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Quale relazione può esistere tra i concetti di paesaggio e di limite? Individuare un limite significa segnalare l’esistenza di una discon- tinuità e rendere visibile una differenza, reale o presunta (Zanini, 1997). Il limite, in quanto “linea terminale o divisoria”, pre- suppone una conclusione e quindi consente varie forme di controllo dello spazio: giuri- sdizionali, conoscitive, propositive.

Per lungo tempo il limite è servito a descri- vere la città, a partire dal segno geroglifico che la ritraeva come una croce dentro un cerchio, la croce simbolo dello scambio (il cui centro è il punto in cui le relazioni assu- mono la massima intensità), il cerchio sim- bolo dei limiti. Il concetto di limite è infatti insito nell’idea stessa di città, fin dai primi esempi di insediamenti fissi nel territorio, massimamente espresso dalla costruzione pensiero sistemico. «Nell’approccio sistemi-

co, le proprietà delle parti possono essere comprese solo studiando l’organizzazione del tutto. Di conseguenza il pensiero siste- mico non si concentra sui mattoni elemen- tari, ma piuttosto sui principi di organizza- zione fondamentali», spiega Fritjof Capra: una strada comune che può essere tracciata solo lavorando alla formazione di una co- scienza ecologica e paesaggista collettiva. La progressiva crescita del fattore urbano e la necessità di definire opportuni strumenti di orientamento per le trasformazioni ci sfi- dano così alla formazione di nuove comuni- tà urbane eco-paesaggiste.

Una comunità urbana eco-paesaggista è consapevole che i luoghi in cui vive sono l’espressione dei valori etici ed estetici col- tivati a livello individuale e collettivo. Nel riconoscere il paesaggio urbano come suo contesto di vita quotidiano, la comunità ur- bana eco-paesaggista assume che:

– la qualità dei paesaggi urbani come im- magini percepite, spazi simbolici e come realtà viventi, è espressione di una cul- tura dell’abitare e di una responsabilità individuale e sociale, condivisa e parte- cipata;

– «la vita sin dai suoi primordi non ha con- quistato il pianeta con la lotta ma con la collaborazione, l’associazione e la forma- zione di reti» (Capra 1997);

– la biodiversità urbana si appoggia sul pluralismo estetico delle diverse nature urbane e sulla varietà di habitat;

– gli spazi pubblici sono il teatro della vita collettiva e vanno curati come contenitori di capitale culturale, ambientale e sociale; – è il sistema complessivo degli spazi aper- ti, pubblici e privati, dalla scala dell’edifi- cio a quella territoriale, a determinare as- sieme alla buona forma e alla figurabilità

189 PAESAGGIO DI LIMITE minore comprensibilità per la mente umana. Esistono confini sempre più frattali.

Quale è dunque la relazione tra limite e paesaggio? L’esistenza di un confine ri- spondente a una geometria complessa può però rendere il limite della città non più una barriera impenetrabile ma un elemento di sutura che, mettendo in contatto due zone diverse, le separa, o separandole stabilisce relazioni. Sebbene esista innegabilmente il rischio di una possibile densificazione della città diffusa, la presenza di enclaves di spazi liberi determinati dalla frangiatura dei mar- gini urbani riserva una via d’uscita e pro- pone una sfida: il progetto dei paesaggi di limite dove il limite della città, amplificando la propria dimensione trasversale da linea a superficie, diventa non elemento di de- limitazione dello spazio, ma generatore di relazioni e di opportunità. Il limite possiede infatti una qualità che a prima vista può non essere riconosciuta: la capacità di collegare e mediare due realtà spaziali distinte.

Il paesaggio di limite non è una categoria critica, riferita alle patologie della città con- temporanea, e neppure analitica, di descri- zione dei caratteri delle aree periurbane, ma è una categoria progettuale. Il paesag- gio di limite si differenzia dal paesaggio pe- riurbano in quanto portatore di una visione progettuale che assume il limite, quel luogo di interfaccia tra paesaggio evidentemente urbano e paesaggio palesemente rurale, quale elemento di relazione, superandone il significato comune che evoca concetti come separazione, conclusione e conteni- mento, per aprirsi a contenuti semantici latenti come mediazione, connessione e opportunità.

I paesaggi di limite possono essere «spazi di sogno e di libero vagabondaggio», come per Julien Gracq (Gracq, 2001), o luoghi dove delle mura urbane che rispondono non

solo alla necessità di difesa, ma anche a esigenze di riconoscibilità e appartenenza a una comunità che garantisce la consa- pevolezza dell’esistenza di due sistemi di regole – di diritti e di doveri – profonda- mente diversi.

La città moderna non richiama più, però, questa simbologia. I processi di trasforma- zione urbana hanno modificato l’immagine tradizionale con l’eliminazione di fatto del cerchio. «Il centro è ovunque e la circonfe- renza da nessuna parte, o il contrario», scri- ve il filosofo Jean-Luc Nancy (Nancy, 2002). La tradizionale contrapposizione città-cam- pagna non appare più utile a descrivere le problematiche proprie di quei paesaggi che sono collocati al margine della città, non so- lamente per la loro crescente antropizzazio- ne, quanto per la contrazione del rapporto spazio-tempo e la conseguente pervasività della cultura urbana. Vedere il paesaggio di margine urbano secondo tale visione duali- stica è oggi impossibile, poiché presuppone un approccio statico al problema che non tiene conto della velocità e della profondi- tà delle trasformazioni avvenute e in corso in questi luoghi dove, come ha osservato Ingersoll, è il movimento a caratterizzare lo spazio e dove si vivono effetti di spaesa- mento in quanto tutto ridiventa «centrale» (Ingersoll, 2004).

Il paesaggio periurbano appare contraddi- stinto da una frantumazione dell’area edifi- cata per la cui comprensione può essere utile ricorrere a una immagine figurale del limite urbano diversa da quella compatta e lineare a cui siamo storicamente abituati. La città ai suoi margini ha perduto la figurabilità antica – ricordiamo che il margine è uno dei cinque elementi che ne determinano l’imageability di Lynch (Lynch, 1964) – assumendo termini di

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sia ecologico-ambientale. È noto da tempo,

inoltre, quanto gli spazi di margine siano ricchi di biodiversità, svolgendo un ruolo fondamentale anche all’interno degli am- bienti urbani, tanto da essere loro dedicato da Clément un “manifesto” in quanto “Terzo paesaggio”.

Uno degli aspetti caratterizzanti il paesaggio in genere, la dinamicità, è qui particolar- mente evidente, contraddistinguendo l’es- senza stessa del paesaggio di limite e la sua percezione. Il paesaggio di limite è luogo dinamico. Dinamicità e movimento procu- rano inevitabilmente tensioni. Il paesaggio di limite può essere ambito di conflitti, di malintesi, ma anche di pacificazioni. L’essere sul confine comporta infatti la presenza di diversità che si incontrano, di identità che si sovrappongono, di antinomie che si ma- nifestano, ma esiste anche la possibilità di strutturare uno spazio comune con regole condivise. È infatti nei terrain vague che le identità diverse si possono attestare. I paesaggi di limite individuano uno spazio non soltanto materiale ma anche ideale, che allude alle nostre identità e ai nostri orizzonti mentali. Il limite non è infatti un dato esclu- sivamente fisico, è anche una costruzione culturale e dunque il paesaggio di limite è un paesaggio mentale, tanto più che i confini re- ali della città stanno sempre più assumendo un carattere evanescente.

Il progetto del paesaggio di limite non riguar- da dunque la ricostituzione del limite della cit- tà, ma si occupa del paesaggio non più urbano e non ancora agrario che sta fra la città con- solidata e la campagna ancora tale e può farsi portatore, in situazioni di diffusa riduzione e cancellazione della qualità e della identità di tali territori, tipica di molte realtà contempora- nee, di istanze di connotazione, di riequilibrio e di rigenerazione. Antonella Valentini l’immagine, re-inventandone gli spazi, pre-

cede la funzione come per Marc Augé (Augé, 1999). Sono paesaggi dove si può (ri)costruire la figurabilità di una città, intendendo per questa la capacità di provocare una sugge- stione sullo spettatore e quindi di radicarsi nella sua memoria. Pertanto il paesaggio di limite assume il valore di confine figurale, di confine identitario.

Il paesaggio di limite ha la caratteristica di essere doppio, forse ambiguo: può essere simbolo di chiusura ma anche di apertura. Può rappresentare un punto di arrivo ma, visto da un’altra e opposta angolazione, co- stituisce un punto di partenza che si apre alla scoperta di una realtà diversa poiché «un confine non è quello che mette fine ma, come già intendevano i greci, il confine è il dove del principio della presenza di una for- ma» (Heidegger, 1976).

Come Despina descritta ne Le città invisibili da Calvino, città di confine che si frappone tra due deserti non appartenendo né a l’uno né all’altro, ma ricevendo la forma dall’op- posizione ad entrambi, il paesaggio di limite accoglie le proprietà di entrambe le situa- zioni che si fronteggiano. Peraltro la stessa definizione matematica ci conforta: «… un punto di confine tra due regioni, del piano o dello spazio, è un punto ‘vicino’ al quale si trovano ‘sempre’ elementi della prima ed elementi della seconda regione …».

Il paesaggio di limite è uno spazio di me- diazione che separa e mette in relazione, adatto, scrive Lynch, come «qualsiasi zona di transizione […] alle soste e alle conver- sazioni. Ci si sente in due territori contem- poraneamente, con la possibilità di entrare nell’uno o nell’altro a scelta». Il paesaggio di limite è dunque lo spazio del “fra”, spa- zio mediano molteplice, sia sotto il profilo politico-sociale, sia funzionale e percettivo

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