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LINEE DI POLITICA FISCALE: L'IMPOSIZIONE INDIRETTA

9.1. Economia e Fisco

Venezia corona la conquista militare della Terraferma definendo le modalità d'ingresso e di permanenza entro lo stato veneto di ciascuna delle città assoggettate. Il principio ispiratore è quello

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A.S.VR., Archivio Arte Speziali, reg. 1, pp. 182-183.- Ricca di informazioni rimane la pubblicazione curata dalla camera di commercio di Verona, alla quale rimandiamo per una panoramica che arrivi dalla casa dei mercanti fino ai nostri giorni. Cfr. VASSALINI BARTOLOMEO-REBONATO ETTORE, La casa dei

mercanti di Verona. Suoi ordini e vicende, Verona, Camera di Commercio, 1979. Di un qualche interesse

può risultare anche ROSSINI EGIDIO-MAZZAOUI FERNELL MAUREEN, La lana come materia prima

nel Veneto sud-occidentale (secc. XIII-XV), Estratto da "La lana come materia prima", (Atti della 'prima

settimana di studio', Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini", Prato, 1969), Firenze, Olschki, 1974, pp. 185-201.

di trasformare la conquista ‘manu militari’ in una spontanea “dedizione”, frutto di una trattativa ‘inter pares’. In virtù di tale finzione la città figura essersi assoggettata ‘spontaneamente’ alla Repubblica di Venezia in cambio di una serie di privilegi, consacrati poi nella “bolla d'oro” di

Dedizione e successivamente recepiti negli statuti comunali, riformulati nell'ottica della nuova realtà

statuale entro la quale la provincia di recente conquista è confluita. I privilegi, che anche Verona, come altre città, crede di aver strappato a Venezia, sono di natura politico-amministrativa ed economico-fiscale. Nella bolla d'oro, contenente i privilegi di dedizione, risiede il peccato d'origine dello stato veneziano, impedito di crescere e modernizzarsi proprio a causa di quegli accordi quattrocenteschi ai quali le città rimarranno nei secoli successivi strettamente ancorate, in una rigida

difesa delle proprie autonomie868. Simmetricamente anche la capitale si è, però, ritagliata una

situazione di privilegio cui rimane incrollabilmente legata. In prima linea vanno indicate le prerogative politiche riservate al solo patriziato veneziano. Accanto al sistema oligarchico c'è però anche la posizione economica. Lo stato veneto vivrà l'intera sua esistenza mantenendo pressochè inalterato il dualismo originario. La capitale conserverà una posizione dominante non solo riservandosi l'esclusiva del potere politico, ma anche il monopolio di molte attività manifatturiere e la centralità del sistema commerciale imperniato sullo scalo veneziano.

Eventuali eccezioni, le quali scatenano in ogni caso l'immancabile opposizione del mondo imprenditoriale veneziano, vengono accordate per calcolo politico, ma anche fiscale. Una significativa esemplificazione di tale logica ci viene da uno dei settori produttivi più importanti,

quello della seta869. Verona, impegnata intorno alla metà del Cinquecento a strappare a Venezia

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Senza contare che viene recepito e perpetuato un sistema daziario nato e sviluppatosi quando la realtà politico-amministrativa italiana era frantumata in tanti comuni o signorie separate e contrapposte l'una all'altra. E quindi ciascuna entità anche minima aveva introdotto una propria rete di esazioni fiscali per potersi reggere finanziariamente, destinata però a sopravvivere come una maledizione biblica fino alla caduta di Venezia. I riformatori veneziani settecenteschi chiamati a modernizzare lo stato si troveranno perciò alle prese con 151 dazi operanti nella Terraferma, di cui riconoscono le lontani origini, così evocate: "Aggiungasi che cadauno delli 151 Dazj ha l'epoca di sua instituzione antecedente al Dominio della

Repubblica Serenissima, quando le città della Terra Ferma formavano tante Repubbliche o Governi separati un dall'altro...; ragione questa centrale e massima perchè un sistema daziale forse ben adattato alle circostanze d'allora è incompatibile con le circostanze presenti, nelle quali sono le città della Terra Ferma in una reciprocità d'interesse. Conveniva allora che una merce qualunque o manifattura, staccandosi

da un Territorio per passar a consumi d'un altro, pagasse l'uscita al Territorio d'onde parte, il transito a tutti quelli per dove passa, e l'ingresso o consumo dove si ferma (così il transito a tutti quelli per dove passa andando in estero) perchè cadaun Territorio era separato nella finanza dall'altro". Ma una simile frammentazione è inaccettabile all'interno di uno stato unitario qual è la Repubblica di Venezia. La citazione è tolta da una scrittura frutto di uno studio congiunto ('conferenza') tra savi alla mercanzia e savi cassieri. Conferenza 2 maggio 1775. A.S.VE., Inquisitori di Stato, b. 934. I quattro savi alla mercanzia, firmatari, sono: Domenico Michiel, Antonio Capello, Gabriele Marcello, Federico Foscari. Due i savi cassieri, che firmano la scrittura, Francesco Pesaro e Francesco Donà.

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In una breve memoria inedita, estratta da un suo lavoro più consistente, Marco Pasa illustra il trapasso dal lanificio al setificio con queste parole: "Alla crisi del lanificio corrisponde fortunatamente un contemporaneo sviluppo della sericoltura specie dopo che la conquista mussulmana di Costantinopoli ad opera di Maometto II nel 1453 costringe i mercanti e gli imprenditori veneti ad avviare una diffusa coltivazione del gelso ed a sviluppare una produzione sericola su vasta scala nella Terraferma veneta. Superate le iniziali difficoltà l'industria serica conosce nel Veronese un rapido successo ed accende rosee speranze: bastano pochi anni perchè la sericoltura veronese si sviluppi e consolidi; già dal 1538 l'attività appare strutturata nelle tre arti dei 'balladori', degli 'incartadori' e dei 'filatori', talora contrapposte da accesi contrasti d'interesse. Il 10 febbraio 1537 viene presentata nel Consiglio dei XII e L della Magnifica Città di Verona una supplica volta ad ottenere di poter non solo produrre seta grezza, ma anche di 'pannos tantum

nigros texere et vendere in hac Civitate'. Nella richiesta si fa presente che negli anni passati l'industria

tessile veronese solo 'ob pannorum lanae mercatura pollebat', mentre ora, 'Dei gratia et Dominii nostri

l'autorizzazione alla produzione di “velluti neri”, sostiene la sua richiesta segnalando non tanto i propri vantaggi occupazionali, quanto invece il tornaconto fiscale di cui le finanze veneziane

beneficerebbero870. Tale prospettiva riesce più persuasiva di ogni altro calcolo871. Nel caso specifico

dei velluti neri - ed in genere in tutti i conflitti centro-periferia - anche l'opposizione veneziana è però giocata utilizzando le stesse argomentazioni, come ci testimonia questo passaggio: «Questi

sono li modi di ruinar l'arte nostra (di Venezia) et infinitamente dannificar tutta la città, la qual è bella per il numeroso popolo et per il concorso de forastieri che vengano a comprar panni di seda per il loro vestire et di sue donne. Da questo ne risulta grandissimo beneficio delli suoi Datij, et noi

havemo il modo di poter pagar le angarie, et star alla spesa, anchor che siano grandissime»872.

Contrapposizione analoga tra gli interessi della Terraferma e quelli della Capitale si registrano nel '700 in tema di produzione di “fustagni”. Venezia ne rivendica l'esclusiva, entrando in rotta di collisione con Verona, la quale avrebbe dalla sua anche una sentenza del “Pien Collegio” del 21 marzo 1712. In essa si stabiliva che «non possi esser impedito alli poveri Tesseri di Verona il poter

liberamente fabricare, et all'Arti de Marzeri e Baroceri il poter vender Pignolati»873. Per l'arte dei

tessitori di fustagni di Venezia le città della Terraferma - ed in particolare Verona - producono

fustagni in violazione di precise norme di legge che ne fanno espresso divieto - in particolare una

del 1641 - «col mutarli solamente il nome, chiamandoli Pignolati»874.

Cfr. PASA MARCO, Per una storia del lanificio e del setificio veronesi in epoca veneta (secoli XV-XVII), in FRATTAROLI PAOLA-ERICANI GIULIANA (a cura di), Tessuti nel Veneto. Venezia e la Terraferma, Verona, bpvr, 1993.

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Le rese del dazio seta e gallette vengono così indicato per gli anni di metà secolo: 1543 ducati 5.040 1544 " 2.930 1545 " 4.230 1546 " 4.710 1547 " 4.110 1548 " 5.220 1549 " 5.340 A.S.VR., Archivio Comune, b. 152/3.

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Il potenziamento del comparto della seta, con la lavorazione anche dei velluti neri, è voluto per rimediare al declino del lanificio veronese già evidente a metà Cinquecento (1549). D'altronde già a metà Cinquecento si denuncia nella Repubblica di Venezia l'invasione di prodotti serici stranieri, vincenti rispetto a quelli veneziani dal punto di vista della qualità e del prezzo. Tra le ragioni dell'opposizione dei veneziani all'iniziativa di Verona c'è anche il timore che operai di Venezia vengano attratti nella città scaligera da salari più elevati. Pronta la puntualizzazione di Verona la quale non ha incertezze nell'affermare che "non

mancaranno ai nostri mercatanti textori per via di Mantua, Milano, Genova, Modena, et Rezzo, Roveredo et altri infiniti lochi". Venezia concede l'autorizzazione nel 1554. Le regole dell'arte dei filatori di seta veronesi

vengono stese nel 1556 e non molto tempo dopo riscritte per migliorarne l'aderenza alla realtà. Queste le ragioni della nuova legislazione: "...alcuni di essi Capituli sono oscuri, altri defettivi et altri superflui per li accidenti occorsi, il che genera confusione nel governo della predetta Arte, la quale per il molto progresso che ha fatto per la gran quantità delle sede che si lavorano in questa città, è di grandissima importanza...". A.S.VR., Archivio Comune, b. 152/3.

872

A.S.VR., Archivio Comune, b. 152/2.

873

A.S.VE., Inquisitorato alle Arti, b. 36.

Una relazione settecentesca formula tale giudizio: "Li Fustagni o Pignolati di Verona provedono la Città e Provincia, e molti ne sono spediti in esteri stati. Molto più di questi ed altri lavori di Filo e Bombace verrebbero fabricati, se le continue vessazioni dell'arte Fustagneri di Venezia non fosse il vero ostacolo all'estensione di maggior industria". Ricordo che bombace è il cotone. A.S.VE., V Savi alla Mercanzia.

Prima Serie, b. 454 (Fabbriche privilegiate. Relazioni dei Deputati alle Fabbriche, 1762-1796).

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A.S.VE., Inquisitorato alle Arti, b. 36. Cfr.: "Inventario di tutte le Scritture e Processi esistenti nell'Archivio della Magnifica Casa de' Mercanti di ragione delle Magnifiche Arti Merzari e Barozzeri nell'Anno 1779". In A.S.VR., Camera Fiscale, proc. 288. I 'merzari' sono i "Mercanti di Piazza al minuto e

Se Venezia si difende dalla concorrenza della Terraferma proibendo o limitando al massimo le iniziative imprenditoriali suscettibili di compromettere le proprie esportazioni, la leva fiscale viene invocata anche dalle città suddite a loro volta ansiose di frenare l'invadenza dei prodotti esteri.

Verona come città produttrice è ovviamente interessata ad una razionalizzazione e ad un

complessivo alleggerimento del sistema daziario. Essa non dimentica, però, di essere anche lo scalo più importante dello stato - dopo Venezia - destinato a crescere quando intervenga una liberalizzazione e una ridefinizione dei percorsi cui le merci in entrata nello stato veneto vengono sottoposte. Una maggiore libertà nel movimento delle merci non può che esaltare il ruolo di Verona da sempre una delle due porte d'ingresso - accanto a Venezia - e quindi fondamentale nodo di

transito nell'interscambio con gli altri stati italiani e più in generale con l'Europa875. Verona nutre,

insomma, e coltiva interessi analoghi a quelli di Venezia. Anche la città scaligera è impegnata a difendere la propria produzione mediante un appropriato utilizzo della leva fiscale. Essa però ha anche il suo ‘quadrante Europa’ da salvaguardare e potenziare. Due gli strumenti per intervenire in

tale delicatissimo settore: la Dogana e il Dazio Stadella876.

Verona si colloca un pò come la capitale ombra o meglio come la capitale commerciale e

fiscale del Veneto occidentale, di quella parte quindi che essendo geograficamente lontana dalla Dominante è riuscita a conservare e ad incrementare una sua posizione di rilevanza e di prestigio. Possedere una dogana internazionale e un dazio, come quello della stadella, con ramificazioni estese oltre i confini della provincia di Verona, ha contribuito ad accrescere la caratura della città. Vale la pena di ricordare i ricorrenti tentativi operati dall'autorità politica veneziana, o dai suoi dazieri, per subordinare ogni palpito di vita commerciale alla Serenissima. Con un simile problema sono pesantemente alle prese ancora nel Settecento i Friulani e la provincia di Treviso. Sono loro a ricordarci come nel 1627 il Senato avesse dovuto intervenire per bocciare «l'idea de' Daziari veneti,

che le merci destinate ai mercanti delle città suddite dovessero prima capitar in Venezia, per poi con viaggio retrogrado restituirle in quelle città ove sono dirette»877. Un tentativo di subordinare al

Fontico dei Tedeschi di Venezia le merci di provenienza estera e dirette nelle città di Treviso, Bassano e Feltre si era registrato nel 1696 e si ripete nel 1709. In quest'ultimo anno si offre quindi

l'occasione per ripercorrere in rapida sequenza l'orientamento politico veneziano, emerso fin dagli inizi dell'età moderna circa i rapporti tra città suddite della Terraferma e lo scalo marittimo- commerciale della Serenissima, sintetizzabile in questa affermazione: «Siccome fu costante

massima del Governo doversi le città suddite della Terra Ferma provedere dalla Dominante delle mercantie maritime, e solite navigarsi con bastimenti procedenti dai mari del Levante, così

nell'anno 1503 divenne l'Ecc.mo Senato nella deliberatione 30 giugno con la quale vietava alle città

ingrosso". Si veda, inoltre, nel presente capitolo, il par. 18 ("Dazi e corporazioni") sezione a) ("Arte

Merzari, o sieno Mercanti di piazza al minuto e ingrosso").

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E' ovvio che la centralità commerciale si difende e potenzia anche sfruttando al meglio le vie di comunicazione disponibili ed operando per dotarsene di altre. Di vie di comunicazione parlerò più avanti accennando a qualche situazione specifica. Di progetti rimasti tali ne sono stati però elaborati nei secoli più d'uno. Al 1623 un Gabriele Bertazzolo - mantovano - presenta un piano per collegare Venezia a Riva del

Garda attraverso l'Adige e il Mincio. A.S.VE., Camera dei Confini, b. 29. - Grande risonanza ebbe pure il

progetto settecentesco del P. Vincenzo Coronelli di collegare l'Adige al Garda. Cfr. A.S.VE., Inquisitori di

Stato, b. 902. - Della seconda metà del '700 è anche il progetto di canale navigabile tra Verona e Bergamo.

A.S.VE., Inquisitori di Stato, b. 902.

876

Il pericolo più grave si profila per Verona nel '700, quando l'Austria scatena un'offensiva industriale e commerciale di grosso respiro mettendo in difficoltà l'intera Repubblica di Venezia, ed in particolare insidiando a Verona il suo ruolo naturale di porta sull'Europa. La città che potrebbe subentrare a Verona è

Mantova. E' la città dei Gonzaga, passata all'Austria nel 1708, ad assurgere nel disegno asburgico a "centro delle merci di Levante e Ponente, e delle germaniche provenienti da Trieste per Goro". Conferenza 2

maggio 1775, (Domenico Michiel, Antonio Capello, Gabriele Marcello, Federico Foscari; Francesco Pesaro e Francesco Donà). A.S.VE., Inquisitori di Stato, b. 934.

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medesime il poter estrahere simili merci maritime dai porti di Genova e Livorno». Tale direttiva venne rispettata per l'intero secolo. Nel primo '600 il dilagare, invece, di merci estere introdotte da

Livorno e Genova, costringe il Senato a rinnovare (25 luglio 1626) la disposizione del 1503. È sul

decreto secentesco che i dazieri del Fontico dei Tedeschi si appigliano, dandone un'interpretazione estensiva, comprendente - a loro parere - anche le merci provenienti dalla Germania. Anche queste, a sentir loro, dovrebbero passare prima dallo scalo veneziano. Il panico e le proteste della Terraferma portano all'interpretazione autentica del 1627. Da Venezia passeranno - chiarisce il Senato veneto - solo le merci trasportate via mare, e non certo quelle introdotte via terra attraverso

le Alpi. Con ciò Verona e il suo dazio sono salvi878.

La tentazione di conservare a Venezia una posizione di egemonia produttiva e commerciale rispetto alle città della Terraferma riaffiorerà periodicamente, invocata da molti veneziani come un diritto irrinunciabile. Sino alla fine della sua esistenza Venezia manterrà comunque uno stretto controllo sulle merci in ingresso nello stato via mare, limitatamente a un certo numero di prodotti sottoposti a un regime di speciale sorveglianza. Un'indicazione delle merci proibite ci è offerta da un elenco dove compaiono tutti i prodotti di cui «è proibita assolutamente l'introduzione a consumo

per la terra e di quelle pure che sono vietate in quanto non abbiano fatta prima la scala della Dominante»879.

Sul finire della sua esistenza Venezia dovrà difendersi anche dal pericolo giallo. «Con viste di ben nazionale», e cioè nel tentativo di salvare un'economia veneziana e veneta irrimediabilmente surclassata dal prodotto estero, tenterà di mettere alla porta almeno i prodotti provenienti dall'Estremo Oriente. Abbiamo allora la promulgazione di un proclama di cui si vieta l'importazione in tutto lo stato (Venezia e la sua Terraferma) delle «porcellane della Cina, Giappone, ed altre parti

dell'Asia, e dell'estere piastrelle di maiolica da camino». Lo stesso provvedimento legislativo

ordina un censimento presso tutti i venditori. Si vogliono conoscere le varietà esistenti presso i loro negozi, ed in ogni caso si precisa che viene concesso un biennio per smaltire le giacenze di magazzino. Passati i due anni ulteriori vendite diventano illegali. E' un occasione per leggere i nomi

dei «bussolari e venditori di estere maioliche»880, e per conoscere che cosa tengano nei loro negozi.

Abbiamo così conferma dell'esistenza di tazzine da caffè di porcellana del tipo proibito (nominata

delle Indie), ma anche di abbondanza di prodotti europei in particolare olandesi e inglesi881.

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