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Autorità veneziane e uffici veronesi 1 Una giustizia accessibile a tutt

GLI STATUTI DEL

4.7. Autorità veneziane e uffici veronesi 1 Una giustizia accessibile a tutt

Può sembrare ingiustificato riservare l'ultimo posto all'esame del primo volume degli Statuti del 1450. Mentre nei precedenti Statuti viscontei (Gian Galeazzo Visconti), scaligeri (Alberto e

Cangrande della Scala) e comunali (notaio Calvo), la materia d'importanza politica occupava in un

certo senso il posto primario, negli Statuti veneti essa ha subito un più accentuato ridimensionamento. Del podestà perciò, e non del capitano, la cui autorità si esercitava fuori da ogni partecipazione del comune, si parla, ma per cose poco importanti e quasi accidentali. Mentre gli Statuti anteriori cominciano con il solenne giuramento del podestà, il libro I al cap. 1° parla «de honorifico introitu D. Potestatis». Il nuovo podestà doveva entrare in città, per iniziare il suo governo, attraverso porta Santo Spirito, al suono a martello della campana grossa, con le consuete insegne della sua dignità, e per prima cosa doveva visitare la basilica di S. Zeno e quindi la chiesa Cattedrale. Giunto in piazza delle Erbe saliva sulla «solita sede del Capitello», dove ascoltato un

discorso di circostanza486, riceveva lo ‘scettro’ dell'autorità podestarile su Verona e il suo

distretto487.

Il cap. 2° del libro I tratta della «familia D. Potestatis et quidem personarum forensium». Infatti il Vicario, il giudice del maleficio, i due giudici «ad civilia», il cancelliere, «duo milites», il

‘conestabile’, ed altri al servizio personale del podestà, dovevano essere “forenses”488

. Per l'intera corte del podestà si fa rigoroso divieto di ricevere compensi di qualsiasi natura.

Criteri di giustizia e di equità guidano gli autori degli Statuti. Uno dei momenti in cui l'afflato ispiratore si manifesta più compiutamente è nella disposizione di tenere aperte le porte del

palazzo di giustizia in modo che anche la povera gente possa entrarvi a reclamare l'intervento

dell'autorità contro i soprusi di cui si ritenga vittima. Questa la disposizione nella facile prosa latina: «Statuimus quod omnia ostia Palatii, et Domus novae, in qua habitant Vicarius, et Judices D. Potestatis continue per totum diem, ex quo mane aperientur usque ad horam vesperam stare debeant

483

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 388 (l.V c.163°).

484

Cfr. il par. 4.2. "La redazione quattrocentesca. La riedizione settecentesca" di questo cap. IV "Gli Statuti

del 1450").

485

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 390.

486

Sulla figura dei rettori, in particolare del podestà, tornerò a trattare più diffusamente in questo mio lavoro, nel cap. V "Ruolo e poteri dei rettori veneziani". In quella sede analizzando le commissioni al podestà scopriamo che è proibito qualsiasi discorso di circostanza. Un'indicazione che è esattamente opposta a quella appena vista dallo statuto. Cfr. par. 5.3 "Sul capitello per l'insediamento".

487

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pag. 1 (l.I cap.1°).

488

Non appena il podestà si era insediato faceva scrivere per mezzo del cancelliere del comune il giuramento cui erano tenuti, secondo formule diverse, il vicario, il giudice del maleficio, e i due giudici assessori, da un lato; il cancelliere, il conestabile e i due soldati del podestà, dall'altro. Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 2 (l.I capp. 3°, 4°, 5°).

aperta, ita quaelibet persona, tam minor quam maior, tam pauper quam dives, tam humilis quam sublimis, possit libere absque contradictione aliqua ire ad dictos Vicarium et Judices; et coram ipsis

proponere, et dicere, et facere dici sua jura et rationes, ac etiam si in aliquo ultra quam deberent gravarentur. Et dicti Vicarius et Judices imponendo bannum, vel alio quocumque modo alicui personae prohibere non possint, quo minus ad ipsos vadat, vel ad quem voluerit ipsorum, pro suis

iuribus et rationibus dicendis et proponendis»489.

Dopo tale apertura nei confronti della popolazione veronese, invitata a ricorrere con fiducia alla giustizia veneziana, il libro I degli Statuti prosegue dedicando i primi cinquanta capitoli al

podestà in un minuzioso elenco delle situazioni in cui la sua autorità si deve esprimere. La

sorveglianza del podestà si esercita in particolare su pedaggi, tolonei (sinonimo di pedaggio), rapporti tra città e terre vescovili (Bovolone e Monteforte); vecchi contratti tra il vescovo e alcuni paesi del distretto (Legnago, Roverchiara, Tomba, Caldiero, Tregnago, Marcellise, Centro, Montorio, S. Giorgio); sui rapporti tra Verona e il comune di Cologna Veneta per certe proprietà poste «ante portam Castri Coloniae»; sul privilegio di patronato goduto dalla città nei confronti dell'ospedale di S. Giacomo alla Tomba; sui diritti sopra il monastero di S. Zeno. Nei riguardi della chiesa di S. Giorgio in Braida, il podestà veneziano, i giudici e gli ufficiali del comune di Verona, dovevano avere senso di reverenza e sostenere le richieste del priore («petitiones iustas et juri consonantes»), «non obstantibus aliquibus Statutis, vel reformationibus in contrarium

loquentibus»490.

4.7.2 Il palio dantesco

Il cap. 35° dispone le modalità per la processione da tenere nella prima domenica di Quaresima, alla quale era chiamato a partecipare tutto il popolo, e per lo svolgimento della grande festa da farsi «in diem iovis grassam, in qua die... curratur ad bravìum hoc solito nostri temporis

modo; videlicet quod per Cameram...nostri Dominii exponi debent quattuor brava»491. Col termine

“brava” s'intendono panni, ciascuno d'un colore diverso dall'altro492

. Al vincitore della corsa ne toccava uno di colore verde. La corsa veronese trovò una citazione d'eccezione nella Divina Commedia nella scena di Brunetto Latini il quale, dopo aver raccomandato la fama del suo “Tesoro”, d'improvviso si volta, correndo via

………...e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro

quegli che vince, non colui che perde493.

489

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pag. 5 (l.I, c.16° "Ostia Palatii et Domus novae stent aperta".

490

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pag. 12 (l.I, c. 33°). - Nel cap. 34° si parla della "Domus

Pietatis", sulla quale mi soffermerò più avanti. Cfr. il par. 6.9. "Assistenzialismo comunale" del cap. VI "Il governo locale".

491

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pag. 13 (l.I, c. 35°). - Interessanti particolari sul palio si leggono anche in BIANCOLINI G.B., Cose notabili cavate fra le moltissime contenute negli Statuti della città di

Verona, in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona descritta da Pier Zagata, Parte I,

Verona, 1745, pp. 212-213.

492

Il Du Cange spiega bravìum, ii, come premio assegnato al vincitore di una gara pubblica, e parla di "pallium sive bravìum". Il Forcellini indica anche un certo percorso linguistico destinato a sfociare nel nostro "bravo" urlato ad un vincitore. Parla infatti di "brabèum seu brabìum vel bravìum" dal greco 'brabèion' destinato a diventare il nostro 'bravo'. Spiega infatti: "Hinc Itali bravo appellant, quem in aliquo certamine victorem cernunt". FORCELLINI EGIDIO, Lexicon totius latinitatis, tomo I, Bologna, 1965, p. 463. DU CANGE CHARLES, Glossarium mediae et infimae latinitatis, tomo I, Graz, 1953, p. 739.

493

La grande innovazione introdotta dagli Statuti del 1450 è rappresentata dallo spostamento del palio dalla prima domenica di Quaresima ad altro giorno che deve essere non solo fuori dal periodo quaresimale, ma anche non deve cadere in giorno festivo. Come il più adatto si indica il

giovedì grasso494. La Quaresima - dice lo statuto - è il tempo di Dio e a Dio sia perciò restituito:

«tempus quod est Dei, reddatur Deo»495. Stando alle cronache, lo spostamento del palio dalla prima

domenica di Quaresima al giovedì di carnevale sarebbe avvenuto già nel 1434 e quindi lo statuto

recepirebbe un'innovazione abbastanza recente496.

Negli anni in cui si compilava il cap. 35° del libro I degli Statuti si davano quattro drappi, ciascuno di colore diverso. Oltre al verde, attestatoci da Dante, si assegnavano altri tre drappi di

velluto di colore diverso a seconda del genere di corsa: scarlatto, bianco, e cremisi497. Che le

modalità, riguardo al “palio veronese”, osservate al tempo di Dante non fossero quelle del 1450, quando si votarono gli Statuti, lo afferma la stessa disposizione statutaria là dove puntualizza: «ad

bravìum hoc solito nostri temporis modo». Questa l'articolazione di metà Quattrocento. Il primo

palio (verde) era riservato - dice sempre lo statuto - alle «mulieres honestas, etiam si esset una». Come dire che la corsa era valida anche se c'era una sola concorrente. Se non si fossero presentate donne oneste, si facevano correre le ‘prostitute’. Il secondo palio (rosso scarlatto) «curratur per

viros»; all'ultimo piazzato dei maschi si assegna un gallo che il perdente dovrà ostentare per tutta la

città. Il terzo palio (bianco) «curratur per asinos». Il quarto (rosso cremisi) «curratur per equos». Singolare il premio assegnato all'ultimo cavallo piazzato. Il fantino riceverà due “baffe”, ovvero due cosce di maiale che porterà appese al collo del cavallo in giro per la città consentendo a chiunque di

ritagliarsene un pezzo498.

Quanto invece al palio dantesco, esso si correva la prima domenica di Quaresima «sul

tracciato dalla chiesa di San Fermo per la porta Rofiolana, San Francesco al Corso, la Trinità, Santa

Croce, fino alla Tomba; oppure sull'altro da Sant'Anastasia lungo il Corso per la romana porta dei Borsari, l'arco dei Gavi, Ognissanti fino a Santa Lucia. Il percorso era scelto dal podestà di Verona, “ubi utilius ei videbitur”, come dicevano gli statuti cittadini. I concorrenti gareggiavano a piedi o a cavallo. Il cavaliere vincitore riceveva il ‘palio’, un drappo scarlatto, l'ultimo una coscia di maiale da portare al collo del destriero, dalla quale chiunque poteva tagliare a piacere; il podista giunto

494

Sul palio si veda anche DIANIN GIAN MARIA, S. Bernardino da Siena a Verona e nel Veneto, Verona, 1981, p. 66 ss.

495

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pag. 12 (l.I, c. 35°). - Sancassani scrive: "Come regola quindi il Palio si correva nell'ultima domenica di carnevale, salvo impedimenti atmosferici, nel qual caso la manifestazione era rinviata o alla prima domenica di quaresima o alla festa di S. Marco ai 25 d'aprile, o alla prima domenica di maggio, fino a che una deliberazione del Consiglio cittadino dell'anno 1755 stabilisce appunto a detta domenica di maggio la corsa". SANCASSANI G., Documenti per la storia del palio di

Verona (1198-1784), in "Nova Historia", rivista diretta da Lanfranco Vecchiato, Anno VIII, fasc. I-III,

Verona, 1956, p. 24.

496

RIZZONI JACOPO, Memorie istoriche in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona

descritta da Pier Zagata, Parte II, Verona, 1747, p. 223. Lo spostamento all'ultima domenica di carnevale

sarebbe frutto della predicazione di S. Bernardino. Cfr. RIZZONI J., Continuazione alla Cronica di Pier

Zagata, in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol. 2°, Verona, 1747, p. 149. -

L'anonimo autore dell'informazione del 1600 ci conferma che il palio si dovrebbe correre il giovedì grasso, ma in realtà esso ha luogo di domenica. "Quel giorno - egli scrive - fu poi rimesso per maggior riverenza di Dio al Giovedì grasso a persuasione di san Bernardino; se ben poi per abuso si fa la Domenica di

Carnovale". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., p. 38 (cap. 53°).

497

"Secundum vero sit sex brachiorum scarlatini fini"; "tertium autem sit XXV brachiorum pignolati albi"; "quartum sit XXV brachiorum veluti carmesini palam". Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 13.

498

Il cap. 35° si dilunga poi nell'illustrazione del percorso lungo il quale fare correre il palio. Statutorum

primo alla meta conquistava invece il drappo verde, mentre un paio di guanti e un gallo vivo erano il premio del perdente. Vincitori e vinti dovevano portare i rispettivi trofei fino in città nel tripudio

del popolo e fra gli scherni audaci e mordaci che colpivano gli ultimi arrivati»499.

Ricca di particolari anche di colore è l'informazione-Cavattoni, la quale conclude la sua descrizione accennando ai problemi di ordine pubblico e di pubblica moralità che il palio, corso in periodo di carnevale, scatena. L'anonimo autore dell'informazione afferma conclusivamente: «E qui finisce il moto tanto strepitoso per tal occasione, come se si facesse qualche grande impresa nella città; et veramente quel giorno è pericolosissimo per li scandali et inconvenienti. Onde li Sig. Rettori fanno star vigilanti et in armi non solo i loro Ministri a cavallo et a piedi, ma anco la compagnia de' Stradiotti, chiamati Capelletti; et di più fanno serrare tutte le porte della città, fuorchè quella del Palio, la quale si apre per questa occasione; e li soldati deputati alla loro custodia si

compartono in diversi luoghi della strada del Corso in cinque corpi di guardia»500.

4.7.3 Usure, ragionieri e mestieri

Il podestà e i provveditori del comune di Verona sotto vincolo di giuramento erano tenuti ad impedire che giudei o cristiani esercitassero l'usura. I primi dovevano in ogni caso portare sul petto

«unum O, quod sit una cordella zalla lata uno digito...»501 Indipendentemente dall'appartenenza

all'ebraismo o al cristianesimo, l'usura era punita con la perdita del capitale e degli interessi, ma si

poteva arrivare anche al bando perpetuo dal veronese502.

Lunga la lista delle competenze attribuite al podestà, ed elencate in una successione disordinata. Segnalo alcune curiosità attenendomi all'ordine di comparizione con cui sono formulate negli statuti. I venditori ambulanti di «confortinos, scaletas, cielas, et similia, quae pueri vocant

festam» non potevano entrare in città503. Il podestà era tenuto a consegnare gli eretici al vescovo per

l'esame teologico, e poi a punirli se rifiutavano il ritorno «ad fidem sanctam et catholicam»504.

I beni della Fattoria scaligera acquistati da privati fin dall'anno 1387 (anno della caduta della signoria scaligera) erano da considerarsi a conduzione enfiteutica e perciò non potevano essere tolti

agli «affictualibus, seu conductoribus neque eorum haeredibus, seu successoribus»505. I comuni

rurali erano tenuti a far lavorare le terre site nelle loro pertinenze e che risultassero abbandonate dal padrone («aliquis civis Veronae») che non osava rimanere dove aveva le sue proprietà per il timore di un suo qualche nemico, e che non trovava nessuno disposto a lavorargliele ugualmente per

499

CARRARA M., Gli Scaligeri, o.c., p. 115.

Lo statuto di Cangrande della Scala del 1327 prevede dunque due gare una a piedi e una a cavallo. Per la corsa equestre al primo arrivato si assegna un panno scarlatto; all'ultimo una "baffa", "de qua licitum sit cuilibet incidere et tollere postquam curens habuerit ad collum equi ligatam". Nella corsa a piedi al vincitore si assegna il panno verde all'ultimo piazzato un gallo, "quem palam portare debeat usque in civitatem". BIANCHI S.-GRANUZZO R. (a cura di), Gli Statuti di Verona del 1327, o.c., vol. I, p. 159. - Gigliola Soldi Rondinini, ricordato che gli statuti scaligeri prevedevano appunto solo 2 pali, precisa che Gian Galeazzo Visconti ne volle 3: uno 'rosso carminio', uno 'rosso scarlatto', e uno 'verde'. SOLDI RONDININI G., La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), in "Verona e il suo Territorio", v.IV, t.1, o.c., p. 163.

500

CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo

1600, o.c., p. 39 (cap. 55°).

501

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 14 (l.I c.37°).

502

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 14 (l.I c.36°). - Sull'espulsione dei banchi ebraici da Verona avvenuta nel 1447 e di cui lo statuto fa un cenno indiretto, si veda VARANINI G.M., Il comune di Verona,

Venezia e gli Ebrei nel Quattrocento, in VARANINI G.M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, Verona, L.U.E., 1992, p. 286.

503

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 15 (l.I c.38°).

504

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 15 (l.I c.39°).

505

«timore vel amore alicujus habitantis in ipsa villa o altrove». Il comune che assumeva tale incombenza, provvedeva a spese del padrone a coltivare la terra, a raccogliere le messi e a condurle

in città all'abitazione di detto “dominus”506.

Sui massari, i capitoli 44°, 45°, 46° del libro I anticipano in parte quello che poi viene ripetuto nel libro V ai capitoli 161°, 162°, 163°. Circa invece i giurati delle contrade, essi vengono eletti dalla vicìnia contradale in numero di uno o due a seconda della «qualità e quantità» degli abitanti su ordine del podestà. Con la stessa procedura erano nominati due ragionieri. Giurati e ragionieri duravano in carica un anno ed esercitavano l'ufficio di «iurariae et rationariae» dopo aver dato davanti al podestà idonea garanzia «de bene custodiendis, salvandis et non baratandis

pignoribus»507.

Ogni mestiere esercitato in città aveva al vertice del suo organismo corporativistico un

gastaldo. Su tale figura si dettano minute regole. Tra l'altro si stabilisce che «nullus de masnada»

oppure nato da non legittimo matrimonio possa essere gastaldo di un qualche mestiere. Il vicario e i consoli della «Domus Mercatorum» con la presenza del podestà devono proibire che vengano meno

le vecchie consuetudini e che si cerchi di creare monopoli508. Per incrementare la vita economica

della città si stabilisce che chiunque sia libero di iscriversi (“gaudiare”, dice il testo) ad un mestiere (“misterio”), versando al gastaldo, «sub quo se gaudiabit», non più di 60 soldi «pro dicta gaudiatione». Se il gastaldo o il massaro «dictae artis» rifiuta l'iscrizione, l'aspirante è autorizzato ad

esercitare comunque il mestiere prescelto509.

4.7.4 L'aristocrazia consiliare

Il cap. 51° esordisce affermando che la «communitas Veronae» nei tempi antichi era solita reggersi ad opera di un Consiglio di anziani fatto da 15 persone, e da un altro di 80 e non mai di 500

componenti510. È facile capire come questo inizio di capitolo sembri negare l'esistenza nel periodo

comunale prima, quindi negli anni della tirannia di Ezzelino511 e poi in quelli della signoria

scaligera, di consigli comunali veronesi numerosi e quindi più rappresentativi e più popolari di quelli approvati da Venezia. Ci si limita a ricordare i due consigli, formati rispettivamente da 15 e

506

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 18 (l.I c.43°).

507

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 20 (l.I c.47°).

508

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 21 (l.I c.49°).

509

Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 21 (l.I c.50°). - Analoga la disposizione scaligera ugualmente fatta "ad hoc ut misteria (i mestieri) augmententur". Per l'ingresso in una corporazione (misterium) si pagavano però solo 40 soldi, mentre ora a metà Quattrocento se ne chiedono 60. BIANCHI S.-GRANUZZO R. (a cura di), Statuti di Verona del 1327, o.c., p. 164 (libro I cap. 69°).

510

I primi 50 capitoli del libro I, molti dei quali dedicati al podestà, non hanno un titolo di posta che li introduca e ne delimiti l'argomento. Il titolo di posta compare solo nell'indice (Libro I Posta I "Statuta Domini Potestatis, et ejus Judicum, et officialium, et earum rerum, quae specialiter ei committuntur". Dal cap. 51° abbiamo invece regolari titoli di posta seppure sempre non numerati, e che io invece numero (Libro I Posta II "Haec sunt Statuta Consiliorum Civitatis Veronae". Il capitolo 51° s'intitola "De auctoritate Consilii duodecim et quinquaginta, cum D. Potestate". Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 21 ss.

511

Sul dominio di Ezzelino III Da Romano (1239-1259) si veda VARANINI G.M., Istituzioni, società e

politica nel Veneto dal comune alla signoria (secolo XIII-1329), in "Il Veneto nel medioevo. Dai comuni

cittadini al predominio scaligero nella Marca", a cura di A. Castagnetti e G.M. Varanini, Verona, 1991, p. 274. Sugli "anni di piombo del dominio ezzeliniano" si veda nello stesso volume il prezioso contributo DE SANDRE GASPARINI GIUSEPPINA, Istituzioni e vita religiosa delle Chiese venete tra XII e XIV secolo. - Questo l'inizio del ritratto tracciato da Egidio Rossini: "Il 27 settembre 1259, carico di scomuniche e della maledizione delle genti, all'età di sessantacinque anni e cinque mesi, fieramente cessava di vivere nel castello di Soncino Ezzelino III da Romano, considerato da ogni buon cristiano il figlio del diavolo". ROSSINI EGIDIO, Ceti urbani: terra e proprietà fondiaria nel basso medioevo, in "Uomini e civiltà agraria in territorio veronese, I, Secoli IX-XVII", a cura di Giorgio Borelli, Verona, B.P.VR., 1982, p. 78.

da 80 componenti, del periodo visconteo, lasciati vivere ma poco autorevoli o meglio dimenticati per dare spazio ad un «notabile e solenne consiglio» alle dirette dipendenze - come ho già ricordato - di Gian Galeazzo Visconti. Nel ricordo dei 15 e degli 80 d'età viscontea più che una giustificazione per la riduzione dei consiglieri, scesi con Venezia su proposta di Verona a 12 e 50, è da vedere una presa di posizione favorevole all'avviata evoluzione in senso aristocratico degli organi legislativi locali sotto la presidenza veneziana del podestà e del capitano. Sul consiglio dei XII e L

avrò modo di tornare più avanti512.

4.7.5 Uffici di nomina consiliare

Il cap. 67° elenca gli uffici, mettendo in risalto che sono tutti occupati da persone elette in

consiglio maggiore (dei XII e L) ogni sei mesi “ad brevia”513. “Ad brevia” è un'espressione

ricorrente, e corrisponde al nostro “in modi brevi” o “brevemente”. Trova applicazione quando si indichi ad esempio solo il nome del candidato da eleggere. Negli statuti si incontra anche l'espressione «breve nigrum», che vuol dire essere bocciato, per cui il candidato non può essere

riproposto per un intero anno514. L'età minima per gli aspiranti agli uffici comunali era fissata in

vent'anni. Gli uffici di nomina consiliare indicati nel cap. 67° sono moltissimi e ripetitivi di figure già viste o sulle quali avrò occasione di tornare. Accenno pertanto solo a qualche posizione ad iniziare dallo stuolo di notai mandati in supporto dei vari tribunali civili e penali della città. 6 notai

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