Giardino storico
L’inserimento del giardino storico tra le natu- re urbane implica una sostanziale trasforma- zione di sguardo e prospettiva su questa par- ticolare dimensione del patrimonio culturale: un giardino storico è un monumento vivente, ma anche un luogo identitario, serbatoio di memoria collettiva e di memorie individuali, che può offrire potenzialità sociali, etiche e ambientali ancora inesplorate.
Con la particolare qualità ibrida del suo tem- po interno, con il suo intreccio di stratigrafie culturali, il giardino storico appare anche un importante arricchimento della diversità tem- porale che contribuisce a definire, insieme ad altri e numerosi fattori, il carattere specifico dei luoghi e la complessità di un paesaggio urbano. I giardini storici costituiscono nodi essenziali nei sistemi di spazi aperti e nelle reti ecologi- che urbane, eppure soltanto occasionalmente vengono considerati componenti effettivi della struttura paesaggistica ed è raro che vengano integrati pienamente nelle dinamiche culturali e sociali della città, con l’obiettivo di garantire una reale conservazione attiva del patrimonio. Fino alla seconda metà del Novecento il te- ma del restauro del giardino storico rimane un luogo culturale incerto, un terreno diffi- cile da affrontare per un progettista, vista la completa mancanza di riferimenti legislativi e culturali, anche a livello internazionale. A differenza di quanto avviene per il restauro architettonico, già disciplinato nelle sue linee generali e definito dalla Carta di Atene (1931) e dalla successiva Carta italiana del Restau- ro del 1972 (che contiene un primo accenno alla problematica del giardino), l’attitudine al confronto con il giardino storico è diver- sificata. Le categorie d’intervento applicate variano dalla mimesi, secondo la lettura di Cecil Pinsent e Geoffrey Scott alla villa Medici i giardini collettivi in tutte le loro diverse
espressioni, che si tratti di giardini collettivi di abitanti, di giardini pedagogici, d’insertion o di jardins familiaux, nella misura in cui il giardino è il frutto di una creazione collettiva e concertata».
Iniziative diversificate sparse nel panorama nazionale testimoniano che il movimento dei giardini condivisi, spesso in correlazione con la crescita e la diffusione di gruppi di giardi- naggio urbano resistente, sta ormai radicando anche in Italia. Tra le varie realtà già operative o in fase di cantiere si segnalano: a Bergamo il progetto “Oltre il giardino”, nato nel 2006 con il supporto dell’Assessorato al Verde Pubblico, Divisione Opere del Verde e dell’Orto botanico “Lorenzo Rota”; a Milano il Progetto “Com- munity Garden al Trotter”, promosso nel 2009 dall’Associazione “La Città del Sole - Amici del Parco Trotter onlus” e finanziato da Fondazio- ne Cariplo e CiEsseVi; l’apertura nell’ottobre 2010 del Giardino dell’Agronomo all’interno del parco Bizzozero nel quartiere Cittadella di Parma, un giardino condiviso voluto dall’Am- ministrazione comunale; il progetto “Filo Ver- de” lanciato nel 2010 per la città di Roma da un gruppo interdisciplinare tutto al femminile e finalizzato alla creazione di una rete di giardi- ni condivisi affine a quella della “Main Verte” parigina; il programma integrato “Giardinanza Attiva”, ideato nel 2010 per la realtà urbana fiorentina dal laboratorio studio LA.ST. Lan- dscape di Firenze. Anna Lambertini Riferimenti bibliografici
Laurence Baudelet, Frederique Basset, Alice Le Roy, Jardins partagés. Utopie, écologie, conseils pratiques, Terre Vivante, Mens 2008.
Valerio Merlo, Voglia di campagna. Neoruralismo e città, Città aperta, Milano 2006.
Michela Pasquali, Loisaida. NYC community gar- dens, a+mbookstore edizioni, Milano 2006. http://www.lizchristygarden.org/
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mata a Firenze il 21 maggio del 1981. La Cartaaffronta finalmente la complessa e ambigua specificità del tema, definendo il giardino sto- rico come «una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico ed arti- stico presenta un interesse pubblico» e come un «monumento vivente», individuando le categorie d’intervento applicabili, le strategie per l’uso e la conservazione e le modalità per la protezione legale e amministrativa. La presenza, all’interno della Carta, di diversi punti fortemente contestati dai partecipan- ti italiani – tra cui gli accenni al «ripristino» all’interno degli articoli 9, 10, 15 e 16, «la tendenza alla semplificazione riduttiva di una fenomenologia complessa, l’uso della storia strumentale alla selezione stilistica dei valori» (Giusti, 2004, p. 175) – darà luogo alla proposta alternativa del Comitato italiano (Belli Barsali, Dezzi Bardeschi, Bagatti Valsecchi, Bartoli e Moggi), la cosiddetta “Controcarta”, elaborata presso l’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze e firmata il 12 settembre del 1981. La Carta italiana stabilisce che il giardino sto- rico è «un insieme polimaterico, progettato dall’uomo, realizzato in parte determinante con materiale vivente, che insiste su (e mo- difica) un territorio antropico, o un contesto naturale. Esso in quanto artefatto materiale è un’opera d’arte e come tale, bene culturale, risorsa architettonica e ambientale, patrimo- nio dell’intera collettività che ne fruisce. Il giardino al pari di ogni altra risorsa costitu- isce un unicum limitato, peribile, irripetibile che ha un proprio processo di sviluppo, una propria storia (nascita, crescita, mutazione, degrado) che riflette la società e la cultura che l’hanno ideato costruito, usato, e che comunque sono entrate in relazione con esso». I temi della polimatericità, del valore documentario, delle relazioni con il contesto paesaggistico e territoriale, fondamentali per a Fiesole, al ripristino (con licenza d’inven-
zione), come quello effettuato da Giulio Guic- ciardini Corsi Salviati a Sesto Fiorentino o da Chevalley a Montalto Pavese, alla trasfor- mazione creativa realizzata dalla principessa Ghyka e da Miss Blood alla Gamberaia, alle straordinarie inserzioni progettuali di Grèber a Marlia, di Porcinai ai Collazzi, o di Buzzi per il giardino della villa Barbaro a Maser o per quello di villa Litta a Trenzanesio.
Risale al 1971 il primo colloquio internazio- nale sul giardino storico, promosso a Fontai- nebleau dall’International Council of Monu- ments and Sites (ICOMOS) e dalla Interna- tional Federation of Landscape Architecture (IFLA) che testimonia il consolidarsi dell’at- tenzione da parte degli esperti di diversi set- tori e di numerosi paesi verso questo partico- lare ambito culturale.
Nel frattempo la riflessione italiana sul tema si consolida attraverso contributi d’eccezio- ne; nell’ottobre del 1978, l’Archivio Italiano dell’Arte dei Giardini (fondato nel 1973, pre- sidente Rosario Assunto, direttrice Isa Belli Barsali e vicedirettore Alessandro Tagliolini) organizza un convegno di studi fra Siena e San Quirico d’Orcia, dedicato al giardino sto- rico italiano e coordinato dagli stessi Assunto e Belli Barsali.
L’esigenza di esplorare a fondo i diversi aspetti di un ambito tanto importante quanto poco indagato e di costruire una cultura con- divisa che fornisca gli strumenti per operare sul prezioso patrimonio di giardini storici presenti sul territorio nazionale riunisce al- cuni tra i maggiori studiosi italiani, che si confrontano per stabilire un lessico comune (Ragionieri, 1981).
Il primo documento che identifica a livello internazionale i criteri culturali per operare all’interno di giardini e parchi storici è la Carta dei giardini storici ICOMOS IFLA, fir-
129 GIARDINO STORICO reintegrare il giardino storico nel paesaggio e nelle dinamiche della città contemporanea, offrendolo alla percezione e alla compren- sione del visitatore attraverso operazioni di archeologia poetica, come quella, al tempo stesso filologica e inventiva, proposta da Ber- nard Lassus per la risistemazione delle Tuile- ries (Lassus, 1990).
Definiti in maniera finalmente esaustiva e (qua- si) condivisa i criteri e gli strumenti del restau- ratore, la conservazione di questo prezioso e consistente patrimonio richiede oggi l’esplora- zione coraggiosa di nuove frontiere, legate alla riscoperta di usi e funzioni compatibili con le fragilità del giardino storico, alla sua riconqui- sta come spazio pubblico e come “manifesto ecologico”, alla comunicazione efficace dei suoi contenuti storici, culturali e ambientali, alla sua reintegrazione nella contemporaneità.
Sembra che, al di là degli imprescindibili contributi multidisciplinari di studiosi e tec- nici, indizi importanti per affrontare queste impegnative sfide culturali possano essere le provocazioni di Eugenio Battisti, che ci invita a «reinventare per il futuro i giardini del pas- sato», ponendo l’attenzione sul valore etico e sociale del giardino storico da ripensare per l’uso (compatibile) dei cittadini e da riscopri- re come spazio collettivo: «Il giardino non è il fantasma ibernato di sé stesso; è una metafo- ra o una miniaturizzazione delle qualità natu- rali ritenute prioritarie da ogni generazione umana, delle nostalgie o dei terrori d’Arca- dia, della sublimazione del lavoro agricolo produttivo o di quello forestale. Le qualità includono il freddo e il caldo, il secco e l’umi- do, il vento o l’aria immobile, la panchina per i vecchi, l’angolo per gli innamorati, il campo da gioco per i ragazzi, l’aiuola di sabbia per i bambini. La forma più naturale e filologi- camente più corretta del restauro sarebbe dunque un continuo, generoso rifacimento, il riconoscimento delle specifiche caratteristi-
che costitutive del giardino storico, erano già stati evidenziati da Isa Belli Barsali tre anni prima della redazione del testo del Comitato italiano, nel suo intervento al già citato con- vegno di San Quirico (Belli Barsali in Il giar- dino storico, 1981).
La redazione della seconda Carta testimonia l’esistenza di una specifica visione italiana del giardino storico, rispondente a una peculiare complessità culturale nell’ambito del restau- ro che si differenzia profondamente dalla tradizione nord e centroeuropea che aveva condizionato la prima Carta di Firenze, ela- borata sotto la discussa presidenza del belga René Péchère.
L’approccio del mondo francofono, profon- damente influenzato dalle teorie di Qua- trèmere e Viollet Le Duc, differiva infatti in maniera sostanziale dalle categorie operative praticate in Italia a partire dagli anni Settanta del Novecento, elaborate dalla nuova cultura italiana della conservazione e innestate sull’e- redità ruskiniana dell’istanza storica, basata sul rispetto e la tutela del valore documenta- rio del monumento.
Trenta anni dopo la stesura della Carta di Firenze è possibile individuare una modalità alternativa di interfaccia con il giardino stori- co, che superi le due attitudini antitetiche, le- gate a pratiche “estreme” di conservazione o ripristino: è quella che riesce a comprendere e interpretare la particolare natura del tempo interno del giardino che accosta «l’eternità – sia pur relativa – della pietra» con «la fuga- cità del fiore», richiedendo al progettista che intenda confrontarsi con la sua complessità qualità solo apparentemente contrapposte, come «ambizione e modestia, pazienza e pas- sione» (Mosser, 1990).
È la categoria progettuale che combina gli strumenti della scienza e della poesia per
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senso lato, “terapia”, cioè non soltanto comestrumento della scienza medica da applicare in una determinata malattia, ma come fattore correttivo e ristabilente di un disequilibrio in- dotto da uno stato patologico, acuto o cronico, che riguardi la sfera fisica, psichica, emotiva e anche sociale. A questo proposito, forse più opportunamente, l’espressione francese jardin à but thérapeutique pone l’accento sullo scopo terapeutico del giardino stesso.
La riflessione sulla sempre più marcata e ap- parentemente irreversibile modificazione e ar- tificializzazione della natura da parte dell’homo faber ha fatto maturare l’ipotesi che la perdita di corrette interrelazioni col mondo naturale, vegetale in particolare, avesse una influenza negativa sulla nostra salute e sul nostro benes- sere psicofisico e potesse quindi contribuire all’aumento di situazioni patologiche e di disa- gio sociale. Ciò ha costituito la base di numero- se ricerche che, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, hanno evidenziato come il legame che unisce l’uomo all’ambiente naturale sia fondamentale, non solo sul piano strettamente biologico, ma anche su quello psicologico e spirituale. Negli stessi anni in cui Edward Wilson ipotizzava l’esistenza di un legame profondo e imprescindibile, anche sul piano biologico, tra l’uomo e le altre forme di vita presenti sulla Terra, gli studi di Roger Urlich mettevano in evidenza come, in pazienti sottoposti a intervento chirurgico, la semplice vista di un giardino, rispetto a quella di un muro di mattoni, fosse in grado di migliorare il decorso post-operatorio, riducendo l’ansia, il dolore percepito e il bisogno di analgesici, le complicanze post-operatorie e quindi la dura- ta della degenza. L’interesse per un possibile utilizzo “terapeutico” del nostro rapporto con il mondo vegetale venne così stimolato dalla consapevolezza che, in aggiunta agli inevitabili fattori stressanti collegati con la malattia e con con continue aggiunte di qualità, in forme
personalizzate ai desideri, privati o pubblici, attuali» (Battisti, 1989). Tessa Matteini Riferimenti bibliografici
Eugenio Battisti, Reinventando per il futuro i giar- dini del passato, in Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, a cura di Vincenzo Cazzato, Edizioni Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1989, pp. 217-222.
Il giardino storico italiano. Problemi di indagine. Fonti letterarie e storiche, Atti del convegno di San Quirico d’Orcia-Siena (6-8 ottobre 1978), a cura di Giovanna Ragionieri, Leo S. Olschki, Firenze 1981.
Maria Adriana Giusti, Restauro dei giardini, teorie e storia, Alinea, Firenze 2004.
Bernard Lassus, The Tuileries, a reinvented garden, History. A poetic archeology of the Art of Gar- dens (1990), in Bernard Lassus, The Landscape approach, University of Pennsyilvania Press, Phi- ladelphia 1998, pp. 144-145.
Monique Mosser, All’impossibile ricerca del tempo perduto: considerazioni sul restauro del giardino, in Monique Mosser, Georges Teyssot, L’architet- tura dei giardini d’Occidente: dal Rinascimento al Novecento, Electa, Milano 1990, pp. 521-526.