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Pianificazione del paesaggio

Il tema della pianificazione del paesaggio è vastissimo e interessa tutte le scale e gli stru- menti di governo del territorio. Ogni politica, infatti, influisce, direttamente o indirettamen- te, sul paesaggio e la sua evoluzione. La Convenzione Europea del Paesaggio, for- nisce un chiaro indirizzo segnalando l’im- portanza di: «integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, ur- banistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul pae- saggio». Ciò non significa pianificare di più, ossia costruire nuovi piani per il paesaggio da aggiungere alla mole di piani esistenti, ma pianificare meglio. Il paesaggio non è infatti un’entità a parte, ma è l’oggetto della piani- ficazione e mantenere un “buon” paesaggio ne è l’obiettivo. Per questo deve esserne ri- conosciuta la complessità a ogni livello dal

197 PIANIFICAZIONE DEL PAESAGGIO sono incidere sulle trasformazioni del sistema fisico-biologico alla base del paesaggio. D’altra parte, se è vero che il paesaggio non può essere inteso solo come fenomeno com- plesso descrivibile e analizzabile con metodi scientifici, oggettivi, è altrettanto vero che i significati soggettivi (estetico, artistico, sociale ed esistenziale) non possono essere considerati in modo avulso dai fenomeni oggettivi, fisici e biologici, che generano la percezione stessa: un mosaico modificato, determina su ognuno percezioni diverse dalle precedenti.

La dimensione percettiva è fondamentale, poiché il concetto stesso di paesaggio com- bina una porzione di terra con il suo aspetto, lo scenario (Antrop, 2006). E sono proprio le funzioni delle porzioni di terra che possono essere pianificate in riferimento ai loro ruoli specifici all’interno di un mosaico comples- so, agli obiettivi di qualità del paesaggio e ai valori che, di volta in volta, le popolazioni sono in grado di attribuire ai luoghi. Si in- seriscono così i concetti di valutazione e di qualità, tanto fondamentali, quanto difficili da affrontare in termini paesaggistici, in quanto ogni paesaggio è diverso da un altro e non possono esistere standard qualitativi di riferimento uguali per tutti. Anche perché i valori cambiano nel tempo, seguendo l’evo- luzione della società.

È comunque possibile affermare che, ai fini di un “buon paesaggio”, l’equilibrio del mosaico e delle sue funzioni devono essere garantite, anche in quanto oggetto della percezione umana e delle specie animali che in quel mosaico trovano le risorse necessarie alla sopravvivenza.

Il concetto sistemico di paesaggio induce a rivisitare le pratiche pianificatorie correnti, secondo le quali la complessità dei sistemi territoriali, che impone forzatamente delle ni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma

1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143».

Delle due, è sicuramente preferibile la secon- da opzione (piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggi- stici) sempre che per paesaggio si intenda quello definito dalla CEP, ossia l’intero ter- ritorio così come risultante dall’azione dei processi naturali e/o antropici.

In questa ipotesi il paesaggio può essere pa- ragonato a una sorta di “cartina di tornasole” che registra puntualmente tutto quanto suc- cede nel territorio e nell’ambiente. Una sorta di macro-indicatore sintetico che mette in luce l’adeguatezza, o meno, delle trasforma- zioni passate, rispetto ai caratteri complessi dei luoghi.

Per questo non pare logico, né efficace, af- fiancare piani paesistici ai piani urbanistici, bensì integrare il paesaggio nella prassi pia- nificatoria. Peraltro il dlgs 142, concentrando l’attenzione della pianificazione sui beni pae- saggistici, scarta in partenza l’opportunità di una pianificazione integrata su tutto il territo- rio (Gibelli, 2010).

La pianificazione del paesaggio, dunque, non può riferirsi solo al Codice, ma deve traguar- dare obiettivi ulteriori, qualora si desideri mettere a punto una strumentazione utile al governo integrato del territorio.

Resta però una questione aperta: come sia possibile pianificare qualcosa che ha una na- tura quantomeno duplice: oggettiva (gli ele- menti che compongono il mosaico paesistico e i loro processi) e una decisamente soggetti- va, legata alla percezione che, spesso, è il pri- mo strumento per la conoscenza dei luoghi. Da questa non derivano solo apprezzamenti di valore (estetici, artistici, ecc.), ma anche aspetti che condizionano in modo importante la qualità di vita di ognuno e le scelte che pos-

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si, di cui è possibile individuare i limiti oltre i

quali le caratteristiche stesse cambiano, dan- do origine a tipologie di paesaggio diverse. Questo concetto apre alla possibilità di indivi- duare criteri precisi per la tipizzazione dei pa- esaggi e per l’individuazione di Unità di pae- saggio (Udp) e sottolinea l’importanza dell’a- nalisi fisionomica, determinando importanti legami con lo studio percettivo classico del paesaggio. Le letture successive e incrociate dei diversi tematismi (geo-morfologia, pe- dologia, la fitosociologia, gli usi del suolo e i patterns relativi, le dinamiche antropiche, vegetazionali e, se disponibili, faunistiche) permettono di definirne le caratteristiche strutturali e funzionali. La disponibilità di cartografia storica e l’effettuazione di monito- raggi successivi permettono inoltre la lettura delle dinamiche avvenute e in corso, e il con- trollo su eventuali accelerazioni che possono essere indice di stress ambientale.

Le Udp sono entità multiscalari, così come il paesaggio. Ecco che la pianificazione deve per forza articolarsi a scale diverse, tenendo conto delle relazioni esistenti tra queste. Per descrivere le caratteristiche, le condizioni di equilibrio, le esigenze, le criticità ambien- tali, gli scenari possibili delle Udp, anche da un punto di vista quantitativo, si possono uti- lizzare indici spaziali e modelli.

Questi, possono essere positivamente in- tegrati con le attività partecipative con le popolazioni locali, sia per la definizione di confini dubbi di Udp2, sia per l’individuazione di criticità e valori importanti che solo le po- polazioni che vivono il loro paesaggio sono in grado di rilevare.

Analisi qualitative e quantitative contribuisco- no a delineare nei piani le condizioni più adat- te per le varie unità, le esigenze e le criticità ambientali, le possibilità di trasformazione e le cautele per le trasformazioni stesse. Il piano semplificazioni per essere gestita, possa es-

sere ridotta a tematismi trattabili singolar- mente, che normalmente si traducono nella prassi pianificatoria in piani di settore. La set- torializzazione, per definizione, impone una forte riduzione della complessità e non per- mette di giungere a una vera organizzazione territoriale costituita da sistemi interagenti. Più facilmente tende a generare conflittualità profonde tra settori tra loro incompatibili, so- prattutto se trattati separatamente. Si vedano ad esempio i conflitti che si generano tra i piani di rete ecologica e i piani della mobilità e delle infrastrutture, oppure tra i piani co- munali e i piani del verde che, di fatto, rego- lano aree lasciate libere dai piani urbanistici. Questi piani riescono a gestire gli “avanzi” degli altri strumenti urbanistici, mentre po- trebbero esistere sinergie utilissime che, set- torialmente, non è possibile sfruttare. Per ovviare a tali difficoltà, un metodo impo- stato su una pianificazione a più scale, che si approfondisce e specifica mano a mano che aumenta il grado di risoluzione del mosai- co ambientale e l’informazione relativa, che affronti tematismi specifici solo dopo aver affrontato la realtà sistemica nel suo com- plesso, sembra essere quello più adatto ad affrontare realtà complesse.

Un approccio in grado di superare la mo- dalità settoriale è la suddivisione del terri- torio in Unità di paesaggio (Udp), a partire dall’identificazione dei bacini idrografici e dei sottobacini, cui dovrebbe riferirsi tutta la pianificazione.

Lo studio delle caratteristiche spaziali del paesaggio dei bacini idrografici permette di individuare ambiti territoriali all’interno dei quali gli ecosistemi, compresi quelli forgiati dalle attività antropiche, si formano e distri- buiscono con modalità caratteristiche e rico- noscibili che si ripetono entro gli ambiti stes-