti nel 1796, frutto di una committenza straordinaria, soltanto in una fase di poco successiva a questa iniziale un po’ turbolenta e pre- sciolosa del 1796-1797, oggi inquadrata dai soli ritratti di Brune, di Fortunée Hamelin e della contessa Regnaud de Saint-Jean d’Angely, Appiani si avvarrà talvolta di ambientazioni meglio defi nite in cui siste- mare i suoi effi giati. Scenografi e sempre rigorosamente essenziali – affi - date alla magica alchimia dei suoi sfumati, al suo pennello scapigliato e a quelle doti un po’ folli ma straordinarie di colorista e sperimentatore di cui favoleggiavano Reina e i contemporanei – in cui però faranno capolino in un interno o en plein air alcuni accessori simbolici, riferi- menti al mito o all’allegoria allusivi alla vita o agli interessi intellet- tuali dei ritrattati. Anche qui Appiani opererà la sua piccola rivoluzione licenziando dei capolavori originali nelle diverse tipologie di ritratto “istoriato” ed emblematico, soprattutto negli anni al valico del nuovo secolo nel pieno di quella maniera appianesca che Reina defi niva di stile “naturale e grazioso”9. Il Ritratto del generale Desaix10, in cui com-

paiono i due servitori mori dell’eroe morto a Marengo e sullo sfondo

4. Andrea Appiani, Studio

per il ritratto di madame Pétiet con i fi gli, 1800,

penna a inchiostro bruno e tracce di matita su carta avorio. Roma, Galleria Alessandra Di Castro

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1 Nella riconsiderazione della fi gura e dell’arte di Appiani, nel periodo antecedente all’avvento di Napoleone ma anche e più in generale nel contesto della Milano neoclassica, un ruolo decisivo hanno giocato gli studi di Fernando Mazzocca degli ultimi venti anni. Tra i molti ricordo soprattutto Vicende e fortuna grafi ca dei Fasti

Napoleonici di Andrea Appiani, in Mito e Storia nei “Fasti di Napoleone” di Andrea Appiani. La traduzione grafi ca di un ciclo pittorico scomparso, catalogo della mostra (Roma,

Museo Napoleonico, 1986), De Luca Editore, Roma 1986, pp. 17-26; Appiani ritrattista tra la Milano dei Lumi e

la corte napoleonica, in Idem, L’ideale classico. Arte in Italia tra Neoclassicismo e Romanticismo, Neri Pozza, Vicenza 2002,

pp. 159-189; ma anche La Milano del Giovin Signore. Le

arti nel Settecento di Parini (Milano, palazzo Morandolo

Attendolo Bolognini, 1999-2000), Skira, Milano 1999, insieme ad A. Morandotti; Milano Neoclassica, Longanesi, Milano 2001, insieme a E. Colle e A. Morandotti, con la collaborazione di E. Bianchi; Napoleone e la Repubblica

Italiana (1802-1805), catalogo della mostra (Milano,

Rotonda di via Besana, 2003), Skira, Milano 2002, insieme a C. Capra e F. Della Peruta. A Fernando, maestro inestimabile e amico raro, io stesso devo l’origine, risa- lente a molti anni fa, delle mie ricerche su questo grande artista, sfociate prima in studi tematici e circoscritti e poi nella monografi a Andrea Appiani pittore di Napoleone. Vita,

opere e documenti (1754-1817), Skira, Milano 2015.

2 Parigi, Bibliothèque nationale de France, Fondo Custodi, Ms. It. 1546, cartella “Appiani Andrea”,

Descrizioni, comunicate all’avvocato Reina, / de’ principali dipinti di A. Appiani; / e notizie diverse da esso raccolte, cc.

122-234v (d’ora in avanti Carte Reina): Memorie sopra

Andrea Appiani di Giuseppe Repossini andato al suo servizio nell’anno 1793. Il giorno 29 di marzo, cc. 150r-151v: c.

151v; ora in Leone, Andrea Appiani cit., pp. 64-65, 224.

Un altro collaboratore di Appiani, Alessandro Chiesa, anche lui intervistato da Reina, ricorda che durante la prima dominazione francese Appiani compì più di cen- tro ritratti, alcuni dei quali, circa dodici, su tavola: Carte

Reina cit.: Notizie su l’Appiani / datemi da Alessandro Chiesa, cc. 140-149v: c. 146r; cfr. Leone, Andrea Appiani

cit., pp. 61, 218.

3 Cfr. F. Mazzocca, scheda, in Il Neoclassicismo in Italia.

Da Tiepolo a Canova, a cura di F. Mazzocca, E. Colle, A.

Morandotti, S. Susinno, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 2002), Skira, Milano 2002, pp. 509-510, cat. XIII.21.

4 Olio su tela, 75 × 58 cm, fi rmato e datato a destra sul bottone della divisa: “Appiani 179[…]”. Passato in asta da Osenat, Fontainebleau, 10 aprile 2016: L’Empire a

Fontainebleau, lotto 83.

5 Olio su tela, 72 × 55 cm, fi rmato e datato 1835; Versailles, Châteaux de Versailles et de Trianon, inv. 5290. 6 Carte Reina cit., c. 226, in Leone, Andrea Appiani cit., pp. 261-262.

7 Carte Reina cit., c. 179, ivi, p. 238. 8 Carte Reina cit., c. 193, ivi, pp. 244-245. 9 Carte Reina cit., c. 182, ivi, pp. 239.

10 Dipinto nell’anno 1800; oggi a Versailles, Musée National des Châteaux de Versailles et de Trianon. 11 Anch’essi compiuti nell’anno 1800; oggi a Milano, Galleria d’Arte Moderna. Pubblicati per la prima volta in F. Mazzocca, scheda, in Il Neoclassicismo in Italia cit., pp. 356-357, cat. XIII.23-XIII.24. Si veda anche F. Leone, Appiani e la pittura neoclassica, in La Galleria d’Arte

Moderna di Milano e la Villa Reale di Milano, a cura di

F. Mazzocca, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007, pp. 77-87: cat. 6, p. 83.

12 Pubblicato in Mazzocca, Appiani ritrattista cit., p. 176, fi g. 9.

aereo una buff a personifi cazione della morte che rincorre fl uttuante il genio della Vittoria come Wile E. Coyote insegue il Beep Beep della Warner Bros, il Ritratto di Claude-Louis Pétiet con i fi gli e il pendant di madame Pétiet con i fi gli en plein air11 – di cui posso presentare un

primo studio preparatorio (ill. 4) che documenta insieme a un disegno più fi nito già noto12 il lavorio di Appiani sulla composizione di questi

più complessi ritratti di gruppo ambientati – segnano i nuovi traguardi di un genere da lui completamente rinnovato e ridefi nito nei valori simbolici, negli eventuali traslati allegorici e nelle capacità espressive al cospetto di questa diversa società. Sono immagini emblematiche in cui talvolta, forzando gli steccati tra i generi artistici, il ritratto sconfi na nella pittura di paesaggio o nella pittura di storia, proiettando l’hic et

nunc delle effi gi e la loro realtà in una dimensione celebrativa estranea al trascorrere del tempo.

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L

a fi gura di Giambattista Gigola (1767-1841) è stata oggetto nell’ultimo quarantennio di diversi studi, inaugurati dalle ancora fondamentali ricerche condotte da Fernando Mazzocca in occasione della memorabile mostra monografi ca dedicata all’artista1, che hanno portato alla riscoperta e rivalutazione di questo

pittore bresciano, distintosi come uno dei più geniali e raffi nati miniatu- risti del suo tempo, a lungo attivo, tra età rivoluzionaria e Restaurazione post napoleonica, per la migliore aristocrazia europea.

All’interno di un catalogo già cospicuo e in lento, ma costante incre- mento, accanto ai suoi straordinari volumi miniati su pergamena con prodigioso virtuosismo, e a rare opere di soggetto storico e letterario, spiccano per originalità e indiscutibile livello qualitativo i suoi per- sonalissimi ritratti2, improntati a un neoclassicismo non normativo,

dovuto alla natura composita della sua formazione artistica, maturata soprattutto, dopo gli studi giovanili a Brescia con Santo Cattaneo e a Milano con Domenico Aspari, nei sette anni trascorsi a Roma, dal 1790 al 1796, a contatto con le più aggiornate cor- renti del neoclassicismo di matrice internazio- nale, e nei quindici mesi del suo soggiorno a Parigi, protrattosi dall’ottobre del 1802 alla fi ne dell’anno successivo, dove ebbe modo di con- frontarsi con la produzione dei più dotati spe- cialisti del ritratto in miniatura allora attivi nella capitale francese.

Tra le diverse opere da lui dipinte recentemente tornate alla luce, si segnalano tre inedite minia- ture che immortalano i suoi più prestigiosi mecenati: il marchese Gian Giacomo Trivulzio, il conte Giovanni Battista Sommariva e il prin- cipe Eugenio Napoleone di Beauharnais, viceré del Regno Italico.

Il ritratto di Gian Giacomo Trivulzio (ill. 1)3,

Bernardo Falconi