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e, più in generale, all’agricoltura urbana. La pratica dell’orticoltura in città e nelle aree periurbane può apparire solo a una prima analisi superficiale fuori dal tempo e da ogni logica di consumo di massa: in realtà costitu- isce oggi un fenomeno estremamente attuale. Gli ortaggi hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione dell’uomo e rappresenta- no una delle componenti base della cosid- detta dieta mediterranea, come dimostrano le statistiche di consumo di questi prodotti che vedono l’Italia ai primi posti, insieme agli altri paesi dell’area mediterranea.

Dai dati possiamo desumere che la spesa per l’acquisto di tali prodotti sia rilevante e che l’esigenza di integrare un salario o una pen- sione insufficiente, con una sorta di secondo lavoro nell’orto, può risultare importante ai fini della definizione del fenomeno; tuttavia non ne è l’unica componente. L’orto in città più che creare un guadagno, dà luogo a un risparmio.

L’orticoltore urbano si sente libero di svolge- re la propria attività nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni, senza doversi subor- dinare a nessuno. Se la cura dell’orto fosse soltanto un lavoro, perderebbe quel senso di libertà che gli è proprio. L’orto è anche di- vertimento, impiego del tempo libero e fuga dalla solitudine.

Appare quindi chiaro il peso che assume nel- la tematica degli orti urbani la componente umana. Il fenomeno esiste poiché esiste un certo numero di persone che lo tengono vivo. Valutare il problema nei suoi termini sociali significa chiarire chi sono queste persone e perché si dedicano alla coltivazione dell’orto, nonché definire l’immagine del fenomeno agli occhi del comune cittadino.

La scarsa visibilità che contraddistingue le coltivazioni orticole e il carattere di elemen- to marginale che ad essi viene attribuito dal capaci di trasformare la scuola in qualcosa di

vivo di cui prendersi cura.

Partiti dalla scuola, abbiamo esteso la nostra attenzione agli orti terapeutici, carcerari, so- ciali: spazi dove ci si prende cura di fiori e ortaggi, ma anche della nostra pace interiore, scoprendo al contempo nell’orto un luogo ide- ale dove intrecciare tutta una serie di scambi con la natura, l’ambiente e la comunità. Tra le tante modalità possibili, l’orto resta il nostro punto di riferimento privilegiato: per- ché propone un modello economico meno instabile, meno fondato sulla rapina di risorse non rinnovabili e quindi limitate. Coltivare un orto è un gesto di pace.

Proponiamo la costituzione di una Rete degli Orti di Pace nell’intento di tenerci in contatto, scambiare informazioni sulle varie iniziative. E anche, non ultimo, renderci conto di quanto poco siamo isolati nel gesto di coltivare il no- stro comune giardino dall’umile nome di terra. Riferimenti bibliografici

Nadia Nicoletti, L’insalata era nell’orto, Salani, Mi- lano 2009.

Pia Pera, Ortogiardinoterapia, Salani, Milano 2010. Paolo Tasini, Educare al giardino, Attraverso giar-

dini, 2007.

Gianfranco Zavalloni, La pedagogia della lumaca, EMI, Bologna 20102.

Orticoltura urbana

È ormai accertata la funzione benefica sulla salute derivante dalla semplice coltivazione di un orto o dalla cura del proprio spazio verde, anche se questo è limitato al balcone di casa. Meno conosciute, anche se lo stanno divenendo rapidamente, sono le implicazioni sociali ed economiche strettamente legate al fenomeno di diffusione degli orti urbani

186ORTICOLTURA URBANA

O

circondati da community gardens. Alcuni stu-

diosi hanno identificato questa tipologia di in- sediamento come uno dei possibili strumenti per la riorganizzazione del sistema alimentare in relazione all’ambiente urbano, tema ancora troppo poco indagato a livello di pianificazio- ne. Allo stesso tempo, si avverte la necessità di valutare il valore attribuito dai consumatori alla disponibilità di cibi organici e freschi e l’effettiva propensione a partecipare ai proces- si ecologici urbani, ad esempio contribuendo al riciclaggio dei rifiuti organici urbani. L’Edible landscaping sta riscuotendo crescen- te successo anche in Italia, anche se la scelta delle piante da utilizzare risulta complicata non solo dal punto di vista delle produttività. Si dovranno infatti prendere in considerazio- ne, oltre alle caratteristiche visive delle sin- gole specie quali la taglia o la forma, anche la resa potenziale, l’eventuale suscettibilità a determinati agenti patogeni, nonché le ope- razioni colturali da eseguire e la qualità dei

frutti. Francesco Ferrini

Riferimenti bibliografici

Martin Bailkey, Joanna Wilbers, René van Veen- huizen, Building Communities through Urban Agriculture, «Urban Agriculture Magazine», 18, 2007, pp. 1-6.

Travis Beck, Martin F. Quigley, Edible Landscaping, Ohio State University Extension Factsheet HYG- 1255-02, 2001.

S. Jona, Edible Landscaping. Una nuova tipologia di verde urbano, tesi di laurea in Scienze e Tecnolo- gie Agrarie, a.a. 2008/2009.

Luc J.A. Mougeot, Urban Agriculture: Definition, Presence, Potentials and Risks, in Growing Cities, Growing Food - Urban Agriculture on the Po- licy Agenda, 2000, http://www.ruaf.org/reader/ growing_cities/Theme1.PDF.

Eva C. Worden, Sydney Park Brown, Edible Lan- dscaping, ENH971, Environmental Horticulture Department, Florida Cooperative Extension Ser- vice, 2009.

pubblico hanno fatto sì che in letteratura scarseggino ancora contributi su questo te- ma. Tuttavia, negli ultimi anni si sta assisten- do a una certa diffusione del fenomeno deno- minato Edible landscaping (paesaggio “com- mestibile”), oramai largamente diffuso negli Stati Uniti e anche in alcuni paesi europei. Edible landscaping è un termine usato per de- scrivere la coltivazione di piante alimentari e da frutto nelle aree verdi cittadine pubbliche e private, in alternativa alle piante cosiddette ornamentali.

Una pratica normalmente diffusa in giardi- ni e spazi aperti privati, ma solo raramente adottata nell’ambito del verde pubblico o comune. Nella concezione comune, il giardi- no pubblico si configura ancora prevalente- mente come uno spazio estetico, destinato al relax e ad attività ricreative. Di conseguenza la scelta delle piante da inserire nei giardini pubblici, da parte di progettisti e amministra- zioni, solitamente ricade su quelle con ricche fioriture o dalle caratteristiche curiose, oppu- re su quelle più adatte a creare zone riparate e ombrose. Si tende a trascurare, invece, il valore produttivo delle piante da frutto, ma soprattutto delle specie orticole, considerate piuttosto come elementi di servizio e quindi da nascondere alla vista.

L’obiettivo dell’edible landscaping è quello di coniugare la produzione di cibo a finalità estetiche e paesaggistiche. Uno scopo che può essere raggiunto con diverse combi- nazioni di piante: possono essere utilizzate specie da frutto, orticole, fiori commestibili, erbe aromatiche e piante ornamentali in pro- porzioni variabili.

L’edible landscaping trova applicazione so- prattutto nei giardini privati e di quartiere, ma anche sui tetti giardino e nei giardini delle scuole. Negli ultimi anni si è anche diffuso il termine edible estates, per indicare quartieri

187 PAESAGGI URBANI assumere in un’ottica di indirizzo proget- tuale le seguenti definizioni, tra loro inte- grate, di paesaggio urbano:

– configurazione di un sistema complesso di insediamenti umani multifunzionali, caratterizzato da una presenza diffusa di vegetazione, risorse naturali e biodiversi- tà e organizzato rispetto a criteri ecologi- co-funzionali, socio-culturali, economici, urbanistici ed estetico-percettivi; – forma di un ambiente vivente, eteroge-

neo e prevalentemente artificiale, dove il benessere e la qualità della vita degli abitanti sono dipendenti dalle modalità con cui le dinamiche sociali, economiche, politico-gestionali e culturali e le attività antropiche si intrecciano con i processi biofisici e naturali, su cui influiscono di- rettamente e con cui interagiscono stret- tamente;

– realtà etica ed estetica dinamica, prodot- ta da una stratificazione complessa di segni costantemente sottoposta all’im- pulso della trasformazione e sempre tesa a sostenere la rete della vita (biologica, culturale, sociale).

Pensati e letti in questo senso, i nuovi pae- saggi urbani si prefigurano per ammini- stratori, tecnici, cittadini comuni come un laboratorio di sperimentazione attiva di un modello eco-responsabile di indirizzo delle trasformazioni delle città e degli insedia- menti.

Un modello in cui tutela e valorizzazione delle risorse naturali e ambientali, delle varie sedimentazioni storiche, delle diver- se temporalità dei luoghi, della memoria culturale e dei saperi locali, si saldano alla necessità di comprendere processi e funzio- namento ecologico dei territori dell’abitare. Un modello di trasformazione di questo tipo necessita di una adesione profonda al

Paesaggi urbani

La Convenzione Europea del Paesaggio, nell’assegnare esplicitamente dimensione paesaggistica a tutte le parti del territorio e quindi nell’asserire che tutto è paesaggio, ha rilanciato sul tavolo del confronto politi- co internazionale un’importante sfida cul- turale: ai temi della tutela e della conserva- zione attiva, tradizionalmente associati alla questione paesaggistica, sono stati final- mente affiancati formalmente quelli della riqualificazione di luoghi degradati e della creazione del nuovo. È a partire da queste note introduttive che intendiamo precisare il significato del termine paesaggio urbano, con cui qui si vuole rinviare sia a una ca- tegoria progettuale sia a una dimensione operativa e gestionale, per le quali occorre mettere a punto aggiornati criteri di lettura, valutazione e intervento.

Senza dimenticare l’ambivalenza semanti- ca della parola chiave paesaggio che, nel designare al tempo stesso una immagine rappresentata, un costrutto simbolico e una realtà vivente, contribuisce a rendere per- sistenti alcuni equivoci culturali, possiamo

188PAESAGGIO DI LIMITE

P

dei territori urbani, anche le condizioni

materiali della loro abitabilità e del loro corretto funzionamento ecologico. La comunità urbana paesaggista ha come obiettivo prioritario non la crescita economica, lo sviluppo illimitato o la superiorità competi- tiva, ma la difesa «dell’intera rete della vita, da cui dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine» (Capra, 1997). Anna Lambertini Riferimenti bibliografici

Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997. Gordon Cullen, Il paesaggio Urbano. Morfologia e

progettazione, Calderini, Bologna 1976. Pierre Donadieu, La Société paysagiste, Actes Sud,

Arles 2002.

Lucien Kroll, Tutto è paesaggio, Testo & immagine, Torino 1999.

Jacques-Marin Loiseau et al., Le paysage urbain, Sang de la Terre, Paris 1993.