LA PRIMA ETA' VENEZIANA TRA POESIA E STORIA
3.2. Reticenze sullo spirito pubblico dei Veronesi 1 Nel Quattrocento
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DALLA CORTE G., Dell'Istoria della città di Verona, Venezia, 1592, Tomo VI, p. 349. Citato da FACCIOLI G., Verona e la navigazione atesina. Compendio storico delle attività produttive dal XII al XIX
secolo, o.c., p. 49.
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SARAINA TORELLO, Le Historie, e fatti de' veronesi nei tempi del popolo, e signori Scaligeri, Verona, 1586. Citato da FACCIOLI G., Verona e la navigazione atesina. Compendio storico delle attività produttive
dal XII al XIX secolo, o.c., p. 50.
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FACCIOLI G., Verona e la navigazione atesina. Compendio storico delle attività produttive dal XII al
XIX secolo, o.c., p. 61.
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"Venezia - scrive Giorgio Borelli - riguardò sempre i territori della Terraferma come oggetto di conquista, ai quali fu lasciato sì un ampio margine di autonomia amministrativa, ma essa si guardò bene sia economicamente che politicamente di integrarli nella compagine dello Stato, che rimane sempre Stato cittadino". BORELLI G., Città e campagna in età preindustriale. XVI-XVIII secolo, cit. Si veda anche BORELLI GIORGIO, Patriziato della dominante e patriziati della terraferma, in Atti del Convegno "Venezia e la Terraferma attraverso le relazioni dei Rettori", a cura di Amelio Tagliaferri, Milano, Giuffrè, 1981, p. 79 ss.
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Scrive Egidio Rossini: "Legnago e Porto potevano fare panni alti, però nel 1437 Venezia ha imposto ai legnaghesi di distruggere le tintorie, fulla, purga, garzarie et clauderie e tutti gli altri edifici necessari alla rifinitura dei panni. In realtà potevano soltanto tesserli indi dovevano trasportarli a Verona per le ultime fasi di lavorazione". Le fonti citate dal Rossini sono: 1° A.S.VR., Casa dei Mercanti, reg. 2, f° 557; 2° BARBIERI GINO, Note e documenti di storia economica italiana per l'età medievale e moderna, Milano, 1940. ROSSINI EGIDIO-MAZZAOUI FERNELL MAUREEN, La lana come materia prima nel Veneto
sud-occidentale (secc. XIII-XV), Estratto da "La lana come materia prima", (Atti della 'prima settimana di
studio', Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini", Prato, 1969), Firenze, Olschki, 1974, p. 188.
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SIMEONI L., Verona, cit., p. - Su Legnago si veda anche BARBIERI GINO, Introduzione alle relazioni
dei provveditori di Legnago, in Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, VIII, Provveditorato di Legnago,
Lo spirito pubblico dei Veronesi negli anni del trapasso verso il potere politico veneziano dovrebbe trovare illustrazione nelle opere degli scrittori e storici del tempo o dell'epoca immediatamente successiva. Un riscontro sicuro e concreto è però quanto mai arduo, essendo gli autori portati a mascherare e riassorbire eventuali dissensi dietro l'ufficialità del convenzionale coro celebrativo della capitale. Scorriamo, comunque, in rapida sequenza alcuni autori di qualche rilievo.
Il Marzagaia fu precettore dell'ultimo scaligero, Antonio della Scala, e perciò subì il bando
da Verona151. Tornato a Verona dopo l'esilio nel 1396, riprese l'insegnamento fino al 1426152. Egli
nel suo «Modernis gestis» avrebbe certamente potuto essere più esplicito153. Ed invece del
passaggio di Verona sotto la Serenissima egli parla, ma solo per condannare «i tentativi di rivolta, inconsulti e dannosi». Si dichiara contento del nuovo regime, come lo erano molti veronesi, non
certo immemori «dei bei tempi scaligeri», e tuttavia rassegnati154.
I continuatori del «Chronicon Veronense» di Paride da Cerea (sec. XIII) sono parchi di giudizi, in particolare Pier Zagata (sec. XV), che ne è oltre che continuatore, anche traduttore, come appare nella sua Cronaca «ampliata e supplita» dal Biancolini (1745). Pier Zagata sugli anni del primo dominio veneziano si limita a pochi appunti: «Adì 23 zugno 1405 el populo de Verona tolse la Città a quelli da Carrara e adì 24 la dete a la Signoria de Venesia». A questo dato introduttivo aggiunge: «Adì 5 de Luio (1405) fu facto Ambassadori in Verona per mandar a Venesia a dar la obedientia a la Signoria...» Sulla cerimonia svoltasi in piazza S. Marco sottolinea che il Doge si vestì di bianco «in segno de alegreza» e «donò un Confalon bello a li dicti Ambassadori, il qual
dovesse esser levado per victoria de Venetiani in su la piaza de Verona»155.
151
Su Antonio della Scala Reinhold C. Mueller annota: "Anche l'ultimo signore scaligero, Antonio, ebbe dei rapporti finanziari con Venezia. E' ben noto il tentativo di rastrellare fondi per la difesa della sua signoria sul mercato veneziano, quando impegnò i suoi gioielli presso gli ebrei che operavano a Venezia per prestiti dell'ammontare di 47.500 ducati, che le autorità veneziane accettarono di garantire. Da quando fu costretto a fuggire da Verona, ebbe una pensione di 100 ducati mensili". Antonio morì nel 1388. MUELLER REINHOLD C., Veronesi e capitali veronesi a Venezia in epoca scaligera, in "Gli scaligeri. 1277-1387", a cura di G.M. Varanini, o.c., p. 375.
152
Gigliola Soldi Rondinini ci ricorda: "Maestro Marzagaia, com'è noto, era stato precettore di Antonio
della Scala; lo aveva seguito nell'esilio perdendo beni e privilegi e, infine, gli era stato impedito dai suoi
concittadini il rientro in città. La sua opera più celebre è il De modernis gestis, anch'esso pubblicato dal Cipolla". L'altra opera citata dalla Soldi Rondinini è "Magistri Marzagaie Opuscula, in 'Antiche Cronache Veronesi', Opusculum I (Gli Scaligeri e i Veronesi), a cura di F. e C. Cipolla, t. I, Venezia 1890". Di questa cronaca viene in particolare citato il par. "Caduta e morte di Antonio: ingratitudine dei veronesi verso gli
Scaligeri". SOLDI RONDININI G., La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), in "Verona e il suo
Territorio", v.IV, t.1, o.c., p. 44.
153
Di Marzagaia si veda un agile profilo e la bibliografia in AVESANI RINO, Il preumanesimo veronese, in "Storia della cultura veneta", 2, Vicenza, Neri Pozza, 1976, p. 137 ss.
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AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., pp. 28-29. - Marzagaia non aveva risparmiato critiche ad Antonio della Scala l'ultimo degli Scaligeri. "Mentre Antonio cercava di porsi in salvo - annota Soldi Rondinini - il popolo veronese, sperando come sempre che il nuovo padrone fosse migliore del vecchio, acclamava dunque Gian Galeazzo e si abbandonava al saccheggio del palazzo scaligero. Il Marzagaia coglie appieno questo sbandamento dei veronesi, ma pur biasimandolo, non può che criticare il duro governo dello Scaligero, che aveva in definitiva cercato la propria rovina alienandosi l'animo dei suoi sudditi migliori, e lasciandosi guidare nella sua pessima politica dalla moglie Samaritana da Polenta e dai suoi perfidi parenti ed amici". SOLDI RONDININI G., La dominazione viscontea a Verona
(1387-1404), in "Verona e il suo Territorio", v.IV, t.1, o.c., p. 46.
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ZAGATA PIER, Cronica (1375-1454), in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol 2° , Verona, 1747, pp. 45-46. Già da me parzialmente citata nel par. 1.1. "Dalla Laguna al Mincio" del cap. I "Gli eventi politici (1405-1797)".
Il Biancolini - che pubblica la Cronaca dello Zagata - a questo punto, come in altri passaggi, sente la necessità di ampliarla ricorrendo ad una lunga e più completa narrazione tratta dalla «Storia
di Venezia» del Sabellico156.
Pier Zagata riprende alla data del 26 luglio 1405 il suo racconto molto scarno, per fermarsi -
dopo brevissime soste nei vari anni - al 1412, quando Brunoro della Scala, il superstite scaligero, protetto dall'imperatore Sigismondo tenta invano di sollevare a suo favore la città di Verona. Zagata sull'episodio è molto zelante nel fare i nomi dei numerosi ribelli presi ed impiccati o delle taglie decretate contro i fuggitivi e sul capo dello stesso Brunoro e di suo fratello. Le taglie vengono fissate nell'enorme cifra di 8.000 ducati, nel caso in cui i ribelli fossero presi vivi, e di 4.000, se venissero consegnati morti. Le somme avrebbero dovuto essere corrisposte dal comune di Verona. Degli impiccati si indica il nome e a volte la professione o il mestiere. Scopriamo così che tra i congiurati si trovava un “fisico” (cioè un medico), un notaio, un soldato, qualche esponente di
famiglie illustri, molti artigiani, abitanti della città ma anche del territorio157.
Pier Zagata, che nel compilare la sua Cronaca per gli anni dal 1412 al 1416, riserva la sua attenzione soltanto a segnalare i ribelli o presunti tali, incarcerati, impiccati o squartati. Sembra con ciò voler dare il massimo rilievo alla severa e crudele reazione dei Veneziani, decisi a difendere con ogni mezzo repressivo la recente conquista di Verona. La sua diligente e minuziosa relazione dei fatti si può leggere anche come muta condanna del comportamento dei nuovi padroni che hanno sostituito i precedenti tiranni e specialmente i Carraresi. Non è da escludere nemmeno che lo Zagata voglia scuotere gli animi dei Veronesi, spettatori delle squallide esecuzioni fatte nella “piazza
grande” e dell'esposizione dei corpi “squartati”158.
3.2.2. In età moderna
Il volto dello Zagata, nonostante gli studi del Biancolini e di altri, rimane sempre avvolto nell'ombra. Con maggiore nitidezza si stagliano personaggi come il Saraina da considerare come il primo storico veronese d'età moderna. Egli che di solito riporta i fatti con notevole, se non assoluta, esattezza, reca alla fine della sua opera un rapido cenno sul periodo postscaligero e giustifica la dedizione di Verona alla Serenissima come uno sbocco naturale dopo i gravissimi lutti provocati da
un lungo anno di guerra (1404-1405)159.
II Dalla Corte nelle «Istorie della città di Verona» (1596), intorno all'entrata delle truppe veneziane in Verona è ricco di particolari. Circa in particolare l'accoglienza tributata dai Veronesi ai nuovi padroni, afferma che «ben appariva quanto gli animi di tutti fossero inclinati ed affezionati a
quella Illustrissima Signoria»160.
156
La lunga narrazione di Marcantonio Sabellico è già stata da me utilizzata nel par. 1.1. "Dalla Laguna al
Mincio" del cap. I "Gli eventi politici (1405-1797)".
157
ZAGATA PIER, Cronica (1375-1454), in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol 2° , Verona, 1747, pp. 52-54.
158
Un episodio che fa pensare ad una psicosi scaligera accade il 14 agosto 1416: "in la hora de terza uno matto corse alla bottega de mistro Beltrame da le Spade, e tolse una spada nuda, e corse verso la piaza cridando Scala Scala, e li fu preso, e fu adimandà perchè facesse questo, e lui respose che era de quelli de la Scala, e chel se voleva far Signor; in el dicto dì fu apicà". ZAGATA PIER, Cronica (1375-1454), in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol 2° , Verona, 1747, p. 55.
159
SARAINA, Historie e fatti de' Veronesi, Verona, 1542. Sul Saraina torno nel par. 3.10. "Storiografi
veronesi: Torello Saraina e Alessandro Canobbio" del cap. III "La prima età veneziana tra poesia e storia".
160
Le storie del Dalla Corte avranno un'edizione settecentesca in tre voluni, della quale mi sono servito in quanto facilmente reperibile. Cfr. DALLA CORTE GIROLAMO, Dell'Istorie della città di Verona (1a stampa fine Cinquecento), 3 tomi, Venezia, 1744. Ho tuttavia consultato anche quella che dovrebbe essere la prima edizione di fine Cinquecento, nella quale si riscontra una curiosa anomalia sicuramente da attribuire ad un errore di stampa. L'edizione di fine Cinquecento è stata stampata in due volumi. Il primo, contenente i primi 10 libri, porta la data 1594. Il secondo, contenente la seconda parte, e cioè i libri dall'11° al 20°, porta
Il Panvinio nei suoi «Annali» non esprime apprezzamenti sulla dominazione veneta a
Verona. La sua sterminata produzione insiste in effetti sull'antichità ecclesiastica161.
Il Canobbio, che con la «Historia» di Verona, rimasta però manoscritta, arriva fino agli avvenimenti del 1568, pur essendo benemerito per le sue fruttuose ricerche archivistiche, non poteva nel suo 'excursus' storico, in particolare per la dedizione di Verona alla Serenissima, indugiare sull'opinione dei Veronesi, e nemmeno formulare giudizi sulla politica di Venezia, non fosse altro che per non incorrere nelle maglie della censura. Egli si limita perciò alle solite annotazioni sul sollievo dei Veronesi finalmente in pace.
Più esposto in senso filoveneziano è invece il Tinto, che si ricollega in massima parte al Panvinio per la storia antica di Verona. La dipendenza è tanto spinta da far dire al Maffei nel '700 e
al Belviglieri nell'800 che egli avrebbe addirittura copiato il Panvinio162. In ogni caso il Tinto ritiene
sacrosanta la resa incondizionata di Verona ed è particolarmente severo contro i ribelli «al benigno imperio di quella Santa Repubblica».
Anche il Moscardo narra con molti particolari la resa della città e riferisce che il popolo era
deciso e contento che la guerra finisse con l'arrivo al potere dei Veneziani163.
Con la «Istoria della città di Verona sino all'anno 1517» del Carli siamo ormai nel '700. Egli descrive le festose accoglienze fatte dai Veronesi ai loro nuovi signori, nonchè i festeggiamenti e le cerimonie anche dei giorni successivi all'entrata delle milizie veneziane, senza tuttavia illuminare in alcun modo il tema dello stato d'animo della popolazione. Eppure il Carli, che poi con la venuta dei Francesi di Napoleone assumerà incarichi pubblici, avrebbe potuto aprirsi a giudizi ed apprezzamenti in sintonia con la nuova atmosfera politica e sociale, che la rivoluzione francese
aveva provocato164.
Ugualmente il Venturi, che pubblica la sua «Storia sacra e profana» di Verona nel 1825165,
anche se intimidito dalla presenza austriaca, avrebbe potuto essere più esplicito sull'opinione dei Veronesi sotto la Serenissima, tanto più che a suo tempo egli aveva operato clandestinamente contro il regime veneziano. Invece si limita, a proposito dei fatti del 1405, a dire che i «Veronesi s'erano, almeno in apparenza, sottomessi ai Veneziani».