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italiana del neologismo inglese, coniato negli anni Novanta, NeighbourWood: un gioco di parole fra neighbourhood, prossimità, vici- nato e wood, inteso come abbreviativo di woodland, bosco.

Il termine bosco di vicinato intende pertanto porre in evidenza il valore di un rapporto solidale e di stretta interdipendenza tra una comunità locale e il suo ambiente di vita: nel- la letteratura anglosassone sui boschi in città (Hofge, 1995) viene sottolineato con forza che il coinvolgimento attivo del pubblico è un momento fondamentale nella sequela proget- tazione, pianificazione e gestione.

Un primo importante impulso alla diffusione del concetto e del modello dei boschi di vi- cinato in Europa, avviene a metà degli anni Novanta, quando prende avvio il progetto di ricerca dell’Unione Europea “Neighbour- Woods-Boschi di vicinato: il miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente delle città europee attraverso il coinvolgimento sociale nella pianificazione, progettazione e gestione dei boschi urbani” (Konijnendijk et al., 2004). Nel corso di tale progetto, fondato sul partenariato di otto nazioni europee fra cui l’Italia, sono stati prodotti documenti e casi di studio che hanno messo in evidenza diversi metodi di ricerca e stili di azione per i boschi di vicinato.

Scomponendo il termine NeighbourWoods, possiamo delineare i tre temi sostanziali che caratterizzano le strategie a favore della diffu- sione dei boschi di vicinato:

s NEIGHBOURwoods: ossia i boschi di VI- CINATO, i boschi “alla porta di casa”, che costituiscono un contatto autentico con la natura anche nelle aree maggiormente urbanizzate;

s neighbOURwoods: ossia i NOSTRI boschi, pianificati, progettati e gestiti per e con gli attori locali. Gli spazi aperti pubblici diven- lico e divino è evidente anche in altre piante

legate alla tradizione sacra europea, come l’ulivo, il frassino o la betulla, alberi molto positivi per l’organismo, in grado di sostene- re il cuore e il sistema immunitario, e perciò preziosi per la nostra vitalità. Nel caso del frassino, ad esempio, sappiamo che nella mi- tologia greca era consacrato a Posidone, dio del mare, delle sorgenti e dei corsi d’acqua; l’analisi bioenergetica individua parallela- mente in questo albero una forte influenza terapeutica anche a livello di reni, vescica e sistema linfatico, organi che interessano pro- prio i flussi liquidi del corpo.

L’antico gesto di abbracciare un albero acquista allora maggior significato, ponen- doci in contatto con reali emissioni ener- getiche in grado di attivare meccanismi di benessere, così come passeggiare in un bosco ci permette di muoverci e riposarci all’interno di un ambiente fortemente in- fluenzato dalle proprietà bio-elettromagne- tiche degli alberi, tanto da rendere le nostre escursioni momenti di piacevole terapia

energetica. Marco Nieri

Bosco di vicinato

Il bosco di vicinato è una formazione forestale posta in prossimità, geografica e/o funziona- le, di un insediamento urbano. In prossimità geografica perché un bosco è classificabile come “bosco di vicinato” quando sia possibi- le un rapporto quotidiano, continuo e aperto fra le popolazioni urbane e il bosco stesso. In prossimità funzionale perché il ruolo che tali boschi rivestono ha forti risvolti sociali, pur non derogando le funzioni ecologiche, produttive e protettive che le società umane richiedono a qualsiasi tipo di bosco.

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Il concetto di bosco di vicinato si fonda sulle

definizioni proprie della selvicoltura urba- na, ossia della disciplina che si occupa della gestione, progettazione e pianificazione dei boschi urbani e periurbani e quindi della co- siddetta foresta urbana.

Possiamo definire la foresta urbana come il tessuto ecosistemico che permea il paesag- gio urbano e periurbano, dove la comunità vegetale è dominata dagli alberi che vege- tano all’interno o adiacenti ad aree urbane. Comprende quindi tutti i boschi esistenti, di neoformazione o emergenti, i gruppi d’albe- ri e gli individui arborei isolati sia in aree di proprietà pubblica che privata.

Tale tessuto è fortemente caratterizzato dall’e- rogazione, reale o potenziale, di servizi ecosi- stemici con funzioni multiple volte non solo a garantire il ruolo ecologico in senso proprio, ma anche la protezione dall’erosione e da fonti di inquinamento chimico, visivo e acu- stico, nonché le attività turistico-ricreative, la conservazione degli aspetti naturali e pae- saggistici, il valore estetico e il miglioramento generale e locale della qualità ambientale. Gli elementi arborei e boschivi della fore- sta urbana sono interconnessi a formare un mosaico di alberi e aree associate di spazi aperti: laddove si inneschi la partecipazione attiva di una comunità per ciò che concerne la loro gestione, progettazione, pianificazio- ne e fruizione possiamo parlare di boschi di vicinato.

I boschi di vicinato non sono quindi boschi o spazi qualsiasi: un bosco non può essere defi- nito di vicinato qualora non venga percepito come tale dalla comunità che risiede nei suoi dintorni e, parimenti, non possa essere visi- tato e fruito concretamente e frequentemente da chi abita nelle sue immediate vicinanze. Quando una comunità percepisce che “Loro – e non Noi –” stanno progettando e gestendo tano così parte integrante della comunità

locale e contribuiscono a conferire il senso di identità ai luoghi in cui si vive;

s neighbourWOODS: ossia BOSCHI e spazi naturali a tutti gli effetti, di differente di- mensione e carattere, posti in vicinanza degli ambiti di vita urbana che compren- dono e travalicano i concetti tradizionali di foresta.

Tra le varie azioni intraprese a livello inter- nazionale, si segnala il “NeighbourWoods Scheme” (Forest Service-Department of the Marine and Natural Resources) promosso nel 2001 dal Governo irlandese quale strumento strategico per la facilitazione e promozione del coinvolgimento sociale nella gestione dei boschi periurbani. Nel 2004 in Danimarca il concetto di NeighbourWoods viene adottato nelle linee guida per la progettazione e piani- ficazione urbana (Olsen & Wigersma, 2004). Nel 2009, il concetto di boschi di vicinato per- mea la strategia prodotta da Greenspaces- Scotland e denominata “Making the links”, volta a definire criteri e fornire esempi di buone pratiche per incentivare la progetta- zione, gestione e uso degli spazi verdi per una «Scozia di maggior successo e sostenibilità» (Henderson & Irving, 2009).

L’esigenza di formulare concetti e criteri spe- cifici per i boschi e gli spazi verdi urbani e periurbani nasce dalla constatazione che l’ur- banizzazione ha modificato profondamente stili e qualità della vita degli abitanti, allon- tanando una serie di benefici connessi alla possibilità di fruire di spazi aperti prossimi ai luoghi in cui gran parte della vita quotidiana si svolge. La discussione degli ultimi decenni sul concetto di “città sostenibile” ha portato all’affermazione di nuovi criteri di analisi e gestione sistemica degli spazi urbani e delle risorse naturali dislocate in prossimità della città stessa: i boschi di vicinato primi fra tutti.

57 BOSCO DI VICINATO volgimento attivo e reciproco del pubblico a cui il progetto è destinato: è necessario che la struttura del futuro bosco mantenga le caratteristiche di naturalità pur evolvendo in strutture accoglienti, che possano ospitare facilmente passeggiate e frammisto a spazi aperti più o meno attrezzati dove sedersi o riposare, chiacchierare, organizzare incontri formali e informali.

La preparazione di linee guida condivise per la progettazione dei boschi di vicinato, divul- gate anche in manuali di semplice lettura e applicazione, può costituire un valido aiuto non solo alla progettazione classica, ma an- che per aprire le porte alla partecipazione al progetto da parte di attori locali, dato che la progettazione partecipata e socialmente inclusiva è un fondamento della cultura e della prassi di progetto dei boschi di vicinato. La progettazione dei boschi di vicinato an- drebbe quindi sviluppata nell’ambito di piani condivisi di progetto locale in modo da far emergere il paradigma della progettazione permanente, intimamente collegato con la gestione continua e capillare del bosco e del paesaggio.

La gestione dei boschi di vicinato si rivolge sia ad aspetti propri della selvicoltura sia a criteri mediati dalla gestione prospettica del paesaggio. Gli stili di gestione devo- no necessariamente tener conto della forte componente sociale rivestita da tali boschi. Aspetti peculiari di gestione dei boschi di vicinato riguardano la valorizzazione dei caratteri percettivi e paesaggistici. Così gli interventi di diradamento possono essere orientati a enfatizzare gli aspetti di pregio cromatico e semantico attraverso la scelta degli alberi da favorire per il futuro. Dira- damenti condotti con maggiore intensità possono essere volti all’apertura di scene e visuali di particolare pregio in punti pano- il bosco, è veramente difficile che si sviluppi

un senso di appartenenza al bosco stesso. È possibile mettere in evidenza alcune pecu- liarità progettuali e gestionali dei boschi di vicinato.

Un primo aspetto da considerare nel processo di pianificazione e progettazione è la necessità di costruire una visione condivisa all’interno della quale il bosco possa dialogare con gli aspetti comportamentali, culturali e psico-so- ciali della comunità. I boschi di vicinato devono essere infatti considerati come componente logica e integrale delle politiche economiche, sociali e ambientali della città stessa.

Il processo progettuale inizia considerando le alternative per la corretta localizzazione nell’ambito del paesaggio di riferimento: rea- lizzare un nuovo bosco non significa sempre e comunque apportare un miglioramento. Qualora possibile, i nuovi boschi devono essere collocati laddove siano facilmente rag- giungibili e accessibili in modo da favorire la loro fruizione futura, nonché promuovere legami e attività potenziali per la comunità locale, aumentare il senso di appartenenza in una sorta di processo di adozione del nuovo bosco da parte della comunità.

Gli aspetti sociali rivestono quindi un ruolo primario: dovrà essere chiaro fin dall’inizio che tipo di attività sociali sono preferite o da favorire poiché in relazione a ciò saranno diversi i requisiti richiesti in termini di pro- gettazione del bosco, di attrezzature di sup- porto, di sicurezza. Così gli atti progettuali classici del bosco e degli spazi aperti ad esso connessi (la scelta delle specie da utilizzare e i sesti di impianto, il grado di mescolanza e armonizzazione fra diversi elementi del paesaggio, i confini e i margini del bosco, le infrastrutture, le attrezzature e la tipologia delle informazioni) dovranno essere orientati in modo da amplificare le possibilità di coin-

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formulazione di contratti e accordi specifici

che prevedano il conferimento di respon- sabilità operative a gruppi di interesse e associazioni. I circoli ricreativi, le organiz- zazioni non governative, le cooperative di inserimento di persone diversamente abili o di voci silenziose, le associazioni scoutistiche, i gruppi parrocchiali, i movimenti ambienta- listi, i gruppi di anziani nei circoli o nei bar, i gruppi informali di ragazzi, le scuole possono essere coinvolti con varie forme di accordo (sia su base volontaria che remunerata) per assumere la responsabilità diretta di alcuni aspetti della gestione dei boschi di vicinato in collaborazione con i responsabili tecnici e amministrativi. Fabio Salbitano Riferimenti bibliografici

Forest Service-Department of the Marine and Na- tural Resources, NeighbourhWoods Scheme, Fo- rest Service, European Union, Wexford 2001. James Henderson, Deryck Irving, Making the links.

Greenspace for a more successful and sustainable Scotland, Greenspace Scotland, Stirling 2009. Simon J. Hodge, Creating and Managing Woodlan-

ds around Towns, HMSO, London 1995 (Forestry Commission Handbook 11).

Cecil C. Konijnendijk, Jasper Schipperijn (editors) and Ulrika Åkerlund, Daniele Cuizzi, Rik De Vreese, Allan Gunnarsson, Roland Gustavsson, Diana Iskreva, Helena Mellqvist, Kirsi Mäkinen, Jens Balsby Nielsen, Ib Asger Olsen, Andreas Ottitisch, Lena Palenius, Karen Sejr, Jo Ryan, Dan Rydberg, Fabio Salbitano, Harri Silven- noinen, Alan Simson, Liisa Tyrväan, Ann Van Herzele, Lodewijk Wiegersma (contributors), NeighbourWoods for Better Cities – Tools for de- veloping multifunctional community woodlands in Europe, EC-KVL, Frederiksberg 2004. Asger Olsen, Lodewijk Wigersma, NeighbourWo-

ods. Comparative analysis of three urban wo- odlands in Denmark and the Netherlands. RVAU, Copenhagen 2004.

ramici. Tratti di bosco possono essere gestiti con maggiore frequenza e intensità in modo da realizzare i cosiddetti “Boschi Sempre Giovani”: boschi con strutture contenute che possano accogliere attività di gioco e di sperimentazione dei bambini. Un ultimo aspetto particolare nell’approccio gestionale ai boschi di vicinato riguarda il trattamento dei margini: le situazioni di margine, più o meno accoglienti, più o meno aderenti all’immaginario estetico e percettivo dei fru- itori, possono costituire di per sé elementi di attrazione o di allontanamento. Il fatto che i boschi di vicinato abbiano, quale aspetto caratterizzante, la presenza continua, reale o potenziale, di un pubblico più o meno vasto al loro interno impone una serie di scelte che migliorino la sicurezza dei fruitori e la stabi- lità del bosco secondo tre diverse prospet- tive, complementari e interagenti fra loro: stabilità paesaggistica, stabilità bio-ecologica, stabilità bio-meccanica. La gestione dovrà adottare, necessariamente, uno stile di inter- vento ampio e condiviso in modo da coniu- gare saperi locali, senso di appartenenza e valore acquisito per la comunità del bosco di vicinato. Le esperienze di gestione partecipa- ta si sono rivelate estremamente positive sia per la soluzione di problemi e conflitti, sia per ottimizzare e migliorare, in termini eco- nomici e operativi, le azioni di gestione del bosco. Modalità concrete di partecipazione delle comunità locali riguardano, ad esem- pio, il coinvolgimento attivo dei bambini e dei ragazzi nei processi gestionali attraverso l’avvio di programmi di educazione ambien- tale e gestione creativa di lungo termine con le scuole e le associazioni giovanili.

Un’ulteriore modalità concreta di coinvol- gimento sociale nella gestione riguarda la

59 CASA interno, era la casa da cui si proviene, lo spazio interno in contrapposizione a quello esterno di Hermes, protettore dei viandanti e delle stra- de. Durante questo periodo, la forma di abita- zione più diffusa nelle campagne è composta da un grande locale che si affaccia su di una corte delimitata da mura e da un portale. Al centro dello spazio aperto c’è solitamente uno stagno, all’interno il focolare e i protettori sa- cri della casa. Questa la cellula base alla quale possono aggiungersi altre costruzioni. Nelle città, a Roma in particolare, la maggior parte della gente abitava in grandi costruzioni a più piani chiamate insule, dove il pianoterra era riservato alle botteghe.

Nel Medioevo vediamo case di legno e di paglia o di terra impastata con sassi e paglia. Case che si costruivano rapidamente con l’aiuto della co- munità. Un tipo di casa in legno molto diffuso è formato da un ambiente di circa dieci metri per sei con un focolare e dei pali centrali a soste- nere il tetto. Nell’Europa del nord e dell’ovest fin dalla preistoria è diffuso un tipo di casa al- lungata, larga dai quattro ai sette metri per una lunghezza variabile dai 10 ai 23 metri, sotto un unico tetto. A una estremità c’era una sala con focolare, e a volte una stanza separata da un tramezzo, l’altra era occupata dalla stalla. La casa è sempre servita anche come stru- mento di lavoro. Prima dell’industrializzazio- ne attività artigianali, commerci, scambi sono esercitati per la maggior parte in una zona della casa. Questa viene descritta come una “sala”, che di giorno è bottega o laboratorio e la notte può diventare una camera comune dove dormire. Maniscalchi, fabbri, panettieri, vasai, macellai e altri hanno di solito bisogno di locali differenti destinati esclusivamente all’attività, ma il grande locale a livello della strada con funzioni diverse nel tempo è con- siderato un classico dell’abitare quotidiano. Nel 743 il Concilio di Leptines proibisce l’uso

Casa

Uno dei più importanti storici dell’architettu- ra, Bruno Zevi, definisce il tema della storia della casa come «pressoché ignorato» dalla storia dell’architettura, ribadendo la necessi- tà di rivolgersi ad altre discipline, l’antropo- logia, l’etnologia, gli studi sulla storia della famiglia, per trovare cenni su come l’uomo abbia quotidianamente vissuto e usato lo spa- zio, la propria abitazione.

Da quando nasce, la forma della casa non si modifica sostanzialmente per millenni. Voglia- mo cominciare il nostro breve excursus sulla forma e l’uso della casa dai Romani. Tra loro, Vesta era la dea del focolare, quello della città e quello domestico, di ogni singola casa. Il suo fuoco è quello che nutre, una potenza benefica e fecondante. Vesta era connessa alla Terra e il suo culto fissava la famiglia alla casa e il po- polo alla città. Secondo alcuni autori era stato lo stesso Romolo a istituirne il culto a Roma, accendendo il primo altare durante la fonda- zione. Il focolare di una città rappresentava l’origine della propria identità, la fonte stessa della vita. La corrispondente greca di Vesta, Hestia, era il centro focale dello spazio urbano

60 CASA

C

I gesti quotidiani, passati attraverso il filtro

dell’architettura razionalista, si riducono a mo- vimenti fisici. Lo spazio che “serve” sarà quello calcolato su movimenti e corpi standardizzati. Separate le funzioni, il grande spazio comu- ne che conteneva il fuoco e il tavolo, rimasto cocciutamente al centro di ogni casa fin dalle sue prime apparizioni, scompare di colpo, frantumato, suddiviso in cellule più piccole e collegate da corridoi. Individuate le funzioni “preparare il cibo” e “mangiare” come sepa- rate, si affida a ognuna il proprio spazio. La cucina moderna nasce dalla funzione “prepa- rare”, imperniata sul postulato che chi prepara il cibo debba stare fermo e avere la possibilità di usare tutti gli attrezzi necessari. In questa fase la maggioranza delle cucine occidentali diventano dei budelli, luoghi angusti e stretti, stipati di mobili, che presuppongono la sala da pranzo, lo spazio destinato alla funzione “mangiare”. Cucina, sala da pranzo e salotto sono ciò che resta del grande spazio comune che dava forma alla ragione stessa della casa, luogo d’incontro e rinascita.

La centralità del fuoco riappare nel compor- tamento quotidiano, che consacra la sala da pranzo alle domeniche e ai giorni di festa e fa della cucina il luogo in cui si passa la maggior parte del tempo, dove si mangia tutti i giorni, dove si parla, si guarda la televisione, si vive. È come se nella frantumazione dello spazio interno della casa tutti gli abitanti fossero ri- masti accanto al fuoco, mentre tecnici specia- lizzati costruivano intorno dei muri.

L’idea di casa oggi si sta riprendendo le ca- ratteristiche di “centro del mondo” che le competono. Casa come centro del mondo, punto di partenza, di irradiazione del pro- prio essere, centro visto come via fra i livelli, punto di contatto col resto dell’universo. Il centro non è una posizione statica, ma il focolaio da cui partono i movimenti dell’in- pagano dei “solchi tracciati intorno alle case”:

si prepara la nuova visione dello spazio che sa- rà assunta e promossa dalla Rivoluzione indu- striale, dove la casa e l’abitare si trasformano radicalmente.

La disposizione delle nostre case, che siamo abituati a considerare ovvia e naturale, è un fatto relativamente recente. Fino al XVII se- colo, le stanze delle abitazioni europee non avevano funzioni fisse, i membri della fami- glia non godevano di una privacy come la co- nosciamo oggi, non c’erano spazi dedicati o consacrati a una speciale attività, tavoli e letti venivano presi e spostati secondo il bisogno e l’umore degli occupanti. È nel Seicento che l’abitazione si trasforma, le stanze si sistema- no intorno al corridoio o all’atrio, come case ai lati di una strada o di una piazza, in modo che non si possa più passare direttamente da una camera all’altra; il nucleo familiare, più protetto, comincia a stabilizzarsi ed esprimer- si maggiormente in forma domestica. La fase industriale fin dall’inizio ha la neces- sità di separare chiaramente il lavoro, la cui idea tende a identificarsi con il lavoro dipen- dente, da quelle che chiama “le funzioni abi- tative”. Il lavoro, con i suoi spazi, esce dalla casa, che può finalmente coincidere esclusi- vamente con i bisogni “riposare e dormire”. Tra gli effetti immediati vediamo la nascita, a metà Ottocento, anche del “problema dei trasporti”, oltre a quello degli alloggi. Se casa e lavoro sono separati bisogna colle- garli, diventa necessario ampliare le strade, potenziare i mezzi di trasporto. Lo spazio vie- ne suddiviso meticolosamente in pubblico e privato. La casa, fino a quel momento centro di socialità e strumento di produzione e so-