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suoni prodotti da elementi fisici naturali (ven- to, acque correnti) e infine antrofonia ogni suono prodotto dall’uomo e dalle sue attività. Ogni ambiente naturale o trasformato dall’uomo possiede un proprio footprint so- noro quando attraversato da energia. Questo permette di caratterizzare ogni ambiente e di poterlo definire come ambiente ad alta quali- tà, quando è possibile distinguere tutti i suoni senza la distorsione prodotta da un rumore addizionale (per esempio il passaggio di un aereo), e ambienti a bassa qualità, quando un inquinamento acustico impedisce di ascoltare i rumori e i suoni prodotti dalla natura. Si definisce nicchia acustica lo spazio fre- quenziale occupato da una specifica manife- stazione acustica emessa da un organismo. Al pari della nicchia ecologica, la separazione in ambiti frequenziali distinti consente ap- parentemente a ogni specie di far ascoltare la propria manifestazione acustica senza il rischio di overlap confondenti. Infatti alle espressioni acustiche delle specie animali vengono unanimemente attribuiti significati evolutivi importanti.

Per esempio gli uccelli hanno evoluto com- plesse manifestazioni canore emesse soprat- tutto dai maschi per delimitare e difendere i propri territori riproduttivi. Due possibili strategie possono essere messe in campo da questi animali per potersi far sentire dai conspecifici: emettere sonorità quando le altre specie sono silenti, oppure emetterle in frequenze distinte. Quando riusciamo a di- stinguere differenti specie di una comunità di uccelli mentre cantano contemporanea- mente ciò significa che ogni specie distribui- sce le proprie sonorità su bande frequenziali distinte.

In particolare, il soundscape degli uccelli pare non essere giustificato dal solo fine di delimitare i territori riproduttivi, ma anche di Riferimenti bibliografici

Marc Augé, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino 1999.

Julien Gracq, La forme d’une ville, Corti, Paris 19853, trad it. La forma di una città, di Annuska Palme Sanavio, Edizioni Quasar, Roma 2001. Martin Heidegger, Costruire Abitare, Pensare, in

Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976.

Richard Ingersoll, Sprawltown, Meltemi, Roma 2004.

Kevin Lynch, The image of the city, The Mit Press, Cambridge (Mass.) 1960, trad. it. L’immagine della città, di Gian Carlo Guarda, Marsilio, Pa- dova 1964.

Jean-Luc Nancy, La ville au loin, Mille et une Nuits, Paris 1999, trad. it La città lontana, Ombre corte, Verona 2002.

Piero Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Bruno Mondadori, Milano 1997.

Paesaggio sonoro

Il paesaggio sonoro è l’insieme di suoni che provengono dall’ambiente. Il termine soun- dscape, “paesaggio sonoro”, è stato coniato dal musicologo canadese R. Murray Schafer. L’ecologia acustica è il settore dell’ecologia che studia i paesaggi sonori.

Il paesaggio sonoro è quindi l’insieme dell’e- nergia strutturata da livelli differenti di onde compressive generate da soggetti naturali fisici (scroscio dell’acqua, vento, sciabordio del mare), biologici (canto degli uccelli, vo- calizzazione dei cetacei, cori di anfibi, ecc.), dall’uomo e dalle sue tecnologie (rumore de- gli aerei, di automobili, treni, fabbriche, ecc.). Viene definito inquinamento acustico il ru- more prodotto dall’attività umana che riduce la percezione acustica dei suoni che proven- gono dalla natura.

Bernie Krause ha chiamato biofonia ogni espressione sonora emessa dal mondo bio- logico (uomo escluso), geofonia l’insieme dei

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tra l’altro di filtrare tutto ciò che è rumore di

fondo o rumori di origine antropica. La qualità sonora fa la differenza nella valu- tazione di un paesaggio, soprattutto per quei paesaggi che la nostra società ha assurto a paesaggi terapeutici. Ci riferiamo a parchi urbani, boschi sacri, parchi e aree naturali. Una corretta progettazione degli spazi ur- bani dove l’inquinamento acustico è mas- sivamente presente non può più trascurare la componente sonora del paesaggio. Per questo lo studio del paesaggio sonoro entra a pieno titolo come elemento di prassi della ecologia del paesaggio e nella progettazione

ambientale. Almo Farina

Riferimenti bibliografici

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R. Murray Schafer, The soundscape. Our sonic en- vironment and the tuning of the world, Destiny Books, Rochester, Vermont 1977.

Barry Truax, Acoustic communication, Ablex Publi- sing, Westport, Connecticut 2001.

Paesaggista

«La preoccupazione di oggi, per gli architetti paesaggisti di quasi tutti i paesi, è la relazione tra la loro e le altre professioni, senza le quali non possono svolgere compiutamente il loro lavoro. Pochi sono i precedenti storici ai quali noi architetti del paesaggio possiamo ricorre- re come termini di riferimento: si tratta di un problema specificamente moderno, legato stabilire complessi rapporti sociali, utilizzare

segnali comuni di avviso della presenza di predatori, o segnalare fonti di cibo.

All’influenza dei caratteri ambientali sui canti degli uccelli viene attribuito il meccanismo della nascita dei dialetti che diventano ele- menti coevolutivi di una specie o di una co- munità. Ancora poco si conosce circa l’effetto di ciascuna specie sulle altre all’interno di una comunità. È ragionevole ipotizzare che la composizione specifica di una comunità sia alla base delle varianti canore delle specie componenti.

Lo studio dei paesaggi sonori richiede l’im- piego di sofisticate apparecchiature di regi- strazione e complessi software di restituzione numerica. In particolare nello studio delle vocalizzazioni animali (per esempio il canto degli uccelli) si fa ricorso alla trasformata di Fourier per trasporre il suono dal dominio temporale a quello frequenziale producen- do lo spettrogramma, una rappresentazione tridimensionale del suono dove gli assi x e y rappresentano il tempo e le lassi di frequen- za, mentre l’asse delle z è espresso da una variazione di intensità di colore e rappresenta l’energia in gioco.

In questo modo è possibile raffigurare un paesaggio sonoro come un vero e proprio paesaggio fatto di rilievi (l’energia in gioco), distribuiti lungo un asse temporale ed uno frequenziale.

Una implementazione di questa rappresenta- zione del suono consiste nell’analisi numerica delle differenze di intensità canora per le di- verse classi di frequenza che esprime qualità e quantità delle manifestazioni sonore. Que- sto indice, il cui acronimo è BACI (Bird Acou- stic Complexity Index), appare molto promet- tente per valutare la quantità di manifestazio- ni canore espresse da una comunità di uccelli in un certo periodo di tempo, consentendo

193 PAESAGGISTA partecipante, evidenziando in tal modo an- che i punti di contatto, le connessioni e le sovrapposizioni tra i diversi campi di attività delineati. Il risultato di questa operazione di invenzione letteraria è che, alla fine, il testo risulta «un omaggio all’essere umano, alla cooperazione e alla corretta visione artisti- ca dei problemi nel loro complesso». Pietro Porcinai, invitato a scrivere un articolo di commento ai lavori di quello stesso congres- so sulle pagine della rivista tedesca «Garten und Landschaft» diretta da Gerda Gollwitzer, riprende l’immagine del tavolo immaginario allestito da Jellicoe, suggerendo di aggiun- gervi ancora un posto per un nono personag- gio: il committente, pubblico o privato. La centralità del ruolo della committenza per la produzione di paesaggi di qualità è un tema ricorrente nel pensiero di Porcinai, che trovò il modo di argomentarne in più occasioni. Proprio in riferimento al dibattito internazionale generato in seguito ai lavori del congresso dell’IFLA di Amsterdam, il paesaggista toscano scrisse: «noi dobbiamo lavorare molto per formare i committenti d’oggi, per educarli. Che siano ricchi o rap- presentanti del popolo saliti al potere grazie alla democrazia non sono preparati a capire e dirigere gli artisti. Da qui le pessime soluzio- ni delle grandi città e delle cose pubbliche». Queste rievocazioni, se una volta di più ci permettono di collocare il profilo formativo del paesaggista entro un quadro culturale, tecnico e scientifico fatto di continui e indi- spensabili travasi di sapere tra discipline di- verse, ci inducono a sottolineare che ancora molto lavoro culturale va fatto, soprattutto in Italia, affinché l’architettura del paesaggio possa trovare adeguata espressione nei cam- pi applicativi che le sono propri, come anche il giusto riconoscimento sociale e accademi- co. Entrambe le questioni sono strettamente alla nascita della figura dello specialista in un

mondo complesso e all’interdipendenza tra uno specialista e un altro». Con queste parole Geoffrey Jellicoe aprì il suo intervento al con- gresso IFLA (International Federation of Lan- dscape Architecture) di Amsterdam del 1960. Quel congresso, incentrato sulla definizione dei ruoli e dei campi operativi del paesaggista in relazione alle competenze di altre categorie professionali, si colloca alle soglie del boom economico e in un momento particolarmente delicato della cultura del piano e del progetto urbano. Nella città post-bellica in espansio- ne, si tendeva a sottovalutare importanza e funzione delle componenti naturali all’inter- no dell’ambiente costruito e a concentrare la presenza di vegetazione in aree ricreative previste solo ai margini dell’edificato. “Space for living” è il titolo scelto significati- vamente per il settimo appuntamento inter- nazionale di architettura del paesaggio. Quel simposio coinciderà con la chiusura di una prima fase evolutiva dell’IFLA, improntata proprio alla riflessione sul rapporto tra archi- tettura del paesaggio e discipline correlate. L’intervento preparato da Jellicoe per l’oc- casione è articolato attorno a un’efficace me- tafora, costruita per evidenziare specificità e ruolo tecnico-culturale del paesaggista. Jelli- coe immagina di convocare otto personaggi per discutere di ambiente in senso lato. Sedu- ti a coppie, trovano posto attorno a un tavolo quadrato il paesaggista, l’architetto, l’inge- gnere, l’horticulturist, il pittore, lo scultore, l’urbanista e il filosofo: ecco così precisata la composizione di quella che Steen Høyer ha definito una «équipe interdisciplinare a carat- tere scientifico-artistico» (Høyer, 1998). Figurandosi di osservare la scena così allesti- ta da spettatore esterno e imparziale, Jellicoe comincia a descrivere strumenti tecnici e culturali e specificità professionali di ciascun

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progettuale finalizzata tanto alla definizione

di forme e strutture viventi quanto alla verifi- ca del loro funzionamento e richiede un eser- cizio di valutazione delle varie istanze sociali correlate alle temporalità sovrapposte delle dinamiche biologiche, ecologiche, culturali ed economiche in gioco.

Il paesaggista di fatto lavora con la natura al- la creazione di figure reali che cambiano nel tempo e dentro cui si cambia, ciascuno indi- vidualmente e tutti insieme come comunità. Come è noto, su come imparare a progetta- re con la natura la ricerca elaborata alla fine degli anni Sessanta da Ian Mc Harg fornisce tuttora fondamentali presupposti teorici. Come ha scritto Lewis Mumford nell’intro- duzione al libro: «ribadendo la necessità di un intento consapevole, di una valutazione etica, di un’organizzazione ordinata, di una deliberata espressione estetica nel trattare ogni parte dell’ambiente, Mc Harg pone l’ac- cento non sulla progettazione o sulla natura in se stesse, ma sulla preposizione ‘con’, che implica cooperazione umana e comparteci- pazione biologica. Egli cerca non di imporre arbitrariamente la progettazione, ma di sfrut- tare appieno le potenzialità – e con esse, ne- cessariamente le condizioni restrittive – che la natura ci offre».

A partire dagli anni Sessanta del Novecen- to, le prospettive e la gamma di strumen- ti dell’architettura del paesaggio vengono notevolmente ampliate grazie agli apporti scientifici dell’ecologia e della progettazione ambientale. Facilitando la messa a punto di più articolati modelli interpretativi delle dina- miche di trasformazione e di funzionamento dei paesaggi, queste discipline hanno contri- buito sensibilmente alla formazione di nuovi approcci progettuali.

Nella metà degli anni Ottanta, i ricercatori americani Nancy Jack e John Todd, ad esem- connesse alla possibilità di maturazione di

una nuova coscienza paesaggista e di una sua diffusione a livello politico e sociale, e quindi all’affermazione di una committenza, pub- blica e privata, pienamente consapevole del concetto di paesaggio come progetto. E poiché pensare al paesaggio come progetto implica innanzitutto il superamento sia della concezione purovisibilista e monumentalista che ancora pare permeare la cultura italia- na, sia di ideologici quanto spesso eccessi- vamente autoreferenziali approcci settoriali, occorrerà che la nostra società cominci a dare spazio a specialisti in possesso di quei requi- siti e competenze che, già all’inizio degli anni Settanta, Vittoria Calzolari così sintetizzava nell’ambito di un’ormai storico convegno italiano:

– capacità di osservazione, analisi, interpreta- zione delle dinamiche naturali, culturali, socia- li che regolano le trasformazioni dei paesaggi; – abilità inventiva e sensibilità creativa che tengano conto delle dinamiche di trasfor- mazione dei luoghi; dell’armonizzazione del progetto ai principi naturali ed ecologici e ai caratteri del paesaggio in esame; della ne- cessità di considerare la gestione del nuovo paesaggio creato come parte integrante della progettazione stessa.

Riconoscere il paesaggio come entità dina- mica è un tratto costitutivo del paesaggista, consapevole di avere a che fare con una di- mensione sistemica complessa, interpretabile come realtà fisica, ma anche come testo for- mativo e come spazio simbolico.

Il paesaggista «si occupa del processo di produ- zione di un territorio basato sull’anticipazione, in parte vaga, in parte definita, del suo divenire sociale e spaziale», sostiene a questo proposito il geografo francese Pierre Donadieu.

Anticipare il divenire dei paesaggi richiede una capacità inventiva e di immaginazione

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Vittoria Calzolari, Concetto di paesaggio e paesisti- ca, in Architettura del Paesaggio, atti del conve- gno di Bagni di Lucca, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 73-88.

Pierre Donadieu, Progettazione paesaggistica, «Lo- tus Navigator», 5, 2002.

Steen Høyer, Il contesto sociale, la formazione dell’architetto del paesaggio, le professioni con- nesse, in Scandinavia. Luoghi, figure, gesti di una civiltà del paesaggio, a cura di Domenico Luciani e Luigi Latini, Edizioni Fondazione Benetton Stu- di e Ricerche, Treviso 1998, pp. 51-57.

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Lewis Mumford, Introduzione in Ian Mc Harg, Progettare con la natura, Franco Muzzio, Pado- va 1989 (ed. orig. Design with nature, New York 1969).

Pietro Porcinai, Aree Verdi e giardini in Italia, Re- lazione nel corso del 9° Congresso dei Giovani Orticoltori Europei, Pistoia settembre 1968, Mi- scellanea Scritti, Archivio Porcinai, Villa Rondi- nelli, Fiesole.

Percezione dello spazio