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Arte dei giardini urbani Storicamente, si definisce Arte dei giardin

la disciplina che ha per obiettivo la raffigu- razione del Bello in Natura nello spazio e nel tempo: una pratica con finalità estetiche applicata alla creazione di luoghi viventi, on- tologicamente dotati di profondità culturale e di ricchezza semantica, dove la componente vegetale assume un ruolo strutturante e figu- rativo determinante.

ologici particolari, come la presenza di alcuni venti caldi quali lo scirocco.

Gli ioni negativi hanno effetto rivitalizzante, fa- voriscono l’ossigenazione, rafforzano il sistema immunitario e portano senso di rilassamento e benessere. Regolano la produzione della se- rotonina che influenza lo stato psichico. Si for- mano dalla fotosintesi, intorno alle piante, dagli spostamenti atmosferici, dai movimenti delle acque e dall’azione del sole, ad esempio vicino al mare, alle cascate, in presenza del vento e della pioggia. L’aria di montagna ha una con- centrazione di ioni negativi di 1.500 per centi- metro cubo, mentre in città o in una abitazione inquinata possono scendere a 50 al centimetro cubo. Ogni giorno dovremmo assorbire dai 10 ai 20 miliardi di ioni. Per favorirne la formazio- ne ci sarà utile la presenza di piante, di piccole fontane da appartamento e la presenza della luce solare diretta. Gli impianti di condiziona- mento e i depuratori che, mentre “purificano” l’aria, la caricano elettrostaticamente, la rendo- no povera di ioni negativi.

Come avere una buona aria. È fondamenta- le aprire le finestre, pochi minuti quattro o cinque volte al giorno d’inverno, l’aria pulita si scalda più facilmente di quella viziata. In estate stiamo con le finestre aperte quan- to più è possibile. I momenti migliori per arieggiare sono durante e dopo la pioggia, quando l’aria è ricca di ioni negativi. Mai prima di un temporale: la carica è inversa. Se fumiamo, scegliamo una stanza in cui ci siano tessuti naturali, le particelle inquinanti aderiscono meglio a quelli sintetici, meglio comunque farlo con la finestra aperta. Evi- tiamo la polvere, eliminiamola frequente- mente dalle superfici e dai tessuti, metten- doli soprattutto all’aria e al sole, possiamo ricoprire con la cera d’api le superfici come plastica, legni o metalli trattati, per bloccare la diffusione nell’ambiente di agenti tossici.

41 ARTE DEI GIARDINI URBANI Marc Pouzol di Atelier Le Balto, paesaggisti- giardinieri francesi con studio a Berlino e Le Havre.

Svincolandosi da una lettura accademica dei modelli del passato e senza eccedere in astrazioni concettuali, un movimento in- ternazionale di sostenitori di una rinnovata Arte dei giardini ha creduto nel recupero della memoria disciplinare, per appuntare l’attenzione sul giardino come prodotto di un fare con la natura che può trasformare i luoghi della quotidianità, i vuoti urbani, le aree marginali e abbandonate della cit- tà in spazi poetici e narrativi, in cantieri di coltivazione di nuovi valori eco-estetici ed etico-sociali. I tradizionali confini teorici e applicativi della disciplina sono stati così ampiamente dilatati.

Mantenendo i piedi sulla zolla, ma posan- doli anche sulle superfici asfaltate dei vuoti urbani, i nuovi paesaggisti-giardinieri sono stati capaci di nutrire memoria inventiva e pensiero creativo attingendo dall’attuale immaginario collettivo creato dall’arte, dal cinema e dai media. Giocando con la diffusa irrequietezza semantica generatasi intorno alle idee di Bello, di Natura e di Naturale, hanno lasciato così germinare una varietas di posizioni teoriche, di estetiche, di strate- gie e modalità operative tutte “diversamen- te” legate al tema del giardino.

Liberato dal vincolo delle rassicuranti quanto anestetiche codificazioni stilistiche da manua- le ottocentesco, recuperata la sua sostanza co- me spazio dinamico vivente e luogo di benes- sere, il giardino del XXI secolo ha potuto così incorporare una pluralità di interpretazioni e di Bella Natura tra loro assai differenti. Non più specchio di un idealizzato ordine superiore, il giardino si riconfigura allora nella città del XXI secolo come citazione del- la campagna disegnata, come teatro dell’in- Se consideriamo che negli ultimi decenni

il giardino, quale spazio etico ed estetico di esplorazione del rapporto tra uomo e na- tura, è definitivamente uscito dal suo con- venzionale recinto per colonizzare con una pluralità di forme, materiali e modi i vuoti della città, possiamo affermare che paralle- lamente l’Arte dei giardini ha conosciuto un suo sostanziale ri-orientamento disciplinare. Sfruttando la tradizionale attitudine dell’Ar- te dei giardini a interagire virtuosamente con il sistema delle arti plastiche e visive, con la produzione filosofica e letteraria, con la scienza e con la ricerca tecnologica, una nuova generazione di artisti e paesaggisti ha saputo in effetti aggiornarne vocabolari, strumenti, poetiche, raccogliendo le sfide della contemporaneità.

La scelta di considerare il giardino come referente ideale all’interno del processo pro- gettuale e/o di basare il proprio lavoro sulle pratiche del giardinaggio e dell’orticoltura ha indotto inoltre vari progettisti a rivendi- care l’adozione dell’appellativo specifico di giardiniere-paesaggista (rivisitazione della formula landscape gardener già coniata da Repton) o, ad esempio in Francia, di giardi- nista (dal termine jardinisme introdotto nel 1819 da Amédèe de Viart).

In ogni caso, si è sentita da più parti la ne- cessità di sdoganare l’uso del termine Arte dei giardini rileggendone il senso in una prospettiva attuale, per differenziare uno specifico campo di azione, di formazione e di pensiero all’interno di quello più ampio e diversificato dell’Architettura del paesaggio. «La nostra disciplina, che io amo compara- re a quella della danza o della pittura, non starebbe forse per perdere la sua specificità a favore di una disciplina troppo ricalcata sul mestiere attuale dell’architetto o dell’in- gegnere?» argomenta a questo proposito

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diventato espressione tangibile di resistenza

attiva al degrado dei paesaggi ordinari. Spazio culturale di riproduzione e cura di materia vivente, offrendo giorno per gior- no l’esperienza dello scorrere di un tempo sensibile della vita e una narrazione del reale, il giardino ci rammenta innanzitutto che coltivare la terra e proteggere il suolo libero costituiscono tra i più nobili atti di generosità e di fiducia nel futuro. Senza di- menticare che «nel nostro tempo frammen- tato e disperatamente ambiguo, i ritmi delle stagioni e i cicli della crescita e del decadi- mento di cui ci occupiamo con la cura di un giardiniere ci consentono ancora di sentire di appartenere a un disegno più grande» (Charles W. Moo re, William J. Mitchell, William Turnbull Jr., 1991).

Non si può negare che la nuova Arte dei giardini, nutrita dalla simultanea rilevanza di differenti idee di Bella Natura, abbia potuto prosperare anche grazie ai numerosi festival di giardini temporanei fioriti, a partire dall’i- nizio degli anni Novanta, un po’ ovunque a livello internazionale. Ma molto si deve al lavoro pratico e teorico di alcune figure chiave se si è potuta determinare un’auten- tica rifondazione culturale nella dimensione contemporanea.

Basti pensare ai fortunati concetti di giardi- no in movimento, giardino planetario e Terzo paesaggio, descritti da Gilles Clément quali elementi cardine di una militante ecologia umanista che difende la rete della vita a partire dal riconoscimento dei valori del- la natura evolutiva e del ruolo degli spazi marginali. Nello specifico, come è noto, il giardino in movimento (concetto definito nel 1990) «interpreta e sviluppa le energie presenti sul luogo e tenta di lavorare il più possibile con, e il meno possibile contro, la natura»; il giardino planetario (1996) propo- colto e della natura evolutiva, come recinto

aperto di una natura di secondo livello in corso di bonifica ambientale, come figura poetica di conquista temporanea di un mar- gine o di un vuoto urbano, come prodotto di azioni sociali di coltivazione di luoghi abbandonati o, ancora, come habitat ideato per una natura artificialis a dinamica control- lata. Molto dopo le ideologie figurative del Romantico e del Pittoresco, tradotte osses- sivamente e poi banalizzate nei parchi e nei giardini della città europea novecentesca, dopo decenni di assedio di anestetico verde attrezzato e di morte apparente del giardino, siamo passati dunque all’inizio degli anni Novanta al pluralismo estetico dell’Arte dei giardini urbani.

A una rifondazione dell’Arte dei giardini quale pratica di produzione di nuove poe- tiche della natura dentro i vuoti della città molto hanno contribuito alcuni dei temi chiave che continuano a nutrire il dibattito sulla sostenibilità urbana, come la questione ecologica, la partecipazione sociale, la con- figurazione delle aree di margine, la qualità estetica dei luoghi dell’ordinario. Anche gli orizzonti aperti dalla modernizzazione informatica e dal potenziamento delle reti virtuali hanno giocato un ruolo sostanziale: nel rivoluzionare il modo comune di abitare spazi e tempi, generando nuovi stili di vita, altre modalità di percezione e più comples- se forme di comunicazione sociale, questi fattori hanno portato ad una rilettura del significato della consueta antinomia artifi- ciale/naturale.

Quale ambito privilegiato di coltivazione di risorse naturali e culturali in cui si riporta l’attenzione alla dimensione tattile e percet- tiva del luogo, il giardino è venuto così a co- stituire per l’abitante urbano del XXI secolo non solo una pulsante metafora etica, ma è

43 ARTE DEI GIARDINI URBANI di un paesaggio emblematico e metaforico intorno al suo cottage in Scozia. Collocan- dosi sulla linea dell’Arte dei giardini del Settecento, in continuità stretta con Pope, Kent e Walpole, con il suo Little Sparta Fin- lay ha dato vita al giardino colto del poeta- giardiniere-pittore del XX secolo. Dalla na- tura discendono imperativi etici e, attraverso speciali dispositivi narrativi ed evocativi, il giardino sollecita vari temi di riflessione. Ad esempio quello della guerra, tema che diviene poi centrale nell’elaborazione del lavoro A wartime garden. Qui una sequenza di lastre di pietra scolpite, in analogia con le tavole del Polifilo, propone un catalogo di arredi per un’inquietante idea di giardino: ordigni bellici e macchine da guerra per la scena post-edenica evocata dai conflitti (anche culturali) attivati a scala planetaria dalle società di fine secolo. Dalla fine degli anni Sessanta, il contributo degli artisti alla rilettura del giardino come ambito di esplo- razione e di rappresentazione di un nuovo rapporto tra società del capitalismo maturo e natura è fondamentale. Stephen Bann, ad esempio, è tra i primi a leggere nelle opere di Land Art e di Earth Art la connessione tra pratiche contemporanee di progettazione del paesaggio e degli spazi aperti urbani e quelle della tradizione storica dell’Arte dei giardini e dei paesaggi.

Com’è noto, la crisi ecologica e il degrado ambientale e sociale che accompagnavano i veloci processi di trasformazione di luoghi e paesaggi avevano sollecitato in quegli anni molti artisti, in Europa e in America, a ria- prire un colloquio diretto tra arte e natura, rinnovandone i presupposti dialettici. In un testo del 1968 Robert Smithson avvertiva: «il complesso tema del giardino in qualche modo implica una caduta da qualcosa o da un qualche luogo. La certezza del giardi- ne la rappresentazione del nostro pianeta

come giardino e pone l’attenzione su una relazione tra uomo e natura in cui l’attore privilegiato, il giardiniere, cioè il cittadino planetario, agisce localmente difendendo valori globali; il Terzo paesaggio (2003) rap- presenta infine «l’insieme di tutti quegli spazi indecisi e privi di funzione sui quali è difficile posare un nome» e che costituisco- no un sistema ricco di risorse e di relazioni vitali. Espressione di una contagiosa perché appassionata utopia realista, l’opera di Gilles Clément è considerata a livello internazio- nale un essenziale punto di riferimento per più di una generazione di aspiranti e ispirati giardinieri planetari.

Prima di Clément, le dinamiche dell’incolto e la bellezza biodiversa della natura evolutiva e delle erbe spontanee erano state indagate dall’artista-ecologista olandese Louis Guil- laume Le Roy, che nel 1965 cominciò il lavo- ro di costruzione della sua eco-cattedrale in Frisia, su un terreno di circa quattro ettari, inventando un paesaggio composto di scar- ti, materiali di recupero e vegetazione spon- tanea. Le Roy, che amava presentarsi come il “Re delle erbacce”, sperimentò le potenzia- lità delle piante spontanee in un paesaggio- giardino ideato come processo «di mutua cooperazione tra uomo, piante e animali nel- lo spazio e nel tempo con l’aiuto dell’energia libera». «Se il giardinaggio consiste nel mo- dellare la terra, ammazzare insetti, strappare le erbacce, allora deve essere abbandonato», sosteneva l’artista.

La sottolineatura del portato semantico del giardino come condensato di dinamiche (reali e poetiche) viene effettuata in quegli stessi anni dall’artista scozzese Ian Hamilton Finlay. Nel 1967 Finlay, affermando il prin- cipio «un giardino non è un oggetto, ma un processo», inizia a lavorare alla costruzione

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rali, utilizzando anche materiali decisamente

“duri”. Come nell’Urban Garden progettato dal paesaggista danese Stig L. Andersson per il quartiere di Nørresundby, ad Aalborg, do- ve una pavimentazione in asfalto variamente livellato è stata adottata per creare una super- ficie attiva, animata da zampilli d’acqua che, ricadendo al suolo e raccogliendosi in piccole pozze, finiscono per generare texture e forme sempre diverse anche in relazione alle varia- bili meteorologiche. Anna Lambertini Riferimenti bibliografici

Stephen Bann, Giardino e arti visive: Arcadia, post- classico e “land art”, in Monique Mosser, George Teyssot, L’architettura dei giardini d’Occidente, Electa, Milano 1990.

Gilles Clément, Louisa Jones, Une écologie humani- ste, Aubanel, Gèneve 2006.

Charles W. Moore, William J. Mitchell, William Turnbull Jr., La poetica dei giardini, Franco Muz- zio Editore, Padova 1991.

Robert Smithson, A Sedimentation of the Mind: Earth Projects, Artforum, New York, settembre 1968, citato in Kim Levin, Guadagnare terreno: arte nella natura e natura come arte, «Lotus», 113, giugno 2002.

no assoluto non sarà mai più possibile». In questa luce possiamo leggere un altro noto giardino di artista, quello di Derek Jarman. Alla fine degli anni Ottanta, Jarman, icona culturale della generazione post-punk, dopo essersi trasferito in un cottage di pescatori collocato a ridosso di una delle due centrali nucleari di Dungeness, nel Kent, comincia a coltivare ai margini di quel paesaggio en- tropico inglese un giardino. A prendere vita sarà una sorta di giardino al contrario fatto di arbusti, erbacee, ciottoli e sculture as- semblate con oggetti e materiali trovati nei dintorni. «Il Paradiso ossessiona i giardini e ossessiona il mio» ebbe ad annotare Jarman nel diario scritto dal 1990 al 1992: ma per l’artista, malato terminale di Aids, il giardino è prima di tutto un processo terapeutico e il luogo di difesa del valore della vita. Definitivamente liberata dall’ansia di rappre- sentazione di un ideale edenico, l’Arte dei giardini ha potuto dunque riaffermarsi nella dimensione contemporanea per agire negli interstizi e ai margini della città come poetica del fare luoghi viventi, o come pratica colta capace di attivare o simulare dinamiche natu-

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