tre a rappresentare il fondamento dell’attività dei movimenti verdi, è oramai diffuso nella demagogia programmatica della maggior parte dei partiti politici occidentali e delle bu- rocrazie amministrative che ne conseguono nei più diversi livelli di responsabilità terri- toriale.
I “costi dello sviluppo” sono presi in con- siderazione dall’organizzazione economica industriale e dai governi locali, nazionali e sovranazionali, che tentano di sfruttare il pianeta in forme compatibili al mercato e alle risorse presenti: un bel rompicapo, tanto più se allarghiamo l’ottuso sguardo d’Occidente ai restanti 3/4 dell’umanità. L’ecologia, cioè la scienza delle relazioni tra gli organismi vi- venti e il loro ambiente naturale, ha generato
molti figli e, soprattutto, un fraintendimen- to e una eterogenesi dei fini. Il suo utilizzo strumentale ne ha snaturato il significato di critica complessiva al modello di sviluppo industriale.
Pensiamo ad esempio all’ambientalismo, in- teso come tentativo di conciliare la produtti- vità industriale con la gestione dell’ambiente. Esso si colloca in una prospettiva antropo- centrica, grazie a una visione scientifico-ridu- zionista della natura, per cui il deterioramen- to dell’ambiente compromette gli interessi umani di sopravvivenza. L’atteggiamento cul- turale che ne consegue è largamente mag- gioritario, limitandosi a concepire la natura come un capitale da preservare da parte di un uomo “responsabile” e “preveggente”. Su questa base, le politiche liberiste tentano di inserire il principio chi inquina paga nelle giurisdizioni più avanzate, inconsapevoli di generare un ancor più perverso “mercato dell’inquinamento”, che mette d’accordo in- quinatori e inquinati fissando il prezzo per il danno causato. Le aziende vengono sem- plicemente indotte ad aggiungere il costo d’inquinamento tra i costi di produzione. Più articolata la proposta riformista per un “eco- sviluppo” o modello di sviluppo sostenibile. La filosofia che sorregge questa proposta si basa sulla presa di coscienza che i costi della protezione della natura sono sempre infe- riori ai danni che ne risulterebbero qualora non venissero sostenuti. In questo senso, si proietta lo sfruttamento dell’ambiente in una prospettiva temporale futura, per cui risulta necessario non compromettere la capacità delle prossime generazioni di far fronte alle proprie necessità.
In pratica si vuole semplicemente posticipare una scadenza ineluttabile. Nel frattempo, no- nostante conferenze internazionali e grandi petizioni di principio, si è ovviamente incapa-
89 ECOLOGIA DEL PROFONDO ci di modificare il compromissorio modello di
sviluppo dominante che, anzi, si arricchisce di un vero e proprio “mercato dell’ambiente” o eco-business, che mantiene l’ambientalismo all’interno di un sistema di produzione e con- sumo dissipatore, causa prima dei danni a cui tenta di porre rimedio.
Per contro, l’unica posizione ecologista mino- ritaria, che non accetta compromissioni con il modello di sviluppo dominante e la tecno- crazia che ne è severa esecutrice, è l’ecologia del profondo. Il termine “ecologia profonda” fu coniato da Arne Naess, nel tentativo di descrivere un approccio alla natura spiritua- le, esemplificato negli scritti dei precursori americani Aldo Leopold e Rachel Carson. Naess cercava un approccio sostanziale alla natura tramite un’apertura e una sensibilità fondante per noi stessi e la vita umana che ci circonda.
L’ecologia profonda oltrepassa l’approccio scientifico fattuale per raggiungere la consa- pevolezza del sé e della saggezza della terra. La critica all’antropocentrismo è fondamen- tale, l’uomo – olisticamente – viene inteso come parte di un tutto “cosmico”. L’implica- zione di questo principio è l’ecocentrismo, se- condo cui la natura va protetta di per sé, per un suo valore intrinseco, indipendentemente da qualsivoglia utilità umana. Se arrechiamo danni alla natura, danneggiamo noi stessi.
Il tipo di approccio ecologico alla realtà che se ne ricava è radicale: bisogna interamente ripensare l’attuale società, le forme culturali e il posto dell’uomo nella natura, uscire dall’in- dustrialismo, dall’utilitarismo individualista, dal paradigma tecno-scientifico dominante. In pratica occorre agire sulle cause invece che sugli effetti. Non c’è bisogno di nulla di nuovo, ma di riscoprire qualcosa di molto an- tico, arcaico: la comprensione della Saggezza della Terra, la consapevolezza del rapporto di simbiosi e armonia del vivente. Andare all’o- rigine delle cose significa, di conseguenza, decostruire la macchina tecnomorfa creata dalla scienza moderna, superando l’approc- cio parziale e riduzionista e immedesimando- si con il senso perduto dell’armonia tra uomo e natura, in sintonia con la visione della realtà divulgata nel contemporaneo dagli scienziati Fritjof Capra e Gregory Bateson.
Una cultura ecologista conseguente deve identificarsi con un’opposizione all’ideologia economica dominante e ai suoi presupposti tecnologici e scientifici, ovvero alla concezio- ne secondo cui la società degli individui – in- tesi come produttori e consumatori razionali – si fonda sul meccanismo autoregolativo del mercato.
In controtendenza, è possibile ritrovare un rapporto armonico tra cultura e natura in am- biti di reciprocità comunitaria che, in chiave Tabella comparativa “atteggiamenti”
Cultura dominante Ecologia profonda
Dominio sulla natura Natura come risorsa Paradigma riduzionistica Sviluppo economico Sfruttamento delle risorse Progresso tecno-scientifico Consumismo
Entropia
Società (stato/nazionale)
Armonia con la natura Natura come valore in sé Paradigma olistico
Autorealizzazione economica Limite naturale
Tecnologie appropriate Sobrietà/riciclaggio Ciclicità dei processi
90 ECONOMIA POPOLARE
E
locale, subentri al contrattualismo individua- listico e riduca la scala delle necessità fino a ricreare una situazione di interdipenden- ze tra regioni naturali. Vanno riconosciuti i “diritti universali” degli abitanti, radicati al proprio territorio da un legame culturale, empatico, che si avvalga di tecnologie ap- propriate e di un’economia che conviva con le risorse locali, completandosi nel limite fisiologico dell’interdipendenza, con beni di e produzioni esterne. Il senso del limite, la sobrietà, la cultura delle differenze quale lo- gica conseguenza della biodiversità, devono imperniare l’azione diretta ed esemplare di chiunque, gruppo o singolo, voglia sentirsi in connessione con la saggezza “omeostatica” della Terra.Il tipo di comunità maggiormente in grado di cominciare il “vero lavoro” di formare una consapevolezza ecologica allargata si trova nella tradizione minoritaria. La crisi dello Stato nazionale, il rifiuto delle strutture cen- tralizzate, ipertrofiche e della massificazione della società consumistica, va nel senso del ri- conoscimento e recupero delle lingue e delle culture regionali dei costumi e delle tradizio- ni locali come via d’uscita all’uniformazione e alla spersonalizzazione della monocultura industrialista. Non a caso, questo riconosci- mento si accompagna al ritorno alla “piccola scala” economica, all’artigianato, ai saperi intuitivi, ai comportamenti spontanei che so- stanziano la cultura vernacolare1.
L’essenza della tradizione minoritaria è una comunità capace di autoregolarsi. Le con- suetudini condivise prendono il posto delle leggi imposte, l’autorevolezza prende il po- sto dell’autorità, la democrazia partecipativa responsabilizza ogni libero “abitante” alla vita comunitaria nel rispettivo territorio. Le società originarie, tradizionali, antropologi- camente indigene – spesso residualmente
presenti in vari aspetti delle cultura popolare – forniscono numerosi esempi di ciò che si può intendere per tradizione minoritaria. Le comunità locali hanno provveduto all’esigen- za della vita associata autoregolamentandosi per millenni, in solidale rapporto con la na- tura, in un quadro assiologico finalizzato al “bene comune”.
Il bioregionalismo è vecchio almeno quanto la coscienza dell’uomo poiché investe il sistema naturale in cui si abita della responsabilità sia del nutrimento fisico sia dell’insieme di richia- mi simbolici dai quali trae sostanziale sostenta- mento il nostro animo. Comprendere la ciclicità della natura significa comprendere se stessi, il radicamento interiore che ci lega a quell’u- niverso di sensazioni e percezioni intime che elevano contemplativamente lo spirito umano alle armonie cosmiche. Eduardo Zarelli Note
1 È un termine che proviene dal diritto romano e indica l’opposto di una merce. Possiamo quindi intenderlo in una prospettiva qualitativa e di appropriatezza tecnica e artistica: artigianale. Lo stile vernacolare rimanda a una finitezza morfo- logica della vita comunitaria, basata sul presup- posto, implicito e sovente espresso attraverso il rituale e rappresentato in termini mitologici, che una comunità, come la vita di un singolo, non può svilupparsi oltre le proprie dimensioni.