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di emulazione nel ritrovato dipinto landiano

60 STEFANO GRANDESSO

dell’ideale incarnato da quelle angeliche, ribadendo il primato landiano nel chiaroscuro e nel colore, reso magistralmente attraverso “l’ultimo metodo ch’ebbe l’Autore di conservare nelle ombre la trasparenza, per mantenere anche in esse le tinte locali”, ispirato dal Trattato della pittura di Leonardo7. Questo rapporto con la tradizione non giungeva comun-

que all’esito della citazione puntuale, ribadiva Landi, al contrario della

Giuditta di Benvenuti, di cui Camuccini sapeva facilmente individuare i

“plagi” fi gurativi per ciascuna fi gura8.

Di lì a qualche anno l’esposizione al Pantheon della monumentale

Salita al Calvario per San Giovanni in Canale a Piacenza, insieme al suo pendant, la Presentazione al tempio di Camuccini che lo stesso Landi aveva

coinvolto nella commissione, ancora una volta sotto la supervisione di Canova, avrebbe contribuito a fondare lo schema critico del para- gone tra i due artisti, visti rispettivamente come l’erede della tradizione tosco-romana fondata sul disegno e l’interprete di quella veneta per il colore e di quella lombarda per il chiaroscuro. Nel 1811 Pietro Giordani doveva magistralmente riprendere il confronto tra l’eroica gravità e la solenne maestà camucciniana e la patetica concitazione sentimentale landiana, espressa dalla verità e dalla varietà di teste ed espressioni e affi data allo strumento privilegiato del colore9.

Intervallando questa serie di dipinti cristiani, l’Edipo a Colono esprimeva un valore programmatico nella completa autonomia dalla committenza. Il 14 aprile 1804 il pittore scriveva al mecenate piacentino Giambattista Landi di avere intenzione di dipingere un’opera per lo studio, doven- dosi inviare i dipinti terminati a destinazione. Il 12 maggio il soggetto era deciso: “Ora fo de’ studi per un soggetto che mi preme perché della più forte espressione, e del più gran stile. È una scena tratta dal Edippo di Soff ocle a Colona, e precisamente il momento che Creonte fa rapire Ismene allo sventurato Edippo: vi aggiungo la sorella Antigona, che in seguito fu pure rapita; saranno cinque fi gure di grandezza naturale vantaggiosa. O’ bisogno d’avere qualche opera studiata che mi resti per mostrare a chi sale le mie scale”10.

La scelta rivelava immediatamente l’ambizione di un nuovo confronto. Bossi aveva infatti da tempo intrapreso gli studi per il monumentale dipinto dell’Incontro di Edipo cieco con le fi glie sollecitato dalle lezioni tenute da Giuseppe Parini a Brera nel 1800 sulla tragedia di Sofocle. Proprio allora, come risulta dai carteggi con Canova e con lo stesso Landi, Bossi contava di avvalersi del consiglio dello scultore e giungeva a Roma in agosto, terminando il dipinto l’anno seguente per l’occasione dell’inco- ronazione di Napoleone a re d’Italia. L’opera (ill. 2, tav. 11) mostra sug- gestioni canoviane, soprattutto dai bassorilievi, sia nel ritmo composi- tivo che nell’iconografi a delle fi gure. Queste memorie si aggiungevano a quelle raff aellesche dai Cartoni e a quelle leonardesche. In un promemoria dedicato all’Edipo, Bossi aveva infatti appuntato i capitoli del Trattato della

pittura “Dell’attenzione de’ circostanti ad un caso notando” e “Che le

fi gure piccole non debbono per ragione essere fi nite”, ispiratori delle studiate attitudini degli astanti e del trattamento del fondo prospettico11.

L’EDIPO A COLONO: GIUSEPPE BOSSI E GASPARE LANDI IN GARA 61

Nella gara di emulazione sul comune soggetto tragico, Landi doveva tentare una soluzione diversa dalla sublime e cupa visione bossiana costruita sul rigore del disegno, maturandola tuttavia a partire da simili premesse fi gurative e sullo scambio intellettuale con il collega, che pro- prio nel 1804 tentava di condurlo a Milano come docente di Brera. Il 14 dicembre Landi scriveva di aver ricevuto un’off erta di 1000 piastre per l’“Edipo in erba”, ma di aver soprasseduto, mentre il 14 novembre del 1805 terminava il dipinto, dopo nove mesi di studio continuato. Il 18 dicembre lo esponeva dunque a Palazzo di Spagna, proprio dove vent’anni prima Vittorio Alfi eri aveva recitato la propria Antigone, “per permettere un più libero sfogo alla critica, di cui m’ingegno di profi t- tare sempre”. L’esito pubblico era favorevole, Pietro Ermini domandava il permesso di disegnarlo per l’incisione di Pietro Bettelini, che aveva appena stampato la Giuditta di Benvenuti, e si attendeva la critica del De Rossi che tuttavia non giunse. Landi registrava allora la perplessità di alcuni nell’eccesso di espressione di Antigone, “troppo in collera. Cosa facile a minorarsi”12. Nel 1807 usciva fi nalmente l’ekphrasis di Giuseppe

Antonio Guattani, dedicata proprio all’emulazione pittorica del testo letterario13. Il soggetto, dal terzo atto dell’Edipo a Colono, era stato

variato attraverso la licenza poetica per una calcolata regia espressiva:

L’avveduto artista cui non manca né coltura, né ingegno per bene inten- dere ed internarsi nello spirito di quegli antichi autori, dai quali attinge i suoi temi; ha seguito in tutto scrupolosamente le tracce di Sofocle, se non che ha cambiato il ratto d’Antigona in quello d’Ismene, che succe- dette alcun tempo avanti secondo la storia, e non alla presenza di Edipo. Con un tal piccolo anacronismo (permesso ai pittori come ai poeti) ha egli riportato il doppio vantaggio di liberarsi da un insignifi cante nojoso coro di vecchi, sostituendovi Antigona; e di poter mettere in contrasto le due tebane sorelle, notissime, l’una pel suo fi ero carattere, l’altra per la sua dolcezza e timidità.

2. Giuseppe Bossi,

L’incontro di Edipo cieco con le fi glie, 1800-1805.

Trezzo sull’Adda, Biblioteca Comunale