IL GOVERNO LOCALE
6.9. Assistenzialismo comunale
Il consiglio comunale accanto alle cariche maggiori692 distribuiva anche quelle minori
provvedendo ad eleggere gli amministratori degli ospedali, di vari enti assistenziali, del monte di pietà, e delle istituzioni annonarie. Non è impresa facile seguire l'attività assistenziale svolta a Verona in età veneta in favore di malati e indigenti. Essa si rinnovava con gli stessi princìpi e metodi in ciascuna delle numerose iniziative, segnate da provvisorietà, dal prevalere dell'iniziativa privata, dall'intervento disciplinatore e di controllo del Dominio veneziano attraverso il consiglio cittadino, dalla tutela morale dell'autorità ecclesiastica. Il finanziamento rimaneva sempre condizionato dalla generosità della comunità, a meno che non si decretasse un'imposizione in ragione d'estimo per raccogliere denari “pro pauperibus”. È difficile cogliere nelle varie delibere consiliari un sistematico impegno volto al miglioramento organizzativo dell'attività assistenziale, la quale rimaneva legata alla mentalità e al costume dell'epoca, secondo una prassi fatta di opportunità e convenienze, nelle quali aveva un peso particolare l'esigenza di garantire l'ordine pubblico insieme con gli interessi della Serenissima.
Tra gli studiosi che in questi ultimi anni sono venuti emergendo per il loro spiccato interesse e sensibilità verso i temi della storia sociale si segnala Giuseppina De Sandre che ha dedicato
approfonditi studi alle istituzioni assistenziali nel basso medioevo693. Sugli ospedali di Verona lo
studio classico rimane, tuttavia, quello di Vittorio Fainelli, che ha sviluppato la sua indagine
muovendo dagli “xenodochi” veronesi da S. Zeno all'alto Medioevo694, e seguendo l'evoluzione in
690
Si veda l'atto notarile del 22 febbraio 1580, in A.S.VR., Archivio Comune, reg. 302, c. 159 ss.
691
A.S.VR., Archivio Comune, reg. 302, c. 172 ss.
692
Lunga la lista delle cariche di nomina consiliare. Ne ribadisco alcune: i due provveditori di comune, il vicario della casa dei mercanti, il capitano del lago, il provveditore di Peschiera, i tre conservatori delle leggi, i vicari dei vicariati della provincia, ecc.
693
Per l'età scaligera la De Sandre ci ricorda le iniziative non solo dei nobili ma anche di appartenenti al ceto mercantile. DE SANDRE GASPARINI GIUSEPPINA, Istituzioni ecclesiastiche, religiose e assistenziali
nella Verona scaligera tra potere signorile e società, in "Gli scaligeri. 1277-1387", a cura di Gian Maria
Varanini, Verona, Arnaldo Mondadori Editore, 1988, p. 393 ss.
694
Con lo studio occasionato dall'ottavo centenario della consacrazione della cattedrale romanica veronese si è tornati a parlare di attività assistenziali nell'alto medioevo,. In particolare si è ribadita "l'esistenza di uno
xenodochio (=ospizio nel quale si ospitavano gratuitamente forestieri e pellegrini) facente parte in epoca
carolingia degli edifici dipendenti dalla canonica e posti al servizio della comunità e dei pellegrini". Lo
xenodochio, "del quale di recente è stata proposta una non improbabile continuità di vita nell'ospedale medievale di S. Maria del Duomo", sembra avere tra i suoi fondatori l'arcidiacono Pacifico. FIORIO
TEDONE CINZIA-LUSUARDI SIENA SILVIA, Il complesso paleocristiano e altomedievale, in "La Cattedrale di Verona nelle sue vicende edilizie dal secolo IV al secolo XVI", a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, 1987, p. 81.
età comunale e signorile di lebbrosari e ospedali tra cui quello di S. Giacomo alla Tomba, che si evolve in età veneta, napoleonica ed austriaca, dando vita all'Istituto di S. Giacomo e all'Ospedale civile, fino agli Istituti Ospitalieri della Repubblica italiana Il Fainelli non dimentica gli innumerevoli «luoghi pii et hospitali minori», tra i quali desta interesse la “Domus Pietatis”. Prima della “Domus Pietatis”, nessun istituto era sorto a Verona, almeno per quanto si sappia, il quale avesse come scopo principale di raccogliere, curare e nutrire bambini. La Santa Casa di Pietà o “Domus Pietatis” avrebbe avuto la sua storica fondazione nel 1435, quando il «collegio dei Notari» insieme con alcuni cittadini decise di istituire una casa per «ricettacolo, ospizio e nutrimento dei
poveri deboli e infermi, dei bambini da baliare e delle persone miserabili e bisognose d'aiuto»695. Il
Fainelli chiama ‘leggendarie’ le origini della ‘domus’ attribuite alla pietà di Taddea da Carrara, la vedova di Mastino II, che gli avrebbe assegnato il palazzo scaligero della «Pietà Vecchia» al Duomo, dove l'istituto sarebbe tornato nel 1426, dopo una residenza provvisoria di circa mezzo
secolo al palazzo dell'Aquila, poi albergo delle Due Torri, in piazza S. Anastasia696. L'Informazione
pubblicata dal Cavattoni, che fotografa la situazione veronese al 1 marzo 1600, parla della «Domus
Pietatis» collocandola vicina al Duomo in un palazzo che era stato dato in dono da Venezia697. Vi si raccoglievano ed assistevano i bambini esposti in una culla, appositamente messa davanti alla casa. I piccoli venivano mostrati al pubblico in Duomo e fuori, sopra una “banchetta” perchè persone devote volessero prenderne qualcuno ed allevarlo «secondo il loro beneplacito». «Per ordinario si ritrovano in detta Casa (“Domus Pietatis”) - dice l'Informazione - pupilli cento, baile otto con figliuoli espositi, feriti et amalati di febre al n. XX. E fuori 400 altri figliuoli espositi dati a baile a lire cinque per una al mese et ha Ministri vinti in circa. Ha di entrata all'anno scudi dodeci mille e più, et è ottimamente governato da sette gentilhuomini e cittadini; cinque... del Consiglio della città,
e due capi del Collegio de' Nodari, cioè il Prior e il Sacrista»698.
Per gli infermi e per i bambini abbandonati, nella pluralità delle iniziative di assistenza, non tutte le opere caritative resistono nel tempo, pur sorgendone di nuove nei momenti in cui le pestilenze o le calamità rincrudeliscono. Tuttavia due istituzioni, l'ospedale di S. Giacomo alla
Tomba e la Domus Pietatis, avrebbero superato le difficoltà che lungo i secoli si presentano,
sfociando la prima nell'istituto ospitaliero di Borgo Trento, dopo concetrazioni, ripristini e riordinamenti; mentre la seconda avrebbe rafforzato i suoi scopi di protezione e di assistenza della maternità e dell'infanzia nell'ambito delle attività proprie degli enti locali, comune e provincia.
Tanto il Fainelli, quanto l'Informazione del 1 marzo 1600 nominano molti «luoghi pii et hospitali». In entrambe le opere ci si limita però ad un semplice elenco nel quale gli assistiti sono ora «povere cittelle, chiamate le novizie», «gentildonne... da marito: et in particolar quelle, che mancano di governo», «donzelle da maritare», «pupille», «derelitti e derelitte»; ora «poveri vergognosi», «miserabili ed infermi» oppure «nobili caduti in necessità». Per l'anno 1469, affidandosi alla inoppugnabile testimonianza di una ducale del doge Cristoforo Moro che ordinava ai rettori di Verona di sollevarli dalle decime, il Fainelli ricorda ben 13 ospedali, ognuno dedicato
695
Sulla casa di pietà "fondata nel febbraio del 1426 per iniziativa di alcuni cittadini ed ufficiali del Ven. Collegio dei Notaj", si veda MAESTRELLO LUCIA, L'assistenza all'infanzia abbandonata a Verona: la
santa casa di pietà nel '600, in "Studi Storici Luigi Simeoni", vol. XL (1990), pp. 103-115. Un panorama
più ampio ci viene da VIVIANI GIUSEPPE FRANCO, L'assistenza agli esposti nella provincia di Verona
(1426-1969), Verona, Amministrazione Provinciale, 1969.
696
Sull'apporto delle casse della Santa Casa di Pietà al finanziamento della "rifabbrica quattrocentesca" della cattedrale di Verona, si veda BRUGNOLI PIERPAOLO, La rifabbrica quattrocentesca, in "La Cattedrale di Verona nelle sue vicende edilizie dal secolo IV al secolo XVI", a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, 1987, p. 194.
697
E collegandola al libro I degli Statuti al cap. 34. CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di
Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., p. 20.
698
CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo
ad un santo. A questi, appena ricordati con l'intitolazione, ne fa seguire un'altra decina, convenendo
tuttavia che il titolo non si accompagna con sufficienti notizie699. Le stesse considerazioni valgono
per l'Informazione. Essa ci parla dapprima della “Domus Pietatis” (“casa di pietà”) e dell'ospedale dei santi Giacomo e Lazzaro, ubicato un miglio fuori della città in località “La Tomba”, con le cui
entrate si costruì il lazzaretto lungo l'Adige700. Si passa poi ad illustrare la struttura amministrativa
di tali enti, dipendente dal consiglio comunale, soffermandosi sulla loro situazione finanziaria. L'Informazione elenca quindi 23 «luoghi pii et hospitali», quasi tutti soltanto con il nome del santo,
cui erano stati dedicati701.
Alla ‘casa di pietà’ ha rivolto la sua sensibilità poetica Francesco Corna da Soncino nel «Fioretto delle antiche cronache di Verona», composto nel 1477, interprete - anche nell'uso del dialetto - della coscienza collettiva popolare, pronta a sentire e a condividere, in generosa
disposizione di carità, i bisogni dei sofferenti e dei poveri702. Alla ‘casa’ ospitata nel palazzo
«vicino al Duomo» il Corna dedica questa ottava: Da destra mano del gran cimitero
el g'è de' poveri la Pietade,
ne lo degno palazo magno e altero,
dove è notrito per la Dio bontade
molti fanciulli, quasi in vitupero
d'i scelerati de questa citade;
e molti poveri ge son albergadi
de varie infirmitade e medegadi703.
L'ospedale dei santi Giacomo e Lazzaro alla Tomba, che nel 1518 a causa della “spianata” fu demolito e rifabbricato a circa tre chilometri dalla città, nel luogo dove poi sarebbe sorto l'ospedale psichiatrico e dove oggi c'è il policlinico universitario, restò sempre il maggiore ospedale di Verona, laico e civico, che il doge Andrea Gritti nel 1533 esonerò dalle decime, dadie e gravezze
statali e che i delegati pontifici nel 1537 esentarono dalle decime ecclesiastiche704.
Una delle vie per conoscere la ramificazione capillare della rete assistenziale cui provvedevano autorità comunali ed ecclesiastiche ci viene dalle visite pastorali. Presentando quelle
del vescovo Gian Matteo Giberti705, Gabriele De Rosa ci rammenta che «la cura degli ospedali e
699
FAINELLI V., Storia degli ospedali di Verona dai tempi di San Zeno ai giorni nostri, o.c., parte III e IV.
700
Sul lazzaretto di Verona di cui si decretò l'erezione nel 1547 nella località di San Pancrazio, si veda MARCHI G.P., Introduzione in PONA FRANCESCO, Il gran contagio di Verona, Verona, 1972, p. IX. Marchi ci ricorda anche l'etimologia: "Per quanto riguarda il termine 'lazzaretto' è noto che deriva da una sorta di incrocio tra (S. Maria di) Nazareth, luogo in cui la Repubblica di Venezia istituì nel 1423 il primo luogo di quarantena, e 'lazzaro', lebbroso (da Lazzaro, il mendico infermo e piagato della parabola evangelica del ricco epulone)".
701
CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo
1600, o.c., p. 21.
702
CORNA DA SONCINO FRANCESCO, Fioretto de le antiche croniche de Verona, o.c.
703
CORNA DA SONCINO FRANCESCO, Fioretto de le antiche croniche de Verona, o.c., p. 63.
704
"Le Case della Pietà e della Misericordia e l'Ospitale della Tomba...rimasero, dal secolo decimosesto, i tre grandi centri civici di attrazione dei miserabili, a scopo non soltanto di beneficenza ma anche di assistenza... E il Luogo della Tomba di ospitale diventò propriamente dispensario di medicinali per gli scabbiosi, istituto di prevenzione contro i morbi contagiosi e di difesa della popolazione". FAINELLI V.,
Storia degli ospedali di Verona dai tempi di San Zeno ai giorni nostri, o.c., p. 236.
705
Dal 1527 al 1536, Gian Pietro Carafa, fondatore con S. Gaetano da Thiene dei Teatini, poi papa col nome di Paolo IV, fu "più volte e per lunghi periodi...a Verona per sostituire il Giberti", ed ebbe quindi occasione di dimorare nella villa di Nazaret sulla collina sovrastante la città, che era residenza estiva dei vescovi di Verona. Proprio nella villa di Nazaret "chiudeva la sua vita terrena il Giberti il 30 dicembre 1543. Fu sede
degli xenodochia era fra le raccomandazioni più insistenti del vescovo, anche a causa del mondo equivoco che si aggirava attorno ad essi: bisognava evitare che questi luoghi divenissero rifugio di furfanti e di giocatori d'azzardo, ma soprattutto che vi dormissero insieme uomini e donne, anche se si fossero presentati come marito e moglie». Tra gli ospedali oggetto di visite pastorali, il De Rosa
menziona quelli di Vigasio, Nogara, e Legnago, ispezionati nel 1541706. Le preoccupazioni del
vescovo erano accentuate dal vento protestante che squassava l'Europa e che più facilmente deponeva i suoi germi in luoghi dove si incontravano estranei, ma anche stranieri, e, in quanto tali, potenziali veicoli dell'infezione ereticale. Puntualizza in proposito il De Rosa: «L'attenzione allo stato degli ‘ospedali’ si andò accentuando con la diffusione delle correnti del protestantesimo, dei suoi libri e dei suoi avvisi. Tutto ciò sapevano i vescovi, di qui la vigilanza aguzza dei visitatori e le
loro indagini sui frequentatori di quei luoghi»707.
Ma la pietà dei veronesi non si esprimeva solo nell'assistenza degli ammalati, dei “malsani” (lebbrosi) o dei derelitti (vecchi e bambini). Essa si rivolgeva in varie forme anche ai poveri. Fra le tante iniziative discusse ed approvate dal consiglio, segnalo il fontico dei poveri, deliberato nel
1549708. Esso doveva costituire una risorsa aggiuntiva alla quale fare ricorso nei momenti di più
urgente bisogno. Ispiratore ne fu il vescovo di Verona Pietro Lippomano709, che già con sue lettere
dei Teatini chiamati a Verona dal Giberti stesso e vi soggiornò S. Gaetano da Thiene in visita ai confratelli, del quale il vescovo di Verona si valse per la predicazione...in cattedrale al principio del 1541". TACCHELLA LORENZO, Il processo agli eretici veronesi nel 1550. S. Ignazio di Loyola e Luigi
Lippomano, Brescia, Morcelliana, 1979, p. 25.
706
Scrive Gabriele De Rosa nella sua presentazione: "Nella visita del vescovo a Vigasio (12 maggio 1541) si legge: 'Visitavit hospitale illorum de Pindemontibus et mandatum fuit hospitalario quod non admittat furfantos, zaratanos (ciarlatani)... Lo stesso avvertimento qualche giorno prima a Nogara, dove l'ospedale era retto per conto del signore Alessandro Bertazolo, che però non permise ai visitatori, in quanto tali, di entrare in esso. Anche qui la spia di quel mondo di vagabondi, furfanti e burloni che si facevano beffe del prete e che si industriavano a studiare ogni mezzo per assicurarsi una vita, senza vincoli, ai margini della società ordinata secondo i principi della Chiesa. Si potrebbero ricavare anche i nomi di questi ribelli, per lo più anime non da comunione". DE ROSA GABRIELE, Presentazione, in FASANI ANTONIO (a cura di),
Riforma pretridentina della diocesi di Verona. Visite pastorali del vescovo Gian Matteo Giberti, 1525-1542,
Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, 1989, pp. XXII-XXIII.
707
DE ROSA GABRIELE, Presentazione, in FASANI ANTONIO (a cura di), Riforma pretridentina della
diocesi di Verona. Visite pastorali del vescovo Gian Matteo Giberti, 1525-1542, o.c., p. XXIII.
708
VECCHIATO LANFRANCO, Il fontico dei poveri e le delibere 'pro pauperibus' negli atti del consiglio
di Verona (sec. XV-XVII), in "Economia e Storia", 1973, pp. 201-231.
709
Queste alcune notizie biografiche su Pietro Lippomano raccolte da Lorenzo Tacchella: "Il 30 dicembre 1543 chiude la sua vita terrena il vescovo di Verona Gian Matteo Giberti. Dovendo provvedere alla successione, Paolo III nel concistoro del 18 febbraio 1544 trasferisce dalla sede di Bergamo a quella scaligera Pietro Lippomano. Segue a questo provvedimento anche la traslazione a Verona del coadiutore e cugino Luigi". Sia Pietro che Luigi saranno assenti da Verona per lunghissimi periodi su incarico del papa che li invia come suoi nunzi all'estero. Prosegue Lorenzo Tacchella: "Nel luglio 1548 nel castello di
Edimburgo in Scozia, ove era stato inviato quale nunzio della sede apostolica, muore il vescovo di Verona Pietro Lippomano. Con la scomparsa del cugino, Luigi diviene vescovo di Verona 'pleno jure'. Il decreto del
doge Francesco Donato per la sua investitura 'nella possessione reale et tenuta dell'episcopato' reca la data del 29 gennaio 1549. La cerimonia dell'immissione nel possesso giuridico-canonico ha luogo nella cattedrale di Verona il 7 marzo 1549, assente il vescovo, rappresentato dal suo vicario". Sui tempi della missione in
Scozia Tacchella puntualizza in questi termini: "Paolo III aveva nominato Pietro Lippomano nunzio
pontificio in Scozia in data 8 gennaio 1548... La fonte ufficiale della Chiesa...fissa il decesso di Pietro Lippomano al 9 agosto 1548. L'evidenza di alcuni documenti...ci induce ad anticipare la data...alla prima decade di luglio 1548". TACCHELLA LORENZO, Il processo agli eretici veronesi nel 1550. S. Ignazio di
del 1544, indirizzate anche al fratello Giovanni Lippomano710, annunciava l'intenzione di depositare sul Monte di Pietà 1.000 ducati delle rendite del vescovado da destinare ad un erigendo «Mons
Pauperum». Le lettere del vescovo furono riprese e lette in consiglio comunale il 17 agosto 1549,
quando, ormai decisa la fondazione del “fontico” o “mons pauperum”, si trattava di prelevare dal
Monte di Pietà 450 ducati da utilizzare per le finalità del neoistituito monte dei poveri711. A
muovere il consiglio - al di là del sostegno finanziario vescovile - fu una supplica dei poveri della città. L'indicazione non deve farci certo pensare che gli indigenti scaligeri fossero organizzati e quindi in grado di sollecitare provvedimenti da parte del consiglio comunale a loro beneficio. Le sollecitazioni a loro nome saranno certamente state portate avanti da patroni e patronesse che
esercitavano attività caritativa ispirandosi ai consigli evangelici712.
La struttura del fontico dei poveri viene fissata in una serie di ‘capitoli’ che prevedono la nomina da parte del consiglio comunale di otto cittadini destinati a governare l'istituzione sotto la guida di un priore. La contabilità è affidata ad un cassiere. Gli acquisti saranno invece effettuati da due cittadini designati a tale scopo tra chi avesse dimestichezza con i mercati granari. Dovevano infatti «comprar fuori di Verona et suo distretto tutta la quantità et qualità de grani che li serà ordinata... et quella riponer in quelli luoghi o ver fonteghi... destinati e poi habbino a convertir in farine» da elargire ai poveri. Non si sarebbe trattato però di distribuzioni gratuite, ma di vendite ad un prezzo che tenesse conto delle spese e dell'interesse per il capitale impiegato. La distribuzione delle farine sarebbe materialmente avvenuta attraverso l'azione di un ulteriore addetto, il «dispensator... delli grani et farine, buono e fedele et di buona conscientia con quel salario che li parerà esser conveniente non potendone che voglia servir gratis». Era previsto che l'istituzione si autofinanziasse raccogliendo denaro nel corso di un'apposita processione da effettuarsi nel giorno di Pentecoste, ma anche chiedendo l'elemosina lungo le vie della città, nonchè questuando nei paesi
della provincia di Verona713. Si volle anche che dal papa fosse concessa “l'indulgenza plenaria” per
interessamento del nunzio veneto a Roma a beneficio di quei fedeli che nel giorno di Pentecoste, durante la processione organizzata dal ‘fontico’ avessero offerto denaro a favore dei poveri. Questi dovevano essere legittimati, e quindi riconosciuti ‘poveri’ da una commissione contradale, formata da tre cittadini. La ‘legitimatio’ serviva talora anche per esonerare i poveri dalle contribuzioni per
gli ‘alloggiamenti militari’714.
Accanto all'aspetto istituzionale (e un'istituzione è appunto il “fontico dei poveri”) vanno tenute presenti le contribuzioni che si imponevano alla città per aiutare i poveri con dirette distribuzioni di denaro o di grani. Non infrequenti sono dunque le dadie “pro pauperibus”, come è facile riscontrare sfogliando gli atti del consiglio comunale. Ne troviamo - tra le altre - nel 1575, quando scoppiò la peste che per certa virulenza è paragonabile a quella del 1630, e poi ancora nel
710
"Commisit et imposuit Cl.mo D.no Joanni Lippomano eius fratri". Giovanni Lippomano lo troveremo podestà di Verona nel 1549. La sua relazione di fine mandato non compare tra quelle edite da Amelio Tagliaferri. Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, IX, Podestaria e Capitanato di Verona, o.c. - Afferma il Tacchella: "Giovanni Lippomano podestà di Verona era figlio di Gerolamo e quindi fratello di Pietro Lippomano vescovo di Verona e cugino del vescovo Luigi Lippomano. Aveva suo palazzo in Venezia nella contrada di S. Gervaso". TACCHELLA LORENZO, Il processo agli eretici veronesi nel 1550. S.
Ignazio di Loyola e Luigi Lippomano, o.c., p. 98.
711
Prelevano dunque dal "mons pauperum" "omnis illa quantitas pecuniae quae de praesenti super eo reperitur de pecuniis praefati reverendissimi Episcopi et dicitur esse ducati quattuorcentum quinquaginta qui consignari et exiberi debeant magnificis ...dominis gubernatoribus dicti Montis pauperum et in illius utilitatem convertentur".
712
VECCHIATO LANFRANCO, Il fontico dei poveri e le delibere 'pro pauperibus' negli atti del consiglio
di Verona (sec. XV-XVII), o.c.
713
VECCHIATO LANFRANCO, Il fontico dei poveri e le delibere 'pro pauperibus' negli atti del consiglio
di Verona (sec. XV-XVII), o.c.
714
VECCHIATO LANFRANCO, Il fontico dei poveri e le delibere 'pro pauperibus' negli atti del consiglio
1586, nel 1587, nel 1591, nel 1594, nel 1597, e nel 1601. Certamente i motivi umani e religiosi di queste iniziative devono essere stati prevalenti. Non erano tuttavia estranee nemmeno considerazioni di ordine politico e sociale, perchè i poveri facilmente diventavano furfantes, come