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Giardino terapeutico Mutuata dall’inglese healing garden, l’espres-

sione “giardino terapeutico” viene riferita a spazi coltivati, generalmente annessi a strut- ture di cura, appositamente progettati per favorire la riabilitazione da patologie diverse, attraverso il miglioramento dello stato di be- nessere generale della persona, reso possibile dal contatto diretto o indiretto con le piante e altri elementi naturali. Nel contesto riferito ai processi di guarigione il termine healing indi- ca un concetto molto ampio, che comprende la sfera spirituale al pari di quella fisica: la tra- duzione italiana deve quindi essere intesa in

131 GIARDINO TERAPEUTICO maggioranza delle persone che lo frequentano: in primo luogo i pazienti, ma anche il persona- le sanitario e i visitatori. È possibile concepire giardini che abbiano una funzione curativa ge- nerica, come all’interno di un ospedale, oppure funzioni specifiche e distinte, come giardini per non vedenti, per malati di Alzehimer, per strut- ture pediatriche, psichiatriche, centri oncolo- gici o di lunga degenza. Definire un giardino “terapeutico” può apparire, nella molteplicità delle numerose possibili declinazioni, piuttosto generico poiché lo stesso aggettivo, anche se inteso in senso lato, suggerisce qualcosa di più che una semplice sensazione di benessere: da qui la necessità di una verifica del “processo di guarigione” attraverso la valutazione, tramite diversi indicatori, delle condizioni e dei pro- gressi nello stato di salute dei pazienti. Prove- nienti dalla cultura anglosassone, sempre più spesso, oltre al più diffuso healing garden, si incontrano nuove espressioni come wellness garden, restorative landscape, contemplative garden, therapeutic landscape, supportive gar- den a indicare la necessità di ulteriori appro- fondimenti e specificità in questo recente am- bito di ricerca. Enrica Bizzarri Riferimenti bibliografici

Clare Cooper-Marcus, Marni Barnes, Gardens in Healthcare Facilities: Uses, Therapeutic Benefits, and Design Recommendations, The Center for Health Design, Martinez, CA 1995.

Rachel Kaplan, Stephen Kaplan, The experience of nature: a psychological perspective, Cambridge University Press, New York 1989.

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Edward O. Wilson, Biophilia, Harvard University Press, Cambridge 1984.

le esigenze di sempre più complesse tecnolo- gie mediche, l’esperienza dell’ospedalizzazione fosse vissuta negativamente dai pazienti anche per la forzata presenza in luoghi inadeguati. Infatti una progettazione disattenta delle strut- ture sanitarie può essere fonte di ulteriori di- sagi dovuti a mancanza di privacy, difficoltà di orientamento, interruzione del rapporto fisico e visivo con l’ambiente naturale. Pur avendo da sempre una forte connotazione utilitari- stica, dovuta alla dipendenza dalle piante per la produzione di cibo e di altri beni necessari alla vita, il rapporto con il mondo vegetale ha conosciuto nel corso dell’evoluzione umana modalità identificabili in una sorta di simbiosi spirituale: il giardino come luogo di transizione tra l’uomo e il mondo, spazio sociale, ludico o meditativo, fonte di piacevoli stimolazioni sen- soriali, opera d’arte. I fondamenti teorici relativi alle qualità terapeutiche dei giardini risalgono molto indietro nel tempo e ipoteticamente qualsiasi giardino può trasmettere piacere e benessere, ma è anche necessario stabilire delle distinzioni quando si parla di un giardino studiato per soggetti in stato di salute compro- messo. Discipline come la psicologia clinica, la psicologia ambientale, la psiconeuroimmuno- logia, la medicina comportamentale sono state quindi coinvolte, nell’ottica di un approccio multidisciplinare, nella creazione di giardini all’interno delle strutture sanitarie, con una nuova attenzione focalizzata sulla qualità della progettazione e sulle peculiari esigenze dei fruitori. Una attenzione che trova la sua origine anche nel riconoscimento che luoghi di cura psicologicamente non accoglienti producono effetti negativi sull’immagine delle strutture stesse, argomento centrale questo nella situa- zione di grande cambiamento all’interno dei sistemi sanitari attuali. Per poter essere quali- ficato come terapeutico, un giardino deve ave- re effetti positivi, valutabili e misurabili, sulla

132INSTALLAZIONE AMBIENTALE

esempio lo scolabottiglie, 1914) all’interno di uno spazio consacrato alle esposizioni d’arte, mise in corto circuito la relazione tra significato dell’oggetto e spazio che lo ospita. Ponendoci di fronte all’interrogati- vo: «ma questa è arte?», Duchamp risveglia con violenza la percezione del visitatore che, guardandosi attorno incredulo, è costretto a prendere coscienza della natura del contesto in cui si trova.

Altri artisti – in anni di poco successivi – proseguono tale movimento di espansione del concetto di arte, mossi dalla necessità di attuare una sua sintesi globale, riprendendo in parte l’idea Wagneriana dell’opera d’arte totale, la Gesamtkunstwerk1, nella quale egli immaginava fossero riunite tutte le forme d’arte: musica, drammaturgia, danza, mimi- ca, poesia, architettura e arti figurative, al fine di «creare un’esperienza estetica completa». Nel 1923 Kurt Schwitters dà inizio al Merzbau, formidabile e precoce esempio di “installazio- ne ambientale”, fusione di scultura, archi- tettura e arte visiva, che anno dopo anno si espanse e crebbe come un organismo vivente, secondo una logica di recupero e accumulo indiscriminato e casuale di oggetti, alterando progressivamente le superfici e lo spazio del suo studio.

Tali brevi accenni, per niente esaustivi, sull’o- pera delle avanguardie storiche, possono considerarsi espressione di una più generale tendenza a un progressivo avvicinamento tra spazio estetico e spazio letterale e di un desi- derio di integrazione tra arte e vita.

In campo artistico, il termine “installazione” compare per la prima volta all’inizio degli anni Sessanta del XX secolo sulla rivista «Art Forum», per indicare la disposizione di una serie di oggetti all’interno di uno spazio espositivo.

Il termine è sovente utilizzato in relazione ai

Installazione

ambientale

Il dilatamento dell’oggetto scultoreo allo spa- zio che lo circonda avviene attraverso un processo di trasformazione progressiva della percezione dell’“opera” in rapporto al suo contesto, processo contrassegnato da alcuni momenti di rottura, punti di non ritorno nella storia dell’arte, oltre i quali per comprendere il nuovo non è più pensabile usare i vecchi criteri di interpretazione.

Queste aperture, dischiusesi gradualmente nel campo delle arti figurative, hanno inve- stito – a volte a decenni di distanza – altre di- scipline, quali l’architettura, l’architettura del paesaggio, il design, che hanno individuato nelle modalità di scardinamento di paradigmi culturali obsoleti, proposte dalle avanguardie storiche, nuovi dispositivi estetici per ripen- sare, progettare e agire nel tempo presente. Esempio ben noto – ancora oggi significati- vo – di dissoluzione del diaframma tra l’og- getto scultoreo e il suo contesto è costituita dall’invenzione del readymade, operata agli inizi del XX secolo da Marcel Duchamp che, posizionando un oggetto di uso comune (ad

133 INSTALLAZIONE AMBIENTALE appositamente coniato il concetto di site speci- fic, che designa quegli interventi specificamen- te ideati per un certo luogo, che perderebbero buona parte o del tutto il loro significato se separati da esso. Ed è qui che la definizione di installazione si dilata al termine “ambientale”, ancorandosi al concetto di site specific. Per i land-artists: «Il paesaggio diventa il nuo- vo campo d’azione in cui il fruitore smette di essere un normale osservatore e diventa ele- mento indispensabile per la definizione dello spazio che ospita entrambi. […] Il protago- nista non è l’oggetto, ma lo spazio dinamico creatosi attorno l’oggetto attraverso l’azione. […] Lo spazio dev’essere esperito, ascoltato e non solo osservato»3.

Accogliere il contesto nella sua complessità, non solo nella dimensione fisico-spaziale, ma anche in quella sociale, antropologica, sto- rica ed ecologica, caratterizza quel gruppo di interventi nei quali l’artista o il progettista antepone all’intervento fisico sul luogo un at- tento lavoro di ricerca sul campo, condotto at- traverso l’analisi delle fonti storiche e dei dati sui caratteri fisco-ambientali locali, nonché la raccolta di informazioni presso la popolazio- ne locale, sino a giungere – in alcuni casi – al coinvolgimento diretto di gruppi di individui, rendendoli parte di un lavoro partecipato e condiviso.

L’esito progettuale finale che ne deriva è la forma concreta del complesso sistema di for- ze intercettato durante il processo di analisi condotto su di uno specifico territorio. Questo metodo di lavoro – che tenta di fon- dere organicamente principi etici ed estetici – può implicare lunghi periodi di indagine, come accaduto durante la realizzazione di Aiuola Transatlantico dell’artista Claudia Lo- si, che ha comportato alcuni anni di “raccolta dati” (2005-2007), durante i quali l’artista si è posta come figura di mediazione tra lo spazio lavori degli artisti minimalisti che operarono

in particolare tra il 1960 e il 1975. Nelle loro opere, l’attenzione è spostata dall’oggetto- scultoreo allo spazio nel quale esso è esposto e massima priorità è conferita al coinvolgi- mento diretto dell’ambiente espositivo, che diventa parte integrante del lavoro d’arte. «Il significato della scultura dipende dal rappor- to di connessione tra queste forme e lo spazio dell’esperienza». È solo collegandosi allo spa- zio reale dell’esperienza che è possibile per gli scultori minimalisti: «affermare l’esterio- rità del senso, reagendo all’illusionismo scul- toreo […] che sottrae l’opera allo spazio lette- rale per situarla in uno spazio metaforico»2. Ancora oggi, dopo decenni di sperimentazio- ni, fornire una precisa definizione di “installa- zione” rimane un’operazione difficoltosa, per quanto in senso lato essa possa essere intesa come disposizione di oggetti e materiali vari in uno spazio. In ogni caso il termine non si riferisce mai a una tecnica, un medium espressivo o una corrente artistica, bensì a un sistema di relazioni in grado di connettere vari oggetti, lo spazio che li accoglie e l’osser- vatore che ne fa esperienza.

I concetti di “ambiente” e “ambientale” sono dunque già racchiusi nel termine installazione. L’equilibrio tra i tre fulcri di tale sistema (og- getto, ambiente, osservatore) è assai variabi- le; gli elementi che costituiscono l’installazio- ne, in alcuni casi, si relazionano al luogo che li accoglie in termini puramente spaziali: è il caso di quelle installazioni collocate in “con- tenitori neutri” – spazi espositivi sia chiusi in edifici che open air – nei quali l’osservatore è in primo luogo invitato ad attivare la consa- pevolezza di come gli oggetti sono disposti nello spazio e qual è la risposta percettiva a tale disposizione.

Il fattore “contesto” acquisisce importanza pri- maria nelle opere di land art, per le quali verrà

134INSURGENT CITY

I

Note

1 Richard Wagner, L’opera d’arte del futuro, 1849. 2 Rosalind Krauss, Passaggi. Storia della scultura

da Rodin alla Land Art, Bruno Mondadori, Mila- no 1998, p. 267.

3 Luca Galofaro, Artscapes. Art as an approach to contemporary landscape, Editorial Gustavo Gili, Barcelona 2003, pp. 27, 21.

4 Programma Nuovi Committenti, Fondazione Adriano Olivetti, Roma. Progetto Cortili, Iniziati- va Comunitaria Urban 2, Mirafiori Nord, Torino. 5 Paul Virilio, L’insécurité du territoire, Stock, Paris

1976, pp. 199-208. Riferimenti bibliografici

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