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Una “gelosissima giurisdizione”: la consolaria

RUOLO E POTERI DEI RETTORI VENEZIAN

5.1 Una “gelosissima giurisdizione”: la consolaria

Nei giorni precedenti l'entrata in Verona (23 giugno 1405) delle milizie veneziane, Pietro Da Sacco, eletto capitano del popolo, patteggiò con Gabriele Emo accordi di dedizione che sarebbero stati poi recepiti nella “bolla d'oro” promulgata dal doge Michele Steno il 16 luglio 1405. Vi si stabiliva che tutti gli «officia civitatis Veronae» fossero riservati a veronesi, tranne quelli riguardanti

la podestaria e il capitanato550. Venezia nei quattro secoli di dominazione in Verona avrebbe

regolarmente mandato nella città scaligera, come in tutte le città della Terraferma, un podestà con funzioni politico-amministrative e giudiziarie, ed un capitano con competenze fiscali, militari e di

controllo del Territorio551. Con queste nomine la Serenissima continuava - specialmente per quanto

riguarda gli attributi, onori e funzioni del Podestà - una tradizione secolare, per la quale il supremo responsabile della città non era veronese, come non lo erano quasi tutti i suoi collaboratori,

impegnati nel mantenimento dell'ordine pubblico e nell'amministrazione della giustizia552. Su

pegni nelle città venete del Quattrocento, in VARANINI G. M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, o.c., pp. 125-161.

550

"Exceptis Potestaria civitatis et officiis merum et mixtum imperium habentibus, nec non officiis requirentibus guardiam seu custodiam". Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 393 "Privilegia" ("Privilegium a Bulla aurea", 16 luglio 1405). - Quanto invece al possibile contenimento e ridimensionamento della feudalità presente sul mondo delle campagne Gino Benzoni ci rammenta: "Nessuna legge abbatte d'un colpo la feudalità. E non solo perchè Venezia non dispone strutturalmente dell'apparato burocratico e militare per renderla realmente esecutiva, ma anche perchè soggettivamente la classe dirigente veneziana non lo desidera; in fin dei conti anche i patrizi veneziani sono proprietari terrieri, in fin dei conti anch'essi beneficiano delle persistenze feudali nelle campagne, anch'essi si compiacciono d'assumere atteggiamenti signorili in loco... Impossibile, per Venezia, procedere risolutamente nella via della liquidazione dei particolarismi. Ma non solo. Si tratta di una via che essa non vuole imboccare, paga di controllare la periferia tramite i rettori. Si tratta di una scelta di governo, d'un criterio, d'una direttiva di fondo. Venezia non ignora che altrove si procede altrimenti; ma non per questo intende imitare comportamenti che le sono estranei, che non sono compatibili con l'idea che ha di sè. Questa la colloca su di un piano eticamente superiore al 'rigore' d'un Cosimo de' Medici, che trasforma i sudditi in 'servi'". BENZONI GINO, Tra centro e periferia: il caso veneziano, in "Studi Veneti offerti a Gaetano Cozzi", Venezia, Il Cardo, 1992, p. 101.

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Sulle funzioni dei rettori si veda anche TAGLIAFERRI AMELIO, Ordinamento amministrativo dello

stato di terraferma, in Atti del Convegno "Venezia e la Terraferma attraverso le relazioni dei Rettori", a

cura di Amelio Tagliaferri, Milano, Giuffrè, 1981, p. 21 ss. Informazioni sui rettori veneti nella contigua Rovereto ci sono offerti in BALDI GIANMARIO-PIFFER STEFANO (a cura di), Rovereto da borgo

medievale a città nelle scritture della Serenissima conservate presso l'archivio storico e la biblioteca civica di Rovereto, Rovereto, 1990.

552

Ricordo che Mastino della Scala nella fase di formazione della signoria (1259-1277), all'indomani della scomparsa di Ezzelino III da Romano, occupò la carica proprio di podestà. "Mastino della Scala fu podestà del 'popolo' - scrive Andrea Castagnetti - già nel novembre 1259. L'anno seguente la podesteria fu affidata ad un Veneziano, come accadeva in quasi tutte le città della Marca: Venezia aveva contribuito efficacemente alla liberazione di Padova e alla caduta di Ezzelino e svolgeva ora una politica di pacificazione". Mastino nel 1268 sarà podestà di Pavia per conto dell'impero. Alla morte di Mastino, assassinato nel 1277, il fratello

quest'ultimo versante una vistosa eccezione si faceva attraverso l'istituto della consolaria, un tribunale formato in maggioranza da giudici veronesi nominati dal consiglio della città e presieduto

dal podestà il quale con i suoi giudici restava in ogni caso in minoranza553. L'Informazione del 1

marzo 1600 individua l'origine della consolaria nel «966 quando i Veronesi, scacciato dall'Italia Berengario... da Otthone imperatore, e ritornato il medesimo Otthone in Germania, conseguirono la

libertà554; i quali havendo formato la republica555 con l'elettione di ottanta Consiglieri nobili con piena autorità di creare il Podestà et altri Ministri per il buon governo della città e del distretto, furono, da essi ottanta, eletti otto Giusdicenti, chiamati poi Consuli, cioè quattro Dottori e quattro Laici, i quali havessero a sedere nel palazzo della Ragione a' loro deputati tribunali, per rendere ragione nelle cause civili; e che oltre di ciò uno de' medesimi Consuli fosse compagno al Giudice del maleficio nella formatione de' processi criminali; dovendo poi detti otto intervenire nei giudicj

criminali, come al presente si costuma»556. L'anonimo autore dell'Informazione del 1 marzo 1600

tornando alla sua epoca conferma che i giudici della consolaria o consolato557 sono otto, quattro

- col quale avverrà il riconoscimento anche giuridico della signoria - si trovava podestà in Mantova. Tra le disposizioni formali del potere signorile si ricorda che "il podestà doveva giurare di mantenere nel suo ufficio e nella sua autorità il capitano del 'popolo' ovvero il signore scaligero". CASTAGNETTI A.,

Formazione e vicende della signoria scaligera, in "Gli Scaligeri, 1277-1387", a cura di Gian Maria

Varanini, o.c., p. 7.

553

Gaetano Cozzi parlando di limitazioni al potere dei rettori cita l'istituto della consolaria e quello del "consilium sapientis" già da me menzionato nel par. 4.3.8 "Avvocato: una nobilissima professione". Cozzi ci ricorda che le due città dotate di consolaria o consolato sono Verona e Vicenza. Un istituto analogo, seppure di portata minore, possiede Belluno e verrà riconosciuto nel 1503 a Faenza. G. COZZI, Politica,

società, istituzioni, in G. COZZI-M. KNAPTON, La Repubblica di Venezia (Utet, XII-1°), o.c., p. 216-217.

554

Sugli "ordinamenti e vita cittadina nel sec. X" si veda MOR CARLO GUIDO, Dalla caduta dell'impero

al comune, in "Verona e il suo Territorio", vol. II, Verona, 1964, p. 123 ss. - Sulle vicende europee e

veronesi relative al periodo da Berengario II ad Ottone I, re d'Italia e imperatore (950-962), si veda ANDREA CASTAGNETTI, Dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente all'Impero Romano-Germanico

(476-1024), in "Il Veneto nel medioevo. Dalla 'Venetia' alla Marca Veronese", a cura di Andrea Castagnetti

e Gian Maria Varanini, vol. I, Verona, Banca Popolare, 1989, p. 42 ss.

555

Quanto dice l'Informazione è in sintonia con i contenuti della vecchia storiografia veronese, che il Faccioli mette a confronto con le risultanze degli studiosi del Novecento. Questo un passaggio del Faccioli il quale riporta in corsivo affermazioni del Saraina e del Canobbio: "La dieta imperiale, raccolta presso Augusta in Baviera nell'agosto 952, aveva restituito a Berengario e a suo figlio Adalberto il Regno italico - che secondo la tradizione longobarda e franca si identificava con la valle Padana, - ma il comportamento di quest'ultimi, volto a ricuperare l'indipendenza perduta, rese "necessario ad Ottone la seconda volta venire in

Italia contra esso Berengario, et Alberto, e più che prima superati, acciochè non ribellassero ancora, gli bandì d'Italia, rilegando Berengario nell'Austria, et Alberto in Constantinopoli. La qual cosa partorì alla Città di Verona la libertà, essendo liberata dalla tirannide di Berengario; nè temendo da lui esser più oppressa, et ritornando Ottone in Germania, indirizzarono Veronesi la Repubblica, sotto però il nome di Cesare; et a quella fecero questa forma di governo". Circa poi il periodo degli Ottoni - prosegue Giovanni

Faccioli - il Canobbio "non si discosta affatto dagli storici che lo precedettero: infatti, egli spiega che l'imperatore, contuttochè a forza di eserciti ne fosse padrone, si contentò che Verona se ne vivesse libera et

che usasse a suo piacere quelle leggi che più le gradivano, dovendo però giurare fedeltà al re et in ogni occasione necessaria lo udisse, lo servisse con lo havere e la persona ecc..., e i magistrati dovean chiamarsi consoli". FACCIOLI GIOVANNI, Torello Saraina e Girolamo Dalla Corte a confronto con gli antichi codici statutari veronesi, Estratto da "Studi Storici Veronesi Luigi Simeoni", I parte in vol. XVI-XVII,

1966-67, p. 1-2.

556

CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo

1600, o.c., p. 16.

557

In età comunale l'istituto del consolato rivestì un ruolo politico al quale Walter Goetz ci introduce con queste parole: "L'apparizione dei Consoli nelle città italiane è un chiaro sintomo di indipendenza. Dandosi proprie istituzioni le città si liberano definitivamente dall'antico signore e i Comuni iniziano la loro ascesa... La parola Console inizia un viaggio trionfale non soltanto attraverso l'Italia, ma attraverso tutto l'Occidente:

“dottori in collegio” e quattro “laici cittadini”, tutti eletti dal consiglio dei 62 (XII e L), durano sei mesi «dal mese di marzo, con salario della Camera di cassa corrente, de lire vinti... di moneta

veronese per il tempo di sei mesi, oltre la regalìa delle cere, che importa ducati sei in circa»558. Nella

fase istruttoria interviene uno dei consoli solamente in casi di omicidio. «Al tempo poi dell'ispedizione de' casi», eccettuati quelli che spettano all'autorità del capitano e quelli (inizialmente pochi) che spettano al solo podestà, «sono giudicati senza ballottationi, ma con le vive voci inappellabilmente dal medesimo sig. Podestà, da' suoi quattro Assessori e dai detti otto Consuli, cadauno con voto decisivo, cominciando a dir l'opinione il Vicario, poi il Giudice del

maleficio, e seguitando il Giudice del Griffone, il Giudice della Regina Leona, il Consule Dottor più

vecchio, e continuando gli altri, prima i Dottori, e poi i laici per ordine di età, essendo ultimo de tutti il sig. Podestà». Gli assessori (con il podestà) e i consoli non possono giudicare - sempre secondo l'Informazione - «se non sono ridotti al numero di nove almeno; et in tutte le assolutioni e condennationi bisogna che concorra il numero di sette voci, come dispone lo Statuto nel libro 3° al

capitolo 116»559.

Certamente la consolaria era nel mirino della critica e perciò non c'è da meravigliarsi se nell'Informazione, che si ispira alla politica veneziana (l'anonimo doveva essere un veneziano o una persona vicina agli ambienti governativi) si dice che i «consoli giudicano assai mitemente, et i rei hanno grandi avvantaggi», per cui i colpevoli in gran parte restano impuniti e i disordini si moltiplicano. Si accenna quindi al tentativo di ridurre la presenza dei consoli, ma la città di Verona

che è «gelosissima di questa da lei stimatissima giurisdizione» fece un invalicabile opposizione560.

Nel civile, invece, giudicano solamente i consoli dottori; il più vecchio al banco del Pavone, e gli

altri rispettivamente al banco del Drago, dell'Ariete e del Leopardo561.

Oltre agli 80 consiglieri, da cui i veronesi avrebbero tratto, al tempo degli Ottoni, gli 8 “giusdicenti” chiamati consoli in ricordo del console romano che aveva autorità di «mero e misto imperio», l'Informazione trova un antecedente alla “consolaria” nella magistratura veronese - attiva

già nei secoli IX e X in Francia i grandi del paese venivano chiamati Consoli". GOETZ WALTER, Le

origini dei comuni italiani (Archivio Fisa diretto da Gianfranco Miglio), Milano, Giuffrè, 1965, pp. 75, 77.

558

CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo

1600, o.c., p. 16. - Dopo aver detto che al consolato accedono 4 "Dottori di Collegio" e 4 "laici cittadini" (p.

16, cap. 21°), parlando del "Collegio de' Dottori Leggisti", afferma che "di questo numero solamente, e non d'altro, si eleggono i Consuli". Il collegio dei dottori leggisti si compone di sole 34 persone, quando invece quello dei notai ne conta 1.000! Per l'ammissione si richiede patente di nobiltà e che si "habbi studiato per sette anni". Interessante è anche il privilegio universitario assegnato al collegio dei dottori in legge di Verona. Dice l'informazione: "Ha indulto questo Colleggio, concessogli da Papa Benedetto l'anno 1339, di poter introdur in Verona studio perpetuo generale in giure canonico, et in civile". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., p. 18 (cap. 23°).

559

CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo

1600, o.c., p. 17.

560

L'anonimo autore dell'informazione del 1 marzo 1600 auspica un rafforzamento dell'autorità podestarile, scrivendo: "Potente rimedio a' disordini e pregiuditj della giustizia può esser l'autorità del Sig. Podestà, le prime parti del quale, come dice lo Statuto nel libro 3° al capitolo 120, dovrebbe essser la cura

dell'amministrar le cose criminali per la pace e salute della città, et per honor di Dio e della giustizia, usando diligenza, e facendola usare dal suo Giudice del maleficio col far portar i processi più importanti nel

Consulato, et facendolo spesso riddurre ad hore opportune, così la mattina come il dopo desinare; e facendo insieme il Sig. Podestà, che i suoi Assessori procedano con rigore nelle giudicature, e non secondo

l'opinione de'Consuli, i quali per ordinario, venendo occasione che il popolo si dolga di qualche mite

ispeditione, s'iscusano sopra la Corte forastiera". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di

Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., p. 17.

561

"Le appellationi si devolveno al Sig. Podestà, e se lauda, la sententia è inappellabile per la legge delle due conformi". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il

ai tempi di Roma - dei «quattuorviri iuredicendo», che erano, come i consoli per Roma, i magistrati

eponimi della città, esercitando entro certi limiti la giurisdizione civile e penale562. Del resto a

Verona detta magistratura è chiaramente testimoniata dalle epigrafi esistenti.

Dunque Verona si dimostrò sempre ‘gelosissima’ della consolaria563. L'istituzione non solo

le consentiva di far controllare da veronesi i processi a carico di veronesi, ma, in termini di prestigio, gli uomini nominati dal consiglio comunale affiancavano il podestà veneziano in una delle sue funzioni più delicate, quella dell'amministrazione della giustizia. In tal modo se sulla carta la carica di podestà restava vietata ai veronesi, rimanendo appannaggio esclusivo dei patrizi veneziani, la portata di tale disposizione veniva fortemente limitata in uno dei settori nevralgici della vita cittadina. Analoga partecipazione i veronesi non avevano invece nel tribunale del rettore-capitano, contro la cui giurisdizione Verona avrà modo di scontrarsi in tempi diversi.

5.2. “Augumento di autorità” a difesa dei contadini

Uno di questi conflitti giurisdizionali venne composto dal Senato veneziano con una

‘terminazione’ del 15 marzo 1612564

. La città scaligera aveva contestato al capitano di Verona, Girolamo Corner, un suo proclama in cui dichiarava sottoposti alla giurisdizione e al foro del

Capitanato tutti i reati «per qualsiasi causa civile, criminale o mista»565. La città di Verona ricorre

sdegnata in difesa non tanto delle prerogative del podestà quanto delle proprie in seno alla

consolaria. Le argomentazioni contro il Corner vengono così sequenzate:

1) il proclama Corner del 26.11.1610 è un attentato alle competenze giurisdizionali del podestà, del vicario della casa dei mercanti, del giudice dei cavalieri di comun, e più in generale di

tutti i tribunali attivi nella città di Verona566;

2) i soldati della milizia a cavallo - nella speciale graduatoria dei “sopranumerarij” - devono

essere soggetti alla giurisdizione del podestà tanto nel civile che nel penale567;

562

SARTORI FRANCO, Verona romana, in "Verona e il suo Territorio", vol. I, Verona, 1960. ZARPELLON AGOSTINO, Verona e l'agro veronese in età romana, Verona, "Nova Historia", 1954. CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo

1600, o.c., p. 16.

563

Pagine illuminanti - sulla scorta dei giudizi formulati dai rettori nelle loro relazioni - dedica alla consolaria anche Giorgio Borelli. BORELLI G., Introduzione alle relazioni dei podestà e capitani di

Verona, in "Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma", IX, "Podestaria e Capitanato di Verona", o.c., p.

XL-XLVI.

564

Statuti del Territorio Veronese, o.c., p. 312.

565

E' un nome, quello di Girolamo Corner, che ricorre frequentemente avendo lasciato un'impronta indelebile del suo passaggio a Verona. Vedi in questo lavoro il par. 12.13 "Lo spietato sfruttamento della contadinanza" nel cap. XII "Il Territorio".

566

Il proclama 26 novembre 1610 denunciava i tentativi di sottrarsi al giudizio del capitano da parte di individui sottoposti invece al suo foro come "Huomo d'Arme, Primopiatto, Sopranumerario, Soldato, Bombardiero, Hosto, Daciaro, Contestabile delle Porte, Officiale, Stipendiato, ecc.". Statuti del Territorio

Veronese, o.c., pp. 318-319 (proclama Girolamo Corner, 26 novembre 1610).

567

Nell'istruzione ('commissione') a Ermolao Barbaro del 1545 si dice: "Al Capitano competevano la giurisdizione sui militari tanto a cavallo che a piedi e la custodia della città" (SANCASSANI G.,

Commissioni di Pietro Lando, doge di Venezia, al nobile Ermolao Barbaro, inviato podestà a Verona (1545 marzo 17), in TAGLIAFERRI AMELIO (a cura di), Venezia e la Terraferma attraverso le relazioni dei Rettori, Milano, Giuffrè, 1981, p. 477). Nell'istruzione del 1738 al capitano Girolamo Pisani il quadro delle

competenze viene così precisato: "In caso che nascesse alcuna rissa ovvero eccesso tra alcuno delli

stipendiati, ovvero moglie, figli e figliole di quelli, da una parte, ovver cittadini della città, dall'altra parte,

debba il Capitanio esser giudice ed inquisire contra quelli stipendiati che avessero commesso il delitto. Contro il cittadino...di dette risse, o di qual si voglia eccesso, il Podestà debba inquisir sì come li parerà esser giusto, dando l'uno all'altro li processi seguiti, acciochè da cadauno di voi si possa far giustizia". Un

3) la custodia delle strade urbane, del fiume Adige e di altri corsi d'acqua che attraversino la città, spetta ai “cavalieri di comun”;

4) la custodia delle strade extraurbane (borghi e sottoborghi) è demandata al giudice delle sorti;

5) la sorveglianza sul fiume Adige nel tratto extraurbano e più in generale sui corsi d'acqua, e sui loro argini, come pure sulle strade della provincia di Verona, compete ai giudici de' dugali;

6) I “piezi de Datiari” - coloro, quindi, che si siano impegnati a garantire la solvibilità di chi abbia preso in appalto un dazio - s'intendono soggetti all'ordinaria giurisdizione del podestà «in civile et criminale», eccettuato che nella «materia del Dazio» in cui è competente il solo capitano- rettore;

7) l'autore di un delitto commesso nei palazzi dei rettori veneziani deve essere sottoposto al giudizio del rettore cui l'inquisito naturalmente afferisce; è ammessa tuttavia anche la possibilità che a giudicare sia il rettore nel cui palazzo è avvenuto il misfatto, purchè sia stata ottenuta l'autorizzazione da Venezia;

8) osti e beccari devono procedere contro i loro debitori non per via di Camera Fiscale, ma ricorrendo ai «fori ordinari»;

9) deve essere revocata la delega concessa dal Senato il 28 luglio 1611, al capitano di

procedere con rito sommario così in civile, come in criminale568.

Quest'ultima rivendicazione veronese è legata alla richiesta avanzata a Venezia il 6 luglio 1611 dal Corner di un «augumento di autorità» per poter combattere estorsioni e prepotenze a danno della contadinanza, la quale divenuta «ognora più debole et eshausta... non ha forze poi per sostentar il peso delle fattioni et gravezze pubbliche». La cosa più intollerabile per Girolamo Corner è il fatto che i contadini siano in balia di uomini senza scrupoli impegnati a gestire la cosa pubblica

nel proprio esclusivo interesse569. Il Senato con ducale 28 luglio 1611 aveva sollecitamente risposto

concedendo al Corner di «procedere contra chi facesse bisogno, sommariamente»570. Verona aveva

dunque reagito sia al proclama sopra ricordato del Corner sia a questo aumento di autorità, puntualizzando le sue controdeduzioni nei 9 punti riportati più sopra. Il ricorso della città scaligera

identico doppio canale va osservato anche nelle giustizia civile. La stessa istruzione prosegue infatti precisando che lo 'stipendiario' si rivolge, per avere giustizia, al capitano; un cittadino al podestà. In un altro paragrafo della stessa istruzione la competenza giudiziaria del capitano su chi indossi una divisa viene così ribadito: "Ti diamo libertà di serrar et aprir tutte le porte della città et aver tutta la custodia di quella, et tutto il governo de' stipendiati nostri così da piedi come da cavallo, che si troveranno nella città, ai quali in ogni occorrenza fra loro, così in civil come in criminal le possi e devi amministrar giustizia, secondo che ti parerà esser giusto". A.S.VR., VIII Vari, n.° 4 ('Commissione' a Girolamo Pisani, capitano di Verona, 1738). Il termine "stipendiarii" come sinonimo di "soldaerii a piedi e a cavallo" è già contemplato negli statuti scaligeri del 1328. Cfr. BIANCHI SILVANA ANNA, Fanti, cavalieri e stipendiarii nelle fonti statutarie

veronesi, in "Gli scaligeri. 1277-1387", a cura di Gian Maria Varanini, o.c., p. 162.

568

Il punto di vista di Verona è stato illustrato a Venezia dal suo nunzio Carlo Prato a capo di un'apposita delegazione e condensato in una memoria che porta la data 10 ottobre 1611. Statuti del Territorio Veronese, o.c., pp. 315-318. Sulle reazioni di Verona si veda anche VECCHIATO LANFRANCO, Saggi sulle

istituzioni cittadine veronesi nel '400, Verona, 1959, p. 33 ("Per la giurisdizione del Capitano, Processo 28

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