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Erbe da marciapiede (Frammento dallo spettacolo teatrale “Lezion

di giardinaggio planetario” di Lorenza Zam- bon, produzione Casa degli alfieri – Teatro e natura)

Voglio parlarvi di una cosa che si può “fa- re senza fare”: guardare! Io lo faccio sem- pre quando cammino sulle colline, cammino cammino e intanto guardo, lontano ma anche molto vicino ai miei piedi … e, intanto che va- do, in una piccola parte della mia testa “nomi- no gli esseri” come dice Clèment … farfaro, salvia dei prati, viola mammola, achillea, piè di gallo … Non posso quasi farne a meno. E poi non riesco a scacciare la strana sensa- zione che se li nomino li aiuto a esistere … è assurdo, lo so … Certo, lo so … Comunque recentemente ho scoperto che qualcosa di simile si può fare anche in città: ho visto una bellissima mostra a Torino e poi un libro La giungla sull’asfalto. Mi ha aperto gli occhi, mi ha rivelato l’invisibile …

Quello che spunta nella spaccatura dei mar- ciapiedi, se lo contempli, è come un richiamo. Una presenza fatata. Se fatato è tutto quello che non è umano.

Che è nonostante noi, ma che con noi si mi- schia, si infila, muta costantemente perché mutiamo noi … e così continua a starci accan-

to, ci segue, almeno ancora per un po’ nella nostra opera e nella nostra follia …

E ci chiama, appare, si manifesta, compare. Eccoli lì i magici esseri verdi che non vedia- mo perché non sappiamo guardare:

non fate, né elfi, ma presenze misteriose, perché ben poco in fondo ne sappiamo. Quei soffi, quei respiri di verde che emana- no, che esalano dalla terra che si infilano tra le lastre che bucano l’asfalto che scovano un cucchiaio di polvere vicino a un tombino e lo trasformano “alchemicamente”, lo rendono suolo.

E radicano, si insediano fanno spazio, preparano il luogo per i prossimi magici esseri, verdi …

E occhieggiano, ci chiamano, scompaiono, riappaiono, ridono inarrestabili le erbacce della città

delle grondaie, dei sottoponti, dei marciapiedi, delle inferriate, dei balconi chiusi,

delle vecchie terrazze.

Anche nel centro di un’orrenda Milano un canto sommesso

un trillo nascosto una danza invisibile un racconto ininterrotto …

il grido silenzioso, il sussurro della vita. Micro giardini gratuiti, spontanei. Pieni di colpi di scena, carichi di pathos … Quale giardiniere sa creare un’emozione così forte

102ETEROGENEO

E

come quella di un’erba che spacca l’asfalto di un ailanto che emerge in pieno centro dal sottosuolo di una cantina

di un fico che cresce sopra un tetto?

Ecco qualcosa che secondo me è bello fare: guardare con occhi nuovi le erbacce che co- lonizzano le nostre città … esplorare … e poi, magari, immaginare, rinaturalizzare, rinver- dire … fare come le piante infestanti … smon- tare, fare buchi, lasciare spazio all’invasione, fessurare … Ecco: agire non vuol sempre dire “fare”, “costruire” … ma scovare i mostri be- nevoli nascosti

… forse addirittura ... diventarlo anche un po’… A tutti gli aspiranti piccoli giardinieri pla- netari mimetizzati fra di voi … buona estate! … e … buon millennio al pianeta!

Lorenza Zambon Riferimenti bibliografici

Italo Calvino, Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, Einaudi, Torino 1958.

Karel Cˇapek, L’anno del giardiniere, Sellerio, Pa- lermo 2005.

Gilles Clément, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005.

Daniele Fazio, Giungla sull’asfalto - La flora sponta- nea delle nostre città, Blu Edizioni, Torino 2008. Robert Pogue Harrison, Giardini. Riflessioni sulla

condizione umana, Fazi Editore, Roma 2009.

Eterogeneo

Non esistono in natura individui uguali tra loro. Alcuni possono essere simili. L’identi- cità deriva dall’abitudine a non distinguere gli oggetti presupposti indistinguibili. Il te- ma, dibattuto in filosofia, trova conferma nei giardini e nei paesaggi. Un quadro di pae- saggio nella sua universalità può apparire

omogeneo, ossia formato da elementi affini della stessa natura: simili, mai uguali. Ogni paesaggio, come ogni realtà, è composto da individualità di diversa natura: differenti. L’omogeneità, soprattutto se riferita a un paesaggio, è una categoria contestabile nel- la sua essenza concreta, se non è riferita all’insieme degli elementi eterogenei che la formano. La diversità nel mondo vegetale e umano è composta dalle molteplici parti che costituiscono i luoghi: sono individui diffe- renti l’uno dall’altro. Non esistono due foglie identiche tra loro, anche nello stesso ramo di un albero. Allo stesso modo non esistono due esseri umani uguali.

Celebre fu la discussione tra Leibniz e Alven- sleben nel giardino di Herrenhausen, dove il filosofo rivendicò la diversità in natura e negli uomini dei molteplici in quanto individui dif- ferenti l’uno dall’altro, sfidando l’interlocuto- re a trovare due foglie identiche.

Eterogenee sono le singole stelle di una co- stellazione paesaggistica, una trama di rap- porti, composta non da singolarità pure e semplici, chiuse in sé, ma collocate sempre in contesti e circostanze, in relazioni di pros- simità o di distanza rispetto ad altro, tra pre- sente e passato, proiettate nel futuro. Sogget- te alla trasformazione incessante.

Il quadro universale di una costellazione, con le sue linee di congiunzione tra una stella e un’altra, tra un pianeta e un altro, tra una stel- la e un pianeta e così via all’infinito, deriva da relazioni di diversa natura, da corrisponden- ze, legami, concordanze e dissonanze; allo stesso modo le sovrapposizioni, le immagini riflesse nella visibilità senza confini dei pae- saggi, svelano la trama d’intrecci molteplici e non una semplice compresenza. L’univer- salità si dimostra pluridimensionale, perché risulta da un dialogo tra le diverse parti dei differenti rapporti. Ogni riflessione e ogni

103 ETEROGENEO proposta deve tener conto di queste condi-

zioni. Ogni realtà paesaggistica in quanto tale va letta, interpretata e raccontata nella sua particolare, esclusiva individualità.

Questo ambito complesso di individualità, che posseggono generi altri l’una dall’al- tra, rifugge l’integrazione perché restrin- ge l’apertura di un paesaggio, irrigidendolo progressivamente con classificazioni cultu- rali limitate, paralizzanti per ogni pratica di sistemazione. L’integrazione indica spesso un’eventuale differenza, ricusata del tutto prima di essere conosciuta: una dissonanza da annullare per evitare di prendere in con- siderazione le implicazioni introdotte da una nuova presenza. Poiché un apporto crea ogni volta un nuovo paesaggio, si auspica che il contributo non sia unicamente un aumento di uno degli elementi di quello esistente, ma fa- ciliti la presenza di nuovi apporti, sempre più importanti, e apra possibilità all’evoluzione del sito. Qui sta realmente il significato della radice verbale. Eterogeneo è generare altro, di diversa natura e qualità, non identico, non della stessa stirpe o specie: non omogeneo. L’apporto può quindi ridurre o aumentare la ricettività di un luogo. Con un paesaggio omogeneo, rafforzato ogni volta da relazio- ni dai caratteri simili a quelli degli elementi costitutivi del sito, non si crea affatto l’acco- glienza più favorevole, che si realizza, inver- samente, con le differenze. Solo un substrato paesaggistico sufficientemente eterogeneo permette l’accoglienza di contributi origina- li, che sembrano prodursi per la prima vol- ta: non copiati né imitati. Questo è il senso dell’originale. Bisogna fare attenzione. Se l’eterogeneità è più accogliente dell’omoge- neità, il riconoscimento dell’eterogeneo non va confuso con la tolleranza, perché questa sottintende l’accettazione dei rapporti esi- stenti: un profumo di supremazia che altera la

stessa nozione di riconoscimento dell’etero- geneo rivolto a un rapporto equilibrato, a una caratterizzazione ponderata dei vari elementi o frazioni riconosciuti.

L’eterogeneo presuppone la visibilità e l’or- ganizzazione stessa delle differenze come realtà positiva di un paesaggio: il riconosci- mento dei suoi caratteri specifici, il rapporto positivo di una cosa rispetto a un’altra. Le differenze esistono e vanno mostrate per evi- denziare le contraddizioni esistenti nel nostro mondo. Paesaggio non è altro che l’ambito complessivo della vita umana con le sue dis- sonanze.

Il termine stesso fa risaltare le proprietà differenti dell’eterogeneo, non armonizzabili fra loro, proprio come l’equilibrio tra specie chimiche che si trovano in differente stato di aggregazione; in concetti: varietà, diversità, difformità. L’evoluzione è passaggio dall’o- mogeneo all’eterogeneo, cioè dall’indifferen- ziato a ciò che è differenziato in parti tra loro diverse.

L’eterogeneo va studiato, espresso e anche immaginato in una pratica che non cerca una scala gerarchica, ma nuovi rapporti di presenza tra elementi e anche sulle loro costituzioni. Una delle difficoltà è d’inqua- drare il o i momenti in cui la cosa può essere considerata un’entità di tale o altra scala d’eterogeneità, cioè come passare da co- struzioni successive a presenze susseguenti. L’eterodito suggerisce nuovi posti a ciascu- no, identificato in un insieme aperto. Una proposizione valida oggi in un paesaggio sempre più multiculturale.

La stessa cultura è un complesso durevole, eterogeneo, soggetto a continue trasforma- zioni, composta da un insieme di elementi di diversa natura e qualità, non necessariamente presenti nella loro totalità. Comprensiva dei beni materiali, derivati dall’incessante attivi-

104ETNOBOTANICA

E

tà del costruire-abitare-pensare, insieme non omogeneo, più evidente oggi in una situazione di accelerata multiculturalità, la cultura costi- tuisce un vero e proprio patrimonio prodotto e sviluppatosi con il lavoro e l’interazione so- ciale. Massimo Venturi Ferriolo Riferimenti bibliografici

Arnold Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, trad. it. di Carlo Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1983.

Ute Guzzoni, Paesaggi. J’aime les nuages… (1990), «Itinerari», 3, 1994, pp. 7-29.

Bernard Lassus, The Landscape Approach, Penn University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998.

Bernard Lassus, Couleur, lumière… paysage. In- stants d’une pédagogie, Monum, Éditions du Patrimoine, Paris 2004.

Massimo Venturi Ferriolo, Paesaggi rivelati. Pas- seggiare con Bernard Lassus, Guerini e Associati, Milano 2006.

Etnobotanica

Ogni popolo e ogni civiltà ha instaurato con il mondo delle piante un rapporto di stretta relazione e per molti aspetti di interdipen- denza, specifico e peculiare dei diversi luoghi e dei diversi periodi storici, sia in virtù delle differenze nella flora, correlate a realtà bio- geografiche ed ecologico-evolutive, sia delle differenze culturali delle società umane. Lo studio di questa relazione è definita come etnobotanica.

L’etnobotanica è infatti lo studio del rapporto tra uomo e piante, inserito in un sistema di- namico in cui siano inclusi fattori sociali e na- turali. Inoltre, gli usi delle piante e le relazio- ni uomo-piante sono modellate dalla storia, dall’ambiente sociale e fisico e dalle caratteri- stiche intrinseche delle stesse piante (Alcorn,

1995). Compito quindi dell’etnobotanica è quello di rilevare tutte le diverse componenti del patrimonio culturale e del mondo vege- tale, comprese quelle più specificatamente legate a riti e credenze religiose, nonché il riconoscimento delle conoscenze che hanno portato ai processi di domesticazione delle piante selvatiche (Camarda, 2005).

Il rapporto piante-uomo è soggetto a forti incidenze dei modelli culturali specifici delle varie civiltà ed è necessario osservare che, con la progressiva crescita delle realtà urba- ne e la corrispondente rarefazione dei centri rurali, esso si è sostanzialmente modificato. Soprattutto con l’avvio di modelli economici alternativi resi possibili dallo sviluppo indu- striale, si è assistito a un progressivo allon- tanamento dell’uomo dal mondo della na- tura che ha comportato un impoverimento delle conoscenze etnobotaniche dovuto alla perdita dell’uso quotidiano, ma anche alla minore trasmissione generazionale. Tale fe- nomeno è divenuto di particolare rilievo nel mondo occidentale soprattutto negli ultimi decenni dove l’importanza attuale di cono- scere per conservare le espressioni culturali instauratesi tra uomo e ambiente è dettata dal ritmo sempre più frenetico con cui i pro- cessi tecnologici sostituiscono sempre più le attività tradizionali, frutto di esperienze con- solidatesi nel tempo. I saperi popolari delle tradizioni agricole, artigianali, medicinali, simbolici e anche religiosi legati al mondo delle piante sono, infatti, tra quelli partico- larmente soggetti a scomparire a fronte dei processi di globalizzazione in atto, fenomeno quanto mai preoccupante in Europa e nel Mediterraneo (Agelet & Vallès, 2003; Pieroni et al., 2004).

Il senso più profondo dell’etnobotanica oggi va ricollegato al fatto che, soprattutto in Eu- ropa, ma anche in altre parti del mondo, la

105 ETNOBOTANICA nostra generazione «ha il compito gravoso e

irrinunciabile di salvare e tramandare quan- to più possibile una cultura orale stratificata nei millenni, purtroppo votata a scomparire nel breve volgere di qualche anno a seguito di un processo di erosione ed omologazione culturale che non ha eguali nella storia dell’u- manità» (Manzi, 2003).

Nelle società moderne la conoscenza delle piante e delle loro proprietà è relegata a un numero sempre più esiguo di persone e la frattura con le scienze botaniche è sempre più profonda, a dispetto di una rinnovata attenzione verso il mondo vegetale e l’am- biente in generale. Non esiste paragone tra il livello di diffusione di conoscenza delle piante riscontrabile nei villaggi della savana africana o di quelli delle popolazioni indige- ne delle foreste amazzoniche, della Papuasia o dell’Australia e quello degli abitanti delle grandi metropoli urbane. Così, anche nelle comunità europee ancora legate all’economia basata sulle risorse del territorio, non esiste possibilità di confronto tra le conoscenze del- le persone anziane e le giovani generazioni (Camarda, 2005).

Per tali motivi lo studio degli usi delle piante tramandate da tempi remoti, e ancora pre- senti nelle tradizioni orali a livello locale, ap- pare uno dei più importanti scopi dell’etno- botanica e naturalmente la loro corretta iden- tificazione così come l’analisi dei lori principi attivi risultano necessarie al fine di dare fon- damento scientifico a quanto ci è pervenuto attraverso le fonti più varie. Inoltre le indagi- ni sulle conoscenze botaniche popolari sono ancora in grado di far emergere importanti notizie utili a perfezionare il percorso cultu- rale dei popoli del Mediterraneo, in rapporto alle piante come fattore comune unificante. L’urgenza di studiare e conservare le tradizio- ni della medicina popolare è stata segnalata

anche da organismi internazionali come l’Or- ganizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2002), che ne ha sollecitato sempre più ap- profonditi studi, e l’UNESCO (2003), che ha incluso le conoscenze etnobotaniche nel patrimonio culturale intangibile dell’umanità. Tale patrimonio di saperi e conoscenze rap- presenta senza dubbio un fattore fonda- mentale in quello che oggi viene definito “modello di sviluppo sostenibile” e che è doveroso indirizzare anche verso il recupero delle tradizioni culturali specifiche dei vari popoli, non solo come elemento identitario del loro passato, ma anche come guida per

il loro futuro. Giulia Caneva

Riferimenti bibliografici

Antoni Agelet, Joan Vallès, Studies on pharmaceuti- cal ethnobotany in the region of Pallars (Pyrenees, Catalonia, Iberian Peninsula), Part II, New or very rare uses of previously known medicinal plants, «Journal of Ethnopharmacology», 84, 2-3, 2003, pp. 211-227.

Janis B. Alcorn, The scope and aims of ethnobotany in a developing world, in Ethnobotany, edited by Richard Evans Schultes, Siri von Reis, Dioscori- des Press, Portland 1995, pp. 23-39.

Ignazio Camarda, La botanica attraverso la storia: le piante nelle antiche civiltà medio-orientali ed eu- ropee, in La biologia vegetale per i beni culturali, a cura di Giulia Caneva, Nardini Editore, Roma 2005, pp. 182-197.

Aurelio Manzi, Piante sacre e magiche in Abruzzo, Ed. Carabba, Lanciano 2003.

Andrea Pieroni, Cassandra L. Quave, Rocco Franco Santoro, Folk pharmaceutical knowledge in the territory of the Dolomiti Lucane, inland southern Italy, «Journal of Ethnopharmacology», 95, 2004, pp. 373-384.

UNESCO, Convention for the safeguarding of the intangible cultural heritage, Paris, 17 October 2003, pp. 1-15.

WHO, Traditional Medicine Growing Needs and Po- tential - WHO policy perspectives on Medicines, no. 2, May 2002.

106FIORITURE IN GIARDINO

za floreale unica, basti ricordare la M. soulan- geana dai fiori rosa carico e la M. stellata dai fiori colore bianco puro.

Il Cercis canadiensis è un altro alberello (altez- za sino a 6 m) che regala dei vistosi fiori por- pora a fine inverno poco prima dell’emissione delle foglie, mentre il Cercis siliquastrum o “albero di Giuda” fiorisce a marzo aprile e può raggiungere un’altezza di 10-12 m.

I meli da fiore sono un gruppo molto etero- geneo, formato da piante dotate di frutti che in natura raggiungono un diametro massimo di 5 cm (il genere Malus è caratterizzato dalla presenza di circa 25 specie a fiore con una larghezza di 4-15 m e un’altezza massima di 12 m), tutte originarie dell’emisfero setten- trionale della Terra, che si ibridano sponta- neamente con facilità se vengono accostate fra loro, mantenendo un elevato grado di va- riabilità genetica. Ciò spiega perché si siano potute ottenere centinaia di varietà, sempre più belle e soprattutto sempre più robuste. Il pero da fiore (gen. Pyrus) ha lo sviluppo di un albero di forma colonnare, si erge verso l’alto con uno scarso sviluppo laterale, non è sempreverde e in primavera assume una colorazione bianca; gli esemplari adulti sono di taglia media e raggiungono i 9 m di altez- za. Il Pyrus calleryana, alto dagli 8 ai 12 m, è stato negli ultimi anni ampiamente impiegato in ambito urbano come specie ornamentale. La particolarità di questa elegante varietà è la forma conica della chioma, che rimane stret- ta anche dopo anni di crescita. La sua bianca fioritura primaverile è molto abbondante e profumata e dura circa un mese, lasciando poi spazio al fogliame verde intenso e, in au- tunno, anche ai frutti di piccole dimensioni. Il genere Prunus, invece, conta decine di specie di alberi e arbusti, a foglia caduca o sempreverdi, diffusi in tutto il globo, appar- tenenti alla famiglia delle Rosaceae; la gran

Fioriture in giardino

Le piante da fiore per i giardini si possono suddividere, dal punto di vista pratico, nelle seguenti categorie:

– alberi a foglia caduca e persistente; – arbusti a foglia caduca e sempreverdi, com-

presi i rampicanti, a fioritura stagionale; – piante erbacee perenni;

– piante grasse e succulente;

– piante bulbose e rizomatose a fioritura stagionale;

– piante erbacee annuali o biennali o colti- vate come tali.

Gli alberi da fiore

Numerose le specie di alberi che, oltre a es- sere decorativi per il loro portamento, per la loro forma e per il loro fogliame, presentano anche delle splendide fioriture. Le magnolie spp. (altezza sino a 25 m per le specie arboree e sino a 3-4 m per quelle arbustive), per esem- pio, comprendono sia le specie sempreverdi come la M. grandiflora e M. gallisoniensis dai grandi fiori estivi bianchi molto profumati, sia le magnolie a foglia caduca che, di solito, fioriscono prima della emissione delle foglie in primavera, regalando alla vista una bellez-

107 FIORITURE IN GIARDINO parte dei Prunus sono originari dell’emisfero

settentrionale, soprattutto dell’Asia. Molte specie vengono coltivate per i frutti dolci e succosi, quali Ciliegie (P. avium), Pesche (P. persica), Albicocche (P. armeniaca), Prugne (P. domestica) e Mandorle (P. amygdalus); esistono però numerosi Prunus molto apprez- zati per la spettacolare fioritura, che li rico- pre completamente di piccoli fiori, di colore bianco o rosa. Esistono anche numerosissime cultivar, selezionate per il particolare colore dei fiori o per la fioritura prolungata o incre- dibilmente abbondante.

Altri alberi a foglia caduca presentano delle belle fioriture: la Catalpa (6-7 m per C. bungei e sino a 15 m per C. bignognoides), la Pawlo- nia (sino a 15 m), la Davidia involucrata (albe- ro dei fazzoletti, può raggiungere un’altezza di 20 m), la Lagerstroemia (altezza da 1 m, per le varietà nane, sino a 10 m), l’Aesculus (ovve- ro l’ippocastano che presenta alcune varietà con i fiori rosso carminio la cui altezza può variare dai 4 m per le specie e varietà com- patte fino ai 25 m per le specie più grandi o monumentali), il tiglio (Tilia) è un genere di piante della famiglia delle Tiliaceae (Malva- ceae), originario dell’emisfero boreale con un’altezza che raggiunge i 30 m. Una fioritura spettacolare è quella del Liriodendron tulipi- fera, il cui nome significa “albero dei gigli” che porta i “tulipani” e che, in maggio-giu- gno, si riempie di bei fiori terminali, solitari, con la caratteristica forma dei tulipani, larghi circa 5 cm, ma non sempre visibili dal basso perché coperti dalle foglie. Il Liriodendron può superare i 30 metri di altezza.

Per le zone dove non si verificano gelate, pos- siamo ricordare: le Acacie (altezza da 2 a 10 e più metri) tra cui l’Acacia dealbata; le Mimose, piante sempreverdi di taglia media che posso- no raggiungere i 10 m di altezza; la Jacaranda (dai fiori azzurri e un’altezza di 3 m).

Fra le specie con alberi medio piccoli e a volte arbustive ricordiamo gli agrumi, che caratte- rizzano i giardini storici e quelli moderni. Il ruolo degli agrumi è sempre stato, nel corso dei secoli fino ad oggi, di grande importanza: