IL GOVERNO LOCALE
6.4. In caso di permanenza sotto gli Imperial
Verona entrava nell'orbita austriaca all'indomani di Agnadello (1509), rimanendovi fino al 1517. Nel 1514 il consiglio comunale di Verona si rese protagonista di un tentativo di normalizzazione fondato sull'ipotesi che Verona sarebbe definitivamente rimasta legata all'Impero. La mossa consiliare si giustificava con la situazione politico-militare favorevole a Massimiliano d'Asburgo, pur rimanendo critico lo stato di guerra intorno a Verona, dato che Venezia non dava tregua all'impero asburgico e ai suoi alleati. Il partito filotedesco che dominava nel consiglio comunale scaligero credette comunque opportuno dedicare una lunga seduta - quella del 23 marzo 1514 - alla discussione e votazione di una serie di “suppliche” e di “grazie” da presentare all'imperatore, di cui evidentemente nessuno riusciva a prevedere la non più lontana estromissione dal Veneto. La seduta produsse preliminarmente la designazione di tre ambasciatori incaricati di
deporre personalmente le suppliche ai piedi di Sua Maestà Cesarea650, e quindi l'approvazione di 28
mozioni.
In cima alle richieste veronesi c'è l'integrità territoriale della provincia, all'atto della supplica ancora percorsa da eserciti e bande isolate, e quella giurisdizionale. Si chiede infatti che «omnia membra civitatis Verone non possint separari et separata redintegrentur»; e che tutti gli uffici della città e del distretto - eccettuati la podestaria e i tribunali di “mero e misto imperio” - dovessero essere restituiti alla gestione di cittadini veronesi che «cum civitate subeunt onera et factiones». Dal punto di vista territoriale e giurisdizionale per Verona il passaggio all'Austria rappresenta forse l'ultima occasione per riappropriarsi di territori e poteri che le sono stati sottratti almeno in parte. La città avanza infatti precise rivendicazioni su aree a “statuto speciale” come Legnago, Cologna Veneta, Soave e Peschiera, ma anche su comuni come Lonigo e la Val Lagarina.
Si scende quindi ad un elenco di diritti e giurisdizioni che nella loro genericità risultano onnicomprensivi («iura, honores, mercatus, iurisditiones, decimae, datia, molendina»), per passare poi agli statuti comunali e della casa dei mercanti. Devono complessivamente uscire confermati tutti i privilegi goduti sotto la dominazione veneta. Per le decisioni adottate dal consiglio comunale di Verona non dovrà essere richiesta l'approvazione imperiale, ma più semplicemente che le stesse siano votate alla presenza di un ‘rappresentante’ dell'imperatore e quindi di una figura - non ancora indentificata con un nome nuovo - che subentri al podestà veneziano nella sola funzione di raccordo
tra il potere centrale e quello locale651. Per tutto il resto le competenze un tempo attribuite al podestà
veneziano passerebbero ad un podestà veronese, nominato dal Luogotenente imperiale scegliendo
fra una terna di candidati proposti dalla città652. Riservate a veronesi sarebbero anche le cariche di
podestà previste per i centri di Cologna, Lonigo, Legnago e Soave, che rimangono subordinati a Verona nel campo giudiziario. Le loro sentenze tanto nel civile che nel penale vengono sottoposte al giudizio d'appello del podestà di Verona. Nel penale il podestà veronese opera «cum suis vicario,
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Il vicario durava in carica un anno e percepiva un salario mensile di lire 90 veronesi. Sui vicari si veda VARANINI G.M., Il distretto veronese nel Quattrocento. Vicariati del comune di Verona e vicariati privati, o.c., p. 72 ss.
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Gli eletti risultarono Giovanni Filippi ("de maiori gradu"), Leonardo Cipolla ("de doctoribus"), Leonardo Da Lisca ("de laicis"). La loro missione viene così sintetizzata: "Ad Sacram Caesaris Maiestatem humiliter supplicaturi concessionem et confirmationem dictarum supplicationum".
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Al momento a rappresentare l'autorità imperiale si trova in Verona un"luogotenente"
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Il podestà designato dal consiglio comunale doveva avere almeno 40 anni, essere 'prestante' per dignità, 'idoneo' "ad ipsam praeturam" e fedele. Sarebbe durato in carica un anno percependo il salario complessivo di 600 ducati.
iudicibus et Curia Communis Veronae tam in tortura habenda quam in iudicando, servata forma Statutorum».
Di grande rilievo sono le richieste sottoposte all'imperatore Massimiliano dal consiglio di Verona in relazione alla nomina della ‘curia’ podestarile. Il podestà doveva assumere a proprie spese un vicario, un giudice penale (“maleficiorum”), due giudici civili, un conestabile, e due “milites socios”, i quali - a maggiore garanzia d'imparzialità - dovevano essere «forenses et Imperij
fideles»653. Nella proposta del 1514 si prevedeva comunque anche l'elezione di “syndicatores”
nominati dalla città per il controllo dell'attività del podestà, del suo vicario e dei suoi giudici ed ufficiali.
Un altro settore nevralgico dei rapporti centro-periferia è quello fiscale. Verona in questo suo progetto del 23 marzo 1514 supplica per «soddisfazione della Città e di tutto il popolo veronese» che i dazi del macinato, delle porte, della carne e qualche altro, che si era cessato di riscuotere dal momento della “spontanea” dedizione all'imperatore (1509), non vengano riattivati. Per i rimanenti si rimette alle decisioni dell'imperatore («pro suo arbitratu»). Una loro reintroduzione resta comunque subordinata alla fine della guerra.
Per la quiete e il pacifico stato della città si chiede che rimangano confermate («in suo robore») tutte le vendite, le alienazioni, le locazioni perpetue e qualsiasi contratto stipulato prima del cambiamento di regime politico e quindi prima del trapasso da Venezia a Vienna. Con tale preoccupazione il consiglio sembra non voler dimenticare l'importante operazione finanziaria compiuta tra il 1406 e il 1417 dalla Repubblica Veneta con la vendita delle proprietà e diritti provenienti dalle cessate “Fattorie” scaligera, viscontea e carrarese.
La lista delle situazioni alle quali il consiglio accenna con proprie richieste tocca tutta una serie di realtà particolari e slegate tra loro. Seguendo l'elenco ricordo le principali. In testa incontriamo l'esenzione dall'obbligo di comperare il sale da parte dei cittadini e dei distrettuali veronesi. Ci si occupa poi di vescovi e prelati per i quali ci si pronuncia in favore dell'obbligo di
residenza nei “benefici” di titolarità; quindi di ebrei che vanno espulsi, se “fenerantes”654. È preso in
considerazione anche l'affitto delle “garzarie”, che si vuole «nunc et futurum» a favore di Verona «a sollievo delle inevitabili spese quotidiane».
Nonostante privilegi ed esenzioni, tutti i cittadini, a qualsiasi estimo appartengano, e i distrettuali, devono contribuire a mantenere efficienti gli argini e a riparare le rotte dell'Adige «iuxta taxam et consuetudinem». Parallelamente si deve garantire piena libertà di rifornimento del legname da impiegare per riparare argini e rotte dell'Adige, andandone a fare acquisti nell'area trentino- tirolese.
Seguono due richieste molto dissimili l'una dall'altra. La prima chiede che i beni e i prestiti veronesi bloccati in Venezia siano garantiti e soddisfatti con quelli veneziani esistenti in Verona. Si chiede con ciò di sanare una situazione legata all'emergenza bellica ed in quanto tale destinata ed esaurirsi con la stessa. L'altra richiesta, ove venisse accolta, avrebbe straordinarie e benefiche ripercussioni nel tempo. Si vorrebbe, infatti, che i cittadini veronesi fossero sollevati dall'obbligo di ospitare truppe nelle loro case. Alle spalle di tale esigenza ci sono secoli di inenarrabili costi finanziari, di disagi, di sofferenze e di dolori che nessuno ci ha mai raccontato e che si sarebbero in realtà rinnovati nell'età moderna, ben oltre Massimiliano d'Asburgo, per arrivare ai francesi di Napoleone e alle Pasque Veronesi dell'aprile 1797.
Altri passaggi su cui il consiglio si sofferma riguardano la figura del capitano del lago che deve tornare di nomina consiliare, le garanzie annonarie e il diritto di battere moneta. Il Cipolla non
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Ovviamente tutti costoro nell'istruire il processo e nel giudicare dovevano procedere "secundum formam juris et statutorum communis Veronae".
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Tutte le cause "contentiose" e le "executiones" erano da trattarsi e da farsi "in palatio Communis Verone ad tribunalia consueta et non in cancelleria nec in Camera Verone nec alibi et si secus factum fuerit sit inritum et inane".
accenna a questa proposta, ma raccoglie la voce, mettendola in dubbio, che Massimiliano abbia ristabilito la zecca e vi abbia fatto coniare una moneta con il logo «Verona civitas metropolis».
6.5. “Verona civitas metropolis”
Le più interessanti ed innovative «supplicationes et gratiae» deliberate nella seduta del 13 marzo 1514 dal consiglio comunale di Verona e sottoposte a Massimiliano d'Asburgo si incontrano al numero 27 e 28 dell'elenco di richieste. La prima ricorda la 'bolla' di papa Benedetto XII che concede a Verona lo «studium generale» «in iure canonico et civili, in artibus et medecina, cum auctoritate legendi, interpretandi, doctorandi et cum omnibus et singulis privilegiis, immunitatibus... per summos Pontifices et Caesares precessores Maiestatis vestrae concessis aliis studiis qualibus Italiae, maxime bononie, padue, papie, et similibus que hic pro expressis habeantur ac si specialiter
et expresse declarata forent»655.
Nel 1514 il consiglio comunale chiedeva dunque a Massimiliano che Verona diventasse sede universitaria con gli stessi privilegi goduti da città come Bologna, Padova e Pavia, ma anche
capitale giudiziaria alla quale avrebbero dovuto far capo tutti i territori italiani inglobati nell'Impero.
Si parla, infatti, di un «parlamentum et regimen» da erigere in Italia, cui devolvere gli appelli che dovessero spettare all'autorità “augustale” tanto nelle cause civili che in quelle penali, provenienti da ciascuna città italiana assoggettata all'Austria. Al 23 marzo 1514 si supplica dunque che il «parlamentum Italiae» sia costituito a Verona e si ricorda che un oratore veronese già era stato mandato a questo scopo presso l'imperatore, il quale aveva dato un «responsum gratiosum». Si chiede poi che quando sarà decretato tale “parlamento”, vi siano assegnati due giudici scelti nel collegio degli avvocati di Verona da mutare «quolibet biennio»; ugualmente veronesi dovrebbero
essere gli scrivani addetti alla cancelleria e due notai di nomina consiliare656.
Alle richieste del consiglio cittadino, deliberate il 23 marzo 1514, l'imperatore molto probabilmente rispose con la lettera del 27 settembre 1514, nella quale però si impegnava solo nella conservazione dei «privilegia... et statuta istius fidelissimae Civitatis» senza accennare al «parlamentum Italiae». Invitava però i «magnifici spectabiles homines fideles dilecti» del consiglio comunale a rivolgersi al conte Cariati, suo governatore in Verona, che li avrebbe più ampiamente (“latius”) informati.
Gli impegni dell'imperatore Massimiliano, che prometteva di fare di Verona la capitale politico-giudiziaria dell'Italia asburgica, vanno visti alla luce di quell'offensiva propagandistica nella quale si era impegnato già all'indomani di Agnadello, inondando la Terraferma veneta e la stessa Venezia di appelli e proclami volti a provocare una rivolta popolare contro il potere costituito o quanto meno a spaccare il ceto dirigente - diviso in nobili vecchi e nobili nuovi - per ridurne l'efficacia decisionale e quindi operativa. Massimiliano per rallentare la resistenza e arrivare più celermente alla pace, puntava su quella porzione di veneziani, genericamente indicati come vecchia nobiltà, i quali, memori delle buone relazioni avute nel passato con l'Impero, avrebbero più facilmente rinunciato ad una presenza significativa nella Terraferma, per rilanciare magari le attività commerciali e marittime. Non infondate erano anche le speranze coltivate da Massimiliano di una ribellione popolare contro il governo oligarchico dal quale rimaneva esclusa una gran parte della popolazione della capitale veneta. Tra i proclami di Massimiliano si ricordano le copie a stampa trovate in vari luoghi della città lagunare e persino ai piedi degli altari veneziani, il 15 aprile 1510,
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Papa Benedetto XII aveva concesso dalla sua residenza in Avignone nel 1339 a Mastino II con il vicariato di Santa Chiesa "vacante imperio" i privilegi universitari. Sia il capitolare d'Olona dell'825, che prevedeva una scuola superiore in Verona, sia la bolla che parlava di uno "studium generale" non ebbero - come sappiamo - alcun seguito. Vedi VECCHIATO LANFRANCO, Gli studi universitari nella tradizione
culturale veronese, Presentazione di Gino Barbieri, Verona, Palazzo Giuliari, 1972.
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VECCHIATO LANFRANCO, Massimiliano I d'Asburgo e il Parlamentum Italiae, in "Nova Historia", n. 5, 25 aprile 1950, pag. 189 ss.
nelle quali si fa una dura requisitoria contro la nuova nobiltà, invitando la vecchia ad insorgere. Massimiliano vi dichiara di aver preso le armi per fiaccare la superbia della nuova nobiltà e prospetta ai veneziani un avvenire di «magnificenza e di gloria» soltanto in una Venezia divenuta
«città libera dell'Impero»657. Invece il 1 agosto 1511 Massimiliano lancia da Innsbruck un appello
solenne non più alla nobiltà (vecchia o nuova), ma al popolo di Venezia, compiangendolo per l'antica servitù e per la tirannide «de li chiamati Zentilhomini et Signorezanti de ditta Cità de Venezia», ed invitandolo ad insorgere. L'imperatore asburgico ribadisce di aver preso le armi proprio per liberare il popolo veneziano dall'oppressione dei signori e che non desisterà dalla guerra prima di aver conseguito lo scopo. Promette tuttavia che quando a lui si arrenderanno città, castelli e ville del dominio della signoria, i beni appartenenti al popolo saranno salvaguardati dalla confisca. Infine proprio ai popolari promette uffici e la stessa partecipazione al governo della Repubblica. Naturalmente nessuno rispose all'appello eversivo dell'imperatore austriaco, né la nobiltà vecchia né i popolani.