LA PRIMA ETA' VENEZIANA TRA POESIA E STORIA
3.9 L'epistolario di Matteo Bosso
Elevato è il numero delle opere minori d'età umanistico-rinascimentale che si potrebbero
prendere in considerazione per illustrare la prima età veneziana227. Tra queste, mi limito ad una
semplice segnalazione di due «Zibaldoni», scritti a Verona nella seconda metà del '400 e composti
di testi in latino e in volgare228. Nell'attività di non pochi scrittori, oscillante tra storia e adulazione,
tra poesia e prosa, tra volgare e lingua latina, come quella dei predetti «zibaldoni», trova infatti spazio anche la celebrazione poetica delle vicende militari della Venezia del Quattrocento. È in questo secolo, infatti, che la Dominante attua la più grande e definitiva espansione in Terraferma, raggiungendo dopo le due guerre contro i Visconti (1423-1433 e 1434-1441) il confine dell'Adda, con l'aggiunta anche di Crema, e conquistando contro gli Estensi di Ferrara il Polesine (pace di Bagnolo, 1484). In quegli anni era facile che i più autorevoli poeti si dessero 'appuntamento' per cantare le imprese vittoriose della Serenissima. È noto, ad esempio, che per la presa da parte dei Veneziani di Ficarolo (piccolo, ma importante centro sulla sinistra del Po, chiave militare per l'acquisto del Polesine) non mancarono le lodi poetiche dei veronesi Agostino Capello, Giacomo
Giuliari, Dante III Alighieri229.
Nella folta schiera degli scrittori veronesi che in vario modo possono interessare la storiografia del '400, un giusto rilievo merita però Matteo Bosso, canonico regolare lateranense, la
cui vita si compie tra il 1427 e il 1502230. Il suo epistolario ha lasciato una ricca eredità
d'informazioni sulla società del tempo seppure di carattere estemporaneo231. Egli fa eco alle
implorazioni di soccorso di oratori sacri e profani - tra gli altri Francesco Filelfo e Timoteo Maffei - per la liberazione del Medio Oriente dai Turchi; agli appelli d'aiuto dei Cretesi contro gli infedeli; accenna alle deliberazioni del Senato veneto e agli inviti dell'imperatore Federico III per la crociata
Il Soranzo si occupa di quella parte soltanto che cronologicamente concorda con i contenuti della cronaca- supplemento tratta dal codice londinese per gli anni 1439-1445. Gli accenni cronistorici sono precisi per cui si può arguire - sostiene il Soranzo - che l'anonimo sia un contemporaneo degli avvenimenti che narra con cura e minuzia, in un testo volgare tipicamente popolare. Questa cronaca - detta di Verona - si trova nella Biblioteca Civica di Padova e propriamente ha un carattere universale secondo la cronistoria in uso nel Medioevo. Termina com l'anno 1479. SORANZO GIOVANNI, Appendice alla Cronaca di Anonimo
Veronese, in SORANZO G., Supplemento alla Cronaca di Anonimo Veronese (1445-1488), in "Nova
Historia", rivista diretta da Lanfranco Vecchiato, Verona, 1955.
227
Un prezioso elenco ci è offerto dal catalogo del Biadego. BIADEGO G., Catalogo descrittivo dei
manoscritti della Biblioteca comunale di Verona, o.c.
228
Uno è di autore ignoto, l'altro viene attribuito a Bartolomeo dal Muronovo.
229
AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., p. 220-222, 224. - Certamente pensava di accattivarsi la protezione della Dominante Nicola Guanterio, quando faceva oggetto della sua derisione Ercole d'Este in guerra contro Venezia, e così pure Paolo Ramusio, riminese, "Jurisconsul". La miscellanea del codice 1366 della Biblioteca Civica di Verona contiene non solo le poesie di Guanterio e Ramusio, ma anche quelle di Giacomo Giuliari, Agostino Capello e Dante III Alighieri a proposito di Ercole d'Este, oggetto di scherni per le sconfitte subite dai Veneziani. BIADEGO G., Catalogo descrittivo dei
manoscritti della Biblioteca comunale di Verona, o.c., pp. 180-181.
230
Matteo Bosso non fu poeta da poterlo affiancare magari con accomodamenti ai poeti suoi concittadini e tanto meno ad altri poeti contemporanei; però presentandosi l'occasione dimostrò di apprezzare l'impegno poetico. Non fu comunque poeta, nè filosofo. Eppure fu stimato da Pico della Mirandola e dal Poliziano. Quest'ultimo in una lettera a Lorenzo il Magnifico qualificava l'umanista veronese "sanctis moribus,
integerrimaque vita, sed et literis politioribus mire cultus". Esercitò l'oratoria religiosa e si occupò di
argomenti teologici e morali. MAFFEI S., Verona Illustrata, parte II, L'Istoria Letteraria, o.c., p. 93.
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SORANZO G., L'umanista canonico regolare lateranense Matteo Bosso di Verona (1427-1502). I suoi
scritti e il suo epistolario, Padova, 1965. Citato da AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., passim.
(nella dieta di Ratisbona), al Congresso delle potenze cristiane a Mantova nel 1459, convocato da Pio II. Nelle lettere di Matteo Bosso appaiono nomi di alcuni personaggi che nella seconda metà del Quattrocento ebbero grande importanza: Lorenzo de' Medici con l'avo Cosimo e il padre Pietro, Innocenzo III, Alessandro VI, Lodovico e Federico Gonzaga, Ercole I d'Este, il cardinale Giuliano della Rovere e Ludovico il Moro (1480-1499).
Nell'epistolario di Matteo Bosso non mancano riferimenti alla venuta di Carlo VIII in Italia e all'imperatore Massimiliano. Quest'ultimo nei mesi agosto-dicembre 1496 fu in Italia con intenti diplomatici. Sostò in particolare a Vigevano - dove incontrò un legato del papa e gli ambasciatori di
Venezia - poi a Genova e quindi a Livorno232. Ma il Bosso rivolge la lettera, in cui appunto compare
il nome dell'imperatore, al vescovo di Gurk, Raimondo Perrault. In essa auspica la pace in Italia e lo sterminio dei Turchi. Avverte nel contempo il cardinale che senza i Veneziani nulla si può operare,
e pertanto andavano evitati dissapori tra Massimiliano e Venezia233. Il Bosso ebbe sempre pronta la
lode nei confronti di Venezia per la fortunata politica estera e per la libertà, l'ordine e la giustizia che regnavano entro i confini dello stato. Unica nota stonata era - agli occhi del Bosso - la politica fiscale veneziana nei confronti del clero e degli ordini religiosi, da lui detestata.
Il Bosso nel suo epistolario fa un breve cenno anche alla familiarità ch'egli ebbe con il figlio del Guarino, Emanuele, talora suo ospite a S. Leonardo, il convento dei Canonici Lateranensi in Verona. Parla, inoltre, dei suoi rapporti con i giureconsulti veronesi Paolo Andrea Del Bene,
Bernardo Brenzoni, Francesco Bra; con i letterati, pure scaligeri, Antonio Partenio di Lazise234,
Antonio Beccaria, Martino Rizzoni; e con i due veneziani Ermolao Barbaro, il vecchio e il
giovane235. Del vescovo di Verona Ermolao Barbaro236, il Bosso - che si dichiara convinto della
necessità di una riforma della Chiesa «in capite et in membris» - non tesse le lodi alla maniera degli
232
A fornirci questi particolari è RIZZONI J., Continuazione alla Cronica di Pier Zagata, in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della città di Verona, vol. 2°, Verona, 1747, p. 109.
233
Il Bosso aveva amichevole relazione col Perrault, sovrintendente al cerimoniale pontificio, che condivideva i suoi giudizi sui principali problemi del tempo, in particolare sulla guerra contro il Turco, la pace in Italia e il buon governo della Chiesa.
234
Un profilo dell'umanista si legge in VECCHIATO LANFRANCO, Antonio Partenio di Lazise,
emendatore e commentatore di Catullo (1456-1506), Verona, 1975.
235
Il primo fu vescovo di Verona (1453-1471). Il secondo - suo nipote - giovinetto imparò il greco e il latino a Verona da Matteo Bosso, letterato e filosofo. Ricevette dal papa la nomina a patriarca d'Aquileia, che non potè esercitare perchè Venezia non volle riconoscerlo. Perciò non tornò più in patria, e rimasto in esilio a Roma vi morì di peste nel 1493 all'età di 40 anni. Scrive Arnaldo Ferriguto: "La repubblica rispondeva di non dubitare punto che il Papa, nominando il Barbaro, non avesse voluto far cosa grata allo stato di Venezia; ma che tuttavia non poteva accettare quella nomina, contravvenendo essa a leggi precise ed antiche dello Stato...". Si imponeva perciò "una seconda volta ad Almorò e a Luigi Barbaro di lasciar Roma e di venire immediatamente a Venezia". Almorò Barbaro non si piega e "fu così che questo senatore di Venezia, questo cavaliere di Federico III, questo cardinale d'Innocenzo III e di Alessandro VI, questo nipote di dogi, di condottieri, di viaggiatori, di statisti, morì a Roma, patriarca senza patriarcato" ucciso dalla peste nel 1493. FERRIGUTO ARNALDO, Almorò Barbaro. L'alta cultura del settentrione d'Italia nel '400, i 'sacri
canones' di Roma e le 'sanctissime leze' di Venezia, in "Miscellanea di storia veneta", Venezia, Deputazione
Veneta di Storia Patria, 1922, pp. 362 462, 463, 477.
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La De Sandre così introduce un suo studio sul Barbaro: "Ermolao Barbaro: una figura molto conosciuta sotto il profilo culturale, spesso citata come esempio del cosiddetto 'buon governo' delle Chiese del Dominio da parte di una Venezia anche in questo settore un pò mitizzata, eppure una figura ancora sconosciuta nella funzione che gli fu propria di vescovo; una figura ancora per molti versi contraddittoria, secondo quanto la vicenda veronese sembra dimostrare, con il successo del corteggio di intellettuali da una parte e dall'altra la
rusticitas di Bovolone e Monteforte nell'isolamento dell'ultimo decennio della vita, consumato, come si sa,
in una conflittualità quasi permanente con il consiglio civico". DE SANDRE GASPARINI GIUSEPPINA,
Governo della diocesi e "cura animarum" nei primi anni di episcopato di Ermolao Barbaro vescovo di Verona (1453-1471): prime note, in "Il primo dominio veneziano a Verona (1405-1509), Verona,
Umanisti, che richiamavano miti e bellezze dell'antichità, ma con “oratio soluta” rappresenta il clima spirituale creato dal Barbaro intorno alla curia, dove «re sacra primum ab omnibus...perfecta, reliquus dies musicis, cantibus, et liberalibus ludis atque iocis... ad summam iucunditatem... datur»237.