Il purismo romano all’Accademia di Belle Arti di San Carlo.
132 GIOVANNA CAPITELL
re cantano. Quattro o cinque Sig.ri tengono colezione di quadri ma pochi conoscitori si trovano. Pochi pittori vi sono e solo dipingono retrati medio- cremente. La Academia di Belle Arti detta di San Carlos del nome del suo fondatore il re Carlo terzo è fondazione del Di.bre 1783 con dotazione di 22 mila scudi in detta si insegna Pittura, Scultura e Architettura, Incisione e Matematiche. Li professori erano mandati di Spagna, alcuno di molto talento, ma di principi totalmente setecentisti di questi e delle vicende della nazione che non pagava la dotazione a impedito fi orise detto stabilimento. Nel 1844 il Presidente Santana concede li prodotti de la loteria nazionale a benefi cio de la Academia e di alora che si pensò en reformarla e mandare ad Italia per 3 profesori.2
La missiva, qui trascritta solo parzialmente, rappresenta una delle prime testimonianze di una vicenda che avrebbe cambiato irreversibilmente la cultura fi gurativa del Messico, legandola a stretto giro con la scena arti- stica cosmopolita di Roma per almeno vent’anni3.
Con l’arrivo all’Academia de San Carlos della terna di artisti compren- dente l’autore della lettera, Manuel Vilar (Barcellona, 1812 - Città del Messico, 1860), allievo di Tenerani, ed Eugenio Landesio (Venaria Reale, 1807 - Roma, 1879), cresciuto nel laboratorio romano della pittura di paese – che avrebbe occupato le cattedre di pittura, scultura e paesag- gio – si portava a estreme conseguenze un trasferimento istituzionale di linguaggi e pratiche artistiche, nato sotto il segno del purismo e già cautamente avviato qualche anno prima.
Fortemente voluta dal presidente Antonio López de Santa Anna nel 1843, la riforma dell’Academia de San Carlos di Città del Messico si basava su un deliberato progetto di adesione alla modernità che individuava nella Roma sovranazionale il proprio referente artistico privilegiato. Oltre all’impresa di reclutare i propri professori nella città eterna, solo parzial- mente attuata per l’assenza di candidati in incisione e glittica4, la riforma
prevedeva l’istituzione di un quinquennale Prix de Rome per i suoi allievi. Ai migliori studenti dell’Accademia messicana veniva consentito di svolgere un periodo di studio quadriennale all’Accademia di San Luca e di destinare l’ultimo anno a viaggi italiani e europei.
Le novità impresse all’educazione accademica riguardavano i programmi e i materiali di studio anche a Città del Messico. A tal fi ne, in sede, l’Ac- cademia si riforniva, peraltro a caro prezzo, di strumenti considerati ade- guati alla formazione dei propri allievi more romano. Entravano così nelle collezioni accademiche alcuni exempla della cultura fi gurativa della capi- tale pontifi cia con i quali agli allievi messicani era proposto di misurarsi. Erano questi dipinti contemporanei, di sicuro pregio e grande scala, di Francesco Podesti, Francesco Coghetti, Giovanni Silvagni, Karoly Markó, sculture anche di dimensioni modeste – ciononostante pervenute con severi danni causati dal trasporto – di Pietro Tenerani e Antonio Solá, gessi dalla statuaria classica, trattati e libri illustrati, icnografi e, grafi ca fran- cese all’avanguardia5.
LETTERE DAL MESSICO. IL PURISMO ROMANO ALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI SAN CARLO 1 3 3
giungevano a Città del Messico copie fi nis- sime da dipinti cinque-seicenteschi delle col- lezioni nobiliari romane (dalla Borghese, dalla Corsini, dai Musei Capitolini) e, fenomeno fi n qui rimasto inosservato, riproduzioni di quadri, aff reschi e cartoni studiati negli atelier dei loro maestri accademici.
In primo piano, fra i modelli contemporanei utilizzati dagli artisti messicani in formazione, fi guravano le opere di Natale Carta e Nicola Consoni. Le prime pattuglie di allievi del con- tinente americano trovarono in questi due maestri dei punti di riferimento molto affi da- bili, guide sicure nei meandri della scena capi- tolina. Primitivo Miranda, il primo pensionato messicano a Roma (1841-1845), si misurò con la contemporaneità con la libertà di un apri- pista, traendo insegnamento da dipinti di poco più antichi, come nella prova di pensionato Caino, in cui, pur partendo da una rifl essione sul tema eroico dell’Ercole e Lica di Canova, faceva l’oc- chiolino al Caino “più che al naturale” del napoletano Tommaso de Vivo (1833)6. Il talentuoso Juan Cordero, che a Roma rimase per ben nove anni
(1846-1855), si appoggiò con convinzione ai consigli di Natale Carta, Tommaso Minardi e Johann Friedrich Overbeck, garantendosi in cambio protezione e visibilità sulla sorvegliatissima pubblicistica delle arti capito- lina e persino la nomina a Virtuoso del Pantheon7.
Appartengono alla categoria delle opere contemporanee copiate da mes- sicani a Roma due grandi cartoni conservati al Museo Nacional de San Carlos di Città del Messico, che riproducono con fi nezza di dettaglio due invenzioni di Natale Carta per i cantieri di decorazione pittorica com- missionati dalla famiglia Torlonia nel secondo quarto dell’Ottocento8.
Tali opere sono signifi cative non solo per ritessere le vicende del trasfe- rimento di modelli in Messico, ma anche per la storia dell’arte a Roma, di cui documentano insiemi irreversibilmente perduti. I fragili materiali d’oltreoceano ci consentono inoltre di verifi care le strategie di display dei materiali preparatori per le opere di grande formato (aff reschi o dipinti mobili) all’interno degli studi dei pittori accademici, dove evidentemente i cartoni restavano esposti per anni; come di certo succedeva alle opere di Natale Carta studiate dai messicani nel suo atelier di palazzo Barberini, e come comprese perfettamente, già molti anni fa, Stefano Susinno9.
Il primo cartone, eseguito da Tomás Pérez (Messico, attivo dal 1841 al 1865), pensionato a Roma tra il 1846 e il 1857 e allievo in scultura di Pietro Galli, raffi gura Mentore e Telemaco ricevuti dalla dea Calipso (ill. 1). È tratto dal disegno preparatorio utilizzato da Natale Carta nel 1842 per la volta di una sala del palazzo di Marino Torlonia a Porta Pia (distrutto nel 1946)10; il secondo, di mano di Salvador Ferrando (Tlacotalpan, 1830-
1906), pittore pensionato a Roma dal 1849 al 1857, ma che vi abitò
1. Tomás Pérez da Natale Carta, Mentore
e Telemaco ricevuti dalla dea Calipso (dal cartone
per Villa Torlonia a Porta Pia), 1849, carboncino, acquerellature nere e bianche su cartone, 3005 × 2650 mm. Città del Messico, Museo Nacional de la Academia di San Carlos, inv. SIGROA 09590