• Non ci sono risultati.

LA PRIMA ETA' VENEZIANA TRA POESIA E STORIA

3.1. Soddisfazione per l'acquisto di Verona

Venezia conquistata la Terraferma - lo ha recentemente ribadito anche Giuseppe Gullino - dimostrò per alcuni sporadici ed isolati indizi, la volontà di pensare ad una politica di integrazione tra Dominante e città suddite. Nel 1406 il governo veneziano decretò che i cittadini di Padova si sarebbero dovuti considerare veneziani “de intus”; ugualmente si deliberò per altre città in nome del principio di una comune cittadinanza. Nel 1411 Antonio Contarini, savio del consiglio, propose di affidare a 18 nobili di Zara, che si era ribellata - come gesto di conciliazione e di buona volontà - il governo di altrettante città veneziane dal Mincio all'Albania. Tra il 1406 e il 1417 i beni della Fattoria scaligera messi in vendita, non furono accaparrati dai nobili veneziani, pur disponendo

138

Il consiglio allargato dei Dodici (XII) e dei Cinquanta (L) in seduta congiunta deliberava sulla vita amministrativa della città. Il consiglio dei XII - e quindi un consiglio ristretto - sorvegliava sull'esecuzione delle delibere prese.

questi di quantità illimitate di capitali, e le principali operazioni di alienazione si realizzarono in

accordo con i cittadini veronesi139.

Nonostante tali cautele ed aperture, le ragioni che avevano fatto scattare l'espansione in Terraferma obbedivano - e non poteva essere altrimenti - ad una logica di tornaconto municipale, e quindi di esclusivo vantaggio di Venezia. A che cosa puntasse Venezia allargandosi verso Occidente, è noto: controllo delle vie commerciali, garanzia del libero afflusso in laguna di grani e legname, possibilità di regolare il regime idrico, impedire la formazione di un forte stato regionale

proteso verso la Laguna, offrire nuovi sbocchi all'emporio realtino140.

Accanto a questi obiettivi frutto di pragmatismo economico-commerciale, si è voluto che ne esistessero altri più nobili, di natura ideale, e si è andati a cercarli in una continuità culturale con il passato. L'espansione veneziana nella Terraferma - ci ricorda John Law - rappresentava per qualche commentatore contemporaneo il recupero di Venezia romana. Questa poteva essere l'idea di un

Gasparo Contarini, ma non certo l'opinione del Senato, che onorando il 2 giugno 1428 i veronesi

con l'appellativo di “veneti propri” si riferiva più semplicemente alla loro lealtà nella recente guerra

viscontea141.

In ogni caso l'acquisto di Verona viene valutato con soddisfazione non solo in sede politica, ma anche negli ambienti culturali, i quali utilizzando le forme espressive del trionfante Umanesimo esprimono apprezzamento per i prodotti della terra veronese, ed insieme consapevolezza dell'importanza che l'Adige e il Garda rivestono per il commercio di transito veneziano. Saggi di tale coinvolgimento degli intellettuali dell'epoca è facilmente rinvenibile nelle opere veneziane e veronesi.

Il Sabellico - storico di Venezia - nella seconda decade delle sue “Istorie” si sofferma sulla dedizione di Verona, insistendo non tanto sulla cronologia degli eventi politico-militari, quanto

sull'appagata soddisfazione dei Veneziani per «l'acquisto di così ricca città»142. Questa la sua

testimonianza sull'opinione che si ha di Verona agli inizi del Quattrocento in Italia: «E fu quella

vittoria tanto grata ai Senatori, che avanzò tutte le altre di quel tempo: e non senza cagione,

perciocchè... Verona è tra tutte le altre città della Lombardia143 nobilissima, sì di nome, come per la

qualità del suo bellissimo sito; ...perciocchè oltra i campi, che sono attorno la Città abbondanti di formento, d'oglio, di vino, di frutti e pietre nobilissime, di fiumi, acque e laghi; tra i quali è quel di

Garda, di tutti gli altri, che sono in Italia, il più vago e più piacevole; e ha molte fontane di acque

salutifere, le quali si possono giudicare già essere state a uso de' bagni, perchè sono calde...; le quali

cose essendo manifeste a' Viniziani, tanto lor fu più grata la vittoria»144.

139

Scopo della vendita dei beni della Fattoria scaligera fu quello di ricavare il maggiore vantaggio dalla conquista senza ferire direttamente i Veronesi. La liquidazione di quei beni si risolse in una delle più grosse operazioni finanziarie condotte a termine dai Veneziani, valutata dal Sancassani in ducati 238.386. SANCASSANI GIULIO, I beni della "Fattoria scaligera" e la loro liquidazione ad opera della Repubblica

Veneta, 1406-1417, in "Nova Historia", rivista diretta da Lanfranco Vecchiato, Anno XII, 1, Verona, 1960,

pp. 100-157.

140

GULLINO GIUSEPPE, La politica veneziana di espansione in terraferma, in "Il primo dominio veneziano a Verona (1405-1509)", Verona, Accademia di Agricoltura, 1991, pp. 7-16.

141

LAW JOHN E., Verona e il dominio veneziano: gli inizi, in "Il primo dominio veneziano a Verona (1405- 1509), Verona, Accademia di Agricoltura, 1991, p. 17.

142

ZAGATA PIER, Cronica (1375-1454), in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol 2° , Verona, 1747, pp. 46-47. - Su Marcantonio Sabellico torno in questo lavoro al par. 3.11. "Un

veneziano entusiasta di Verona" del cap. III "La prima età veneziana tra poesia e storia".

143

Il nome Lombardia è qui adoperato per indicare quasi tutta l'Italia settentrionale. Circa il significato del termine 'Lombardia' negli scrittori del Quattro e Cinquecento, si veda CERVELLI I., Machiavelli e la crisi

dello stato veneziano, Napoli, 1974, pp. 231-34.

144

ZAGATA PIER, Cronica (1375-1454), in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol 2° , Verona, 1747, pp. 46-47.

Per meglio capire l'entusiasmo del Sabellico e dei contemporanei converrà uscire dalla metafora bucolica e tenere invece presente anche il fatto che Verona possedeva un fiorente lanificio. Il Dalla Corte, attingendo a cronache di dubbio fondamento, arriva a dire che nel 1220 si sarebbero

fabbricati addirittura 20.000 panni lana145. Il Saraina, lodando il principato di Bartolomeo e

Antonio della Scala e l'attività del lanificio di quegli anni (1375-1387), parla di 6- 7.000 «panni alti

e fini»146. Gli storici moderni giudicano tali cifre eccessive se rapportate alla popolazione veronese. In ogni caso la grande età del lanificio veronese rimase quella scaligera. La successiva decadenza si

misura nei 300 panni prodotti del 1630147. Tra le cause del declino si indica la politica di Venezia

tesa a privilegiare e favorire le proprie produzioni a scapito di quelle di Terraferma148. Tale

deplorevole logica si ripeteva poi a livello di città suddite nei confronti dei centri minori della loro provincia. Un significativo esempio viene proprio da Verona, la quale ottiene nel 1436 dalla Serenissima che Legnago limitasse la sua attività industriale tessile, chiudendo tutti i «tinctoria, fulla, purga, et garzariae et clauderiae». Da quel momento in poi i panni tessuti sarebbero stati

portati per le successive fasi della lavorazione a Verona149. Del risentimento antiveronese

mantenutosi e forse cresciuto nel tempo parla a sufficienza una lapide murata nel 1517 sulla facciata del palazzo municipale con una scritta in cui si ricordava la «liberazione dal giogo veronese». In quell'anno, infatti, Legnago, cessata la dominazione di Massimiliano d'Asburgo che l'aveva legata a Verona, ritornava allo “status quo ante” stabilito da Venezia, che vi mandava un patrizio veneto in qualità di rettore150.

3.2. Reticenze sullo spirito pubblico dei Veronesi

Documenti correlati