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Esiste una relazione tra urbanizzazione e siste- mi d’informazione e analisi. L’inizio dell’urba- nizzazione a grande scala nel mondo è coinci- so con quello della scrittura, l’invenzione della stampa e la sua rapida diffusione in Occidente hanno corrisposto allo sviluppo dell’urbaniz- zazione conseguente al Rinascimento. Ora è prio centro del mondo, è il punto di congiun-

zione fra il desiderio dell’uomo, o del popolo, e il potere sovrumano capace di soddisfarlo. Dove si riuniscono desiderio e potere, si trova il centro del mondo.

L’idea di centro è collegata a quella di canale di comunicazione, il cibo mistico viene dal centro: lo si può concepire come un luogo di passaggio, il cenacolo delle iniziazioni, la via fra i livelli celeste, terrestre e infernale del mondo, una porta, la soglia da superare, la rottura, il luogo di maggior intensità, della decisione e la linea di partenza. Il Centro è l’origine, il punto di partenza di tutte le cose, l’unità prima, il Principio, l’essere puro dal quale si irradia il mondo.

La rappresentazione più semplice è il punto al centro di un cerchio. È anche una figu- ra del Sole visto come “cuore del mondo”. Questo rapporto può essere più esplicito con raggi provenienti dal centro. Questo segno ha lo stesso significato generale del primo, con alcuni valori aggiunti: la circonferenza diventa l’immagine di un ciclo, le divisioni determinate dalle braccia della croce corri- spondono alle diverse fasi in cui si divide il ciclo. L’immagine ha anche valenza di ruota. La ruota è un simbolo del mondo, è la ruota delle cose, dell’andare ritmico del tempo. La rotazione è la figura del continuo mutamen- to al quale sono sottoposte tutte le cose. Vi è connessione tra ruota e simboli del fiore, dove lo sbocciare è un irradiamento intorno al centro.

Nei casi considerati, il centro è antecedente alla circonferenza, che ne consegue come una irradiazione; se lo consideriamo in rap- porto alla circonferenza realizzata, il centro diventa il mezzo, il punto equidistante da tutti i punti della circonferenza, l’idea che si esprime è allora quella di equilibrio, di ar- monia e giustizia.

63 CITTÀ FLUIDA tronico elude la distanza, non la annulla, ma la ignora. Il contatto ha la stessa qualità sia che avvenga tra due soggetti all’interno dello stesso edificio, uno al primo piano e l’altro al secondo, sia che si verifichi tra due soggetti a 5.000 km di distanza reciproca.

Si può parlare della megalopoli come dell’ul- timo prodotto dell’era meccanica e della città fluida come primo risultato dell’era elettro- nica. Nella megalopoli si tende a uno spo- stamento il più veloce possibile, la presenza fisica dell’operatore è necessaria ed è una velocità meccanica, spostamento materiale di oggetti e corpi. Nella città fluida l’operatore tende all’immobilità e alla presenza simulta- nea in più luoghi. Non più velocità meccani- ca, ma presenza elettronica, lo spostamento fisico e quindi la velocità non è richiesto, l’operatore può lavorare in qualsiasi punto at- trezzato del territorio ed essere in contatto col resto del mondo. In un panorama di questo tipo assume nuovo significato il fenomeno di abbandono delle metropoli. Le metropoli sono qualitativamente insufficienti, quando non dannose, rispetto al livello di vita, e mol- ti operatori scelgono di vivere in città più a misura d’uomo, restando comunque in rete planetaria. La metropoli non è più necessaria, perde l’esclusiva della relazione che l’aveva resa imprescindibile finora. Naturalmente la fisicità non perde significato all’interno della città fluida, solo, cambia il panorama: non sia- mo più in una città, ma in qualcosa di simile a una distesa omogenea attraversata da per- corsi e costellata di punti significanti. La distesa omogenea è il mondo, vero cam- po d’azione dell’operatore contemporaneo, i percorsi sono quelli che fisicamente percorre con vari mezzi, automobile, treno, aereo, ecc. I punti significanti sono i luoghi in cui stazio- na, luoghi privilegiati come la propria casa o l’ufficio, o luoghi di lavori, svago, ecc. l’elettronica che produce un aumento senza

precedenti nella quantità e qualità dell’infor- mazione che sta portando all’affermazione di un altro tipo di “urbanizzazione”, quella della città multimediale o città fluida.

La città fluida si sovrappone allo spazio come un sistema nervoso, è definita come un insie- me di contatti senza limiti fisici. Nel concetto di città fluida si verifica un salto qualitativo che la colloca su di un altro piano: fisicamente non esiste, esiste come unione di persone material- mente distanti, che si influenzano reciproca- mente, esattamente come in una città “norma- le”. Non è fisicamente individuabile in nessun territorio delimitato. È una rete immateriale che copre il pianeta, si sovrappone allo spazio comportandosi come un sistema nervoso. La città fluida è il passo successivo alla megalopo- li descritta da Jean Gottman nel 1966. La megalopoli ha una struttura a nebulosa e polinucleare, comprende un territorio di almeno 25.000.000 di abitanti e sua caratte- ristica è l’alto grado di relazioni esistenti fra i nuclei urbani che la formano. All’interno della megalopoli ha preso forma una catego- ria di professionisti per i quali diventa senza senso parlare di residenza unica, in quanto sono in quotidiano spostamento all’interno di un territorio. Fisicamente “abitano” nella me- galopoli, non solo in questa o quella città, e le loro relazioni sono contenute essenzialmente all’interno del territorio megalopolitano, va- sto, ma sempre definito. La megalopoli è una città dilatata, il significato è dato sempre dal rapporto fisico.

Nella città fluida il contatto fisico perde quan- titativamente importanza a favore del con- tatto elettronico. I rapporti attraverso rete telematica assumono significato aumentan- do in quantità, sostituendo i rapporti fisici. In questa direzione perde significato essere vicini materialmente o lontani. Il mezzo elet-

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strada» (Cacciari). Nessun principio unitario

comprende il sistema di strade che si danno, innumerevoli, separate e dagli incroci impre- vedibili.

Nel deserto non esiste “la” strada, ma le infi- nite possibilità dell’andare, in questo andare ciò che importa è la direzione, il metodo. Esi- ste una unica strada dove esiste una meta, ma non esiste meta, solo movimento direzionato. La condizione viaggiante porta a una presen- za passeggera dell’altro, una consuetudine cinetica alla sparizione, un’abitudine alla fu- gacità, all’incontro istantaneo, di un attimo. È qui che si manifesta la forma conoscitiva peculiare della tipologia mobile: l’intuizione. In un mondo di conoscenze istantanee, fuga- ci, brevi, in cui è necessario prendere delle decisioni in brevissimo tempo, avere opinioni su individui dopo un solo incontro, è fonda- mentale ricorrere e sviluppare la capacità dell’intuizione, che è legata indissolubilmente all’istinto, cioè alla parte più “animale”, più profonda e meno “razionale”.

Secondo Bergson l’istinto è simpatia, intel- ligenza e istinto sono rivolti in due direzioni opposte, la prima verso la materia inerte, il secondo verso la vita. L’intelligenza gira intorno alla vita, rendendoci padroni, con la scienza, dei fenomeni fisici: l’istinto divenuto cosciente, l’intuizione ci conduce all’interno della vita stessa.

Oasi - L’oasi è un punto significante all’inter- no del deserto, una parentesi nella velocità della vita. È oasi la casa, l’ufficio, il luogo di svago, la stazione. La “casa” si diffonde sul territorio e cambia, è un nido, custode del passato, dell’intimità personale. Più che abi- tata, è una casa sognata. Acquistano valore le vie, aumentano d’importanza le stazioni. Nel- le città, le zone intorno alle metropolitane, in particolare, prossime alle fermate, acquistano valore. Sul territorio, le scelte che riguardano Abbiamo avvicinato questo panorama a quel-

lo del deserto, luogo omogeneo e opaco, attraversato da vie e cosparso di oasi, punti significanti di relazione.

Via - Gli spostamenti continui, base compor- tamentale della tipologia sociale mobile, o dei borghesi transumanti, portano a una evolu- zione del concetto di viaggio. Il nocciolo della questione sta nell’assenza del ritorno, nella scomparsa della meta, che si sposa con l’i- dea del divenire come possibilità infinita. Nel viaggiatore “classico” è implicito il ritorno, il viaggio ha valore di parentesi, di tempo ecce- zionale rispetto a una normalità che è legata a un luogo, una casa, una città specifica. È il tempo della meraviglia, un fuori-uscire dalla quotidianità, la zona in cui tutto è permesso e possibile, contrapposta alla vita “normale”, intesa come regolata da norme, norme che nel viaggio possono essere infran- te, anzi devono, in quanto parentesi, eccezio- ne, evasione. Il viaggio si contrappone alla vita come l’eccezione alla regola e diventa lo spazio della liberazione.

Ciò che salva il viaggio è l’idea del ritorno, l’esistenza del punto fermo da cui si è partiti, la casa e la certezza di tornarvi. Il viaggia- tore contemporaneo ignora il ritorno. Il suo viaggio non è una parentesi, non è il tempo dell’eccezione, ma la sua radice. Il suo esse- re è fondato sul viaggio che diventa il luogo quotidiano, la norma. È un viaggio-percorso solitario, non esiste una sola via, una sola strada, ma piuttosto un sistema di strade, fatte da percorsi solitari che possono essere prossimi, ma mai identici a quelli degli altri. «Il deserto pullula di città, dove la sua strada subisce infinite biforcazioni, è ‘sedotta’ per meandri e labirinti ciechi, e da dove, comun- que, non potrà mai più uscire come ‘una’ strada. Il ‘ritorno’ non è più concepibile co- me riaffermazione, reintegrazione dell’unica

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