I giardini condivisi (corrispettivo dell’inglese Community Gardens e del francese Jardins Partagés) sono il prodotto di forme di azione collettiva intraprese da un gruppo di abitanti che si associano per occupare e prendersi cu- ra di uno spazio aperto di proprietà pubblica (comunale, demaniale o di enti e istituzioni territoriali) o privato, abbandonato e degrada- to, e trasformarlo così da spazio marginale e dell’abbandono in giardino di quartiere, colti- vato e gestito direttamente da e per i cittadini. Veri e propri laboratori di pratiche di giardi- naggio partecipativo, i giardini condivisi costi- tuiscono nella città del XXI secolo una sempre più radicata e diffusa categoria di spazio aperto di uso pubblico e si configurano come pre- ziosi dispositivi di qualificazione urbana e di coesione sociale, in cui trovano gioco anche nuove idee di bella natura e inconsuete figure di un’arte dei giardini contemporanea. Costituiscono, inoltre, l’espressione concreta di una particolare forma di attivismo spon- taneo e di un movimento urbano dal basso sempre più ampio, sostanziato anche dall’i- dea di rendere possibile la pratica del giar- dinaggio e dell’orticultura vicino a casa a chi non dispone di un proprio “pezzo di terra”. Per esteso, un movimento che vuole contri- buire direttamente a migliorare la qualità dei luoghi del quotidiano e che crede nelle opportunità di crescita sociale connesse alla condivisione di interessi, di obiettivi politico- culturali e di stili di vita individuali e collettivi eco-responsabili.
quelle realtà che sfruttano i margini, gli scarti e i buchi nella gestione dello sfruttamento ra- zionale del territorio per creare nuove forme di relazione e di socialità non necessariamen- te legate al rapporto produzione-consumo. In tutto questo si inserisce perfettamente l’esperienza di Campi Aperti che, mescolando produttori e consumatori, città e campagna, produce frutta e ortaggi, ma anche socialità e cultura, attraverso i tre mercati di vendita diretta e aperitivi biologici che si tengono settimanalmente a XM24, Vag61 e alla Scuola di Pace nel quartiere Savena» (http://leballa- tedellarealta.splinder.com).
A Napoli si sono organizzati invece nel 2011 i Friarielli Ribelli che sul loro sito (http:// friarielliribelli.blogspot.com) si presentano così: «un gruppo di cittadini che si batte contro il degrado urbano e tenta di vincere lo spirito di rassegnazione che si è perico- losamente diffuso in questi anni difficili, provando a fare risorgere all’interno della cittadinanza un senso di appartenenza e di amore per la propria terra, che si manifesti attraverso l’impegno diretto dei cittadini nella cura per la propria città. I Friarielli sono stanchi di lamentarsi delle inefficienze della classe politica, e pensano che in ogni caso i cittadini devono prendersi le proprie responsabilità e lavorare per migliorare la città, proprio nei momenti difficili infatti è necessario l’impegno di tutti, nessuno escluso, per riuscire a restituire dignità a noi stessi e Napoli». Anna Lambertini Riferimenti bibliografici
Michela Pasquali, Losaida. NYC community gar- dens, a+mbookstore edizioni, Milano 2006. Richard Reynolds, On guerrilla gardening: a
handbook for gardening without boundaries, Blo- omsbury, London 2008.
David Tracey, Guerrilla Gardening: A Manualfesto, New Society Publishers, Gabriola Island 2007.
125 GIARDINI CONDIVISI un periodo difficile di crisi globale economi- ca e sociale in cui continuano a moltiplicarsi nelle periferie delle città americane terreni in abbandono ed edifici in rovina. L’intuizione iniziale di Liz fu quella di intraprendere una serie di azioni pacifiche di Guerrilla Garde- ning che consistevano nel lanciare piccole bombe di semi e terra (seeds bomb) all’in- terno di lotti abbandonati e pieni di detriti e rifiuti, per favorire la propagazione di piante e fiori. I risultati di questi insoliti interventi di naturazione urbana furono incoraggianti, così nel 1973, dopo aver riunito un gruppo di amici e di abitanti della zona, Liz Christy de- cide di avviare un’operazione di occupazione e riqualificazione di un terreno abbandonato, nel Lower East Side a Manhattan: nasce il primo Community Garden, matrice di un mo- vimento internazionale di giardinaggio urba- no critico sempre più ampio e diversificato, che ebbe subito una rapida espansione nel Nord America, con la proliferazione, soprat- tutto nel corso degli anni Ottanta, di numero- se esperienze innovative a New York, Seattle, Toronto e Montreal.
La sempre maggiore diffusione di iniziative di orticoltura e giardinaggio urbano amatoriale collettivo ha determinato nel tempo anche la caratterizzazione di categorie diversificate di creazione e gestione comune di lotti e ter- reni urbani, legate a differenti finalizzazioni istitutive e alla possibilità di porre di volta in volta l’accento su specifici obiettivi di tipo economico-sociale, ecologico-ambientale o ricreativo-educativo. In Canada, ad esempio, ai Community gardens si sono affiancati i Collective gardens: mentre i primi nascono normalmente in virtù di un’azione spontanea di gruppi di cittadini e si configurano come un insieme di lotti coltivati individualmente a scopo ricreativo, i secondi sono promossi dalle istituzioni pubbliche (che ricoprono un Un giardino condiviso è sempre il prodotto
di un lavoro di gruppo attuato e regolato per raggiungere più scopi comuni: dalla coloniz- zazione di spazi in cui semplicemente rendere possibili attività di giardinaggio e orticoltura amatoriale in città alla riqualificazione di ambiti urbani degradati, dalla creazione di luoghi di incontro e di ritrovo alla attuazione di iniziative per l’inserimento sociale di cate- gorie deboli o svantaggiate, dalla coltivazione biologica e controllata di piante e ortaggi per consumo familiare alla attivazione di microi- niziative di economia popolare legate alla cul- tura del riuso, del riciclaggio e dello scambio, dalla costruzione di laboratori didattici per bambini e studenti alla diffusione di cantieri permanenti o temporanei di educazione eco- logica e ambientale.
Un giardino condiviso in ogni caso può essere interpretato come un luogo dove coltivare la solidarietà: in maniera informale e spontanea tra giardinieri appassionati o in maniera uffi- ciale e codificata tra enti pubblici e associazioni di cittadini.
Quale espressione di una cultura dell’abitare la città finalizzata ad attuare e sostenere for- me di coltivazione collettiva e di rigenerazio- ne di parti di territorio urbano, i giardini con- divisi costituiscono il prodotto evolutivo di un processo che ha origine in Europa nella metà dell’Ottocento, con la creazione a Lipsia, in Germania, dei primi orti sociali “senza casa” denominati Schrebergarten, dal nome del lo- ro promotore Daniel-Gottlieb Moritz Schre- ber. Occorre però giungere agli anni Settanta del Novecento per identificare la matrice diretta di un nuovo movimento e di una spe- cifica forma di cittadinanza attiva. È in quegli anni che a New York Liz Christy, un’artista residente a Manhattan, decide di intervenire operativamente per contrastare il processo di progressivo degrado del suo quartiere, in
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francesi subirono una sostanziosa riduzionenumerica, determinata anche dalla tendenza, soprattutto da parte di pianificatori e ammini- stratori animati dall’entusiasmo progressista che caratterizzò i cosiddetti “Trenta gloriosi”, a valutare questi ambiti come spazi marginali e deboli, ancorché privi di dignità estetica. È negli anni Settanta, sotto la spinta di una nuo- va attenzione alle questioni ecologiche, che i jardins familiaux cominciano a riacquisire valore come ambiti di produzione di benefici ambientali, oltre che sociali.
In Francia, il rilancio del giardinaggio e dell’orticoltura urbani collettivi è accompa- gnato da una indicativa diversificazione ti- pologica, che porta a distinguere tra jardins familiaux tradizionali, jardins d’insertions (fi- nalizzati al reinserimento professionale di categorie sociali svantaggiate), jardin par- tagés (ispirati come si è detto al modello dei Community gardens nord-americani e conce- piti quindi come giardini di quartiere coltivati dagli abitanti, aperti a tutti e fulcro di varie attività sociali e culturali) e, infine, jardins au pieds des immeubles, realizzati in aree per- tinenziali o di prossimità di grandi edifici di edilizia economica popolare.
Dall’inizio del 2000, il fenomeno del giardi- naggio urbano resistente ha ricevuto sempre maggiore attenzione all’interno delle politi- che di piano e gestione degli spazi aperti del- le città francesi. A Parigi ad esempio, l’Ammi- nistrazione ha lanciato nel 2001 il programma “Main Verte”, con la messa a punto nel 2002 della Charte Main Verte, un regolamento co- munale per la creazione di jardins partagés, che delinea un percorso partecipativo dalla costituzione dell’associazione di cittadini alle modalità di coltivazione e gestione del lotto, alla fruizione pubblica, alla definizione dei programmi ricreativi e culturali. Nella Char- te si esplicita: «il Comune di Parigi sostiene ruolo organizzativo-propositivo determinan-
te) e presentano un piano comune di coltiva- zione e cura di un terreno finalizzato molto spesso a procurare un sussidio alimentare ai partecipanti.
In Francia il primo giardino condiviso nasce a Lille nel 1997, con l’apertura del Jardin des (Re)trouvailles, frutto di un processo parteci- pativo avviato dall’Amministrazione comuna- le per la gestione dello Square Les Olieux, un giardino pubblico del quartiere di Moulins. Il Jardin des (Re)trouvailles, nelle sue modalità di organizzazione e gestione, trae ispirazione direttamente dalle esperienze nord-ameri- cane. Il successo di questa iniziativa pilota in terra francese, da cui si è originata la rete dei jardins partagés, denominata “Le jardin dans tous ses états”, ha fatto da innesco ad altre, che si sono poi velocemente susseguite e diffuse in varie città, innestandosi tra l’altro in una tradizione storica nazionale e reinven- tandola: quella dei jardins ouvriers promossi, in nome del cattolicesimo utopico sociale ottocentesco, dall’abate Jules Lemire con la costituzione nel 1896 della Ligue du coin de terre et du foyer, riconfigurata poi nel 1952 come Fédération Nationale des Jardins Fami- liaux. Concepiti in origine come un sistema di piccoli appezzamenti di terra da coltivare ai margini della città protoindustriale e al servizio del proletariato operaio inurbato che poteva così trarre sostentamento diretto dalla produzione orticola, i jardins ouvriers, adattandosi poi nel tempo ai cambiamenti socio-culturali ed economici, vengono ri- nominati nel secondo dopo-guerra jardins familiaux, definizione con cui si identificano orti domestici al servizio di una più ampia gamma di popolazione urbana, volti ad as- solvere, accanto a quella produttiva, una pre- valente funzione ricreativa. Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta i jardins familiaux
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