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GLI STATUTI DEL

4.1 Statuti e diritto: l'esperienza preveneziana

Con gli «Statuti» del 1450 Verona riceve ancora una volta - ma sarà l'ultima - una «carta

costituzionale» regolativa della sua vita pubblica e privata. Essa sarà l'ultimo segno di vita

autonoma, giacchè con Napoleone e con l'Austria e poi tanto più nello stato unitario italiano dovrà allinearsi alle altre città sulla base di nuove ed esterne imposizioni costituzionali.

Dalle lontane ed oscure disposizioni dei più antichi codici statutari255, passando poi

attraverso lo Statuto del notaio Calvo1228)256, lo Statuto Albertino del 1276257, lo Statuto di

Certo, alla sua epoca l'allettamento esercitato dai beni goduti sul continente era ormai cosa del tutto acquisita e largamente penetrata nelle coscienze. Ma non era privo di significato che il patrizio ne evocasse la presenza - o almeno la patente insidia - quasi quattro secoli prima. Questo significava che l'attrazione-

repulsione per il mare era da lungo tempo divenuta consustanziale alla comunità veneziana, prima ancora

che se ne potessero registrare manifestazioni vistose". TENENTI ALBERTO, Il senso del mare, in "Storia di Venezia", vol. XII, Il mare, a cura di Alberto Tenenti e Ugo Tucci, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana G. Treccani, 1991, p. 7. Si veda anche il bel saggio di UGGERI GIOVANNI, La laguna e il mare, in "Storia di Venezia", vol. I, Origini - Età ducale, a cura di Lellia Cracco Ruggini, Massimiliano Pavan, Giorgio Cracco, Gherardo Ortalli, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 1992, p. 149 ss.

254

Sabellico, Rerum Venetiarum ab Urbe condita, Venetiis, 1486.

255

Antichi codici statutari che Torello Saraina (1475-1547) nelle sue "Historie" e Girolamo Dalla Corte ("Historie", 1592) sembrano aver consultato e avvalorato.

256

Si veda il già citato SIMEONI L., Il Comune Veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, o.c. Giulio Sancassani ebbe ad annotare: "La compilazione statutaria del 1228, che porta il titolo di Liber iuris civilis

urbis Veronae, fu opera del notaio Guglielmo Calvo e il codice originale relativo è conservato nell'Archivio

del Capitolo dei Canonici di Verona. La prima ed unica edizione venne curata nel 1728 da Bartolomeo Campagnola, e lo stampatore fu Pietro Antonio Berni. SANCASSANI GIULIO, La legge e la campagna: gli

statuti cittadini, le nuove colture, gli interventi specifici, in "Uomini e civiltà agraria in territorio veronese, I,

Secoli IX-XVII", a cura di Giorgio Borelli, Verona, B.P.VR., 1982, p. 178.

257

SANDRI GINO (a cura di), Gli Statuti veronesi del 1276 colle correzioni e le aggiunte fino al 1323, Venezia, Deputazione di Storia Patria delle Venezie, 1940. Nel presentare il lavoro del Sandri, Luigi Simeoni scriveva: "Il volume curato dal Sandri, riproduce la parte più antica del famoso codice che quarant'anni fa si soleva chiamare degli Statuti Albertini nella erronea credenza che esso fosse stato compilato all'inizio del governo di Alberto della Scala (1277-1301), mentre un'analisi più precisa, di cui il Sandri riassume e completa le conclusioni, mostrò che la sua prima stesura è del 1276, vivo Mastino della

Scala, e che ad esso si fecero modifiche ed aggiunte sino al 1323". SIMEONI LUIGI, Gli Statuti Veronesi del 1276, in "Studi Storici Veronesi", vol. I, fasc. IV (1948), p. 298.

Cangrande del 1327 o 1328258, e lo Statuto ritoccato «con diligente e minuta revisione» in periodo

visconteo (1393), è sempre il ceto dirigente urbano a darsi da fare per salvaguardare i propri

interessi pubblici e privati, consacrandoli nelle strette maglie della disposizione statutaria scritta259.

Dopo l'ingresso di Verona nell'orbita veneziana, il consiglio cittadino provvede con delibera

del 23 gennaio 1450 a rinnovare i propri statuti260. A quell'impegno la città fu tuttavia in certo qual

modo obbligata, come risposta al tentativo perpetrato da Venezia nel 1449 di abolire il Consiglio dei XII. Sventata tale manovra, si avvertì l'urgenza di sistemare definitivamente la materia statutaria proprio per impedire altri attentati ai privilegi ottenuti con la Dedizione. La decisione di rivedere gli

258

Per Gian Maria Varanini la data del 1327 è incontrovertibile. "Del resto - argomenta, tra l'altro, lo studioso - uno storico locale bene informato come il Dalla Corte, nel Cinquecento, aveva esattamente datato gli statuti al 1327, forse sulla base di una diretta conoscenza del codice". Perchè allora la datazione degli statuti dell'età di Cangrande I è stata solitamente attribuita al 1328? "Il riferimento al 1328 - spiega il Varanini - è legato al fatto che il 21 luglio di quell'anno il liber novus statutorum fu dato in custodia a Facino di Giovanni, notarius dicti libri statutorum (che già nell'agosto dello stesso anno traeva copie autentiche di qualche norma)". BIANCHI S.-GRANUZZO R. (a cura di), Statuti di Verona del 1327, o.c., p. 14.

- Per quanto riguarda la datazione degli Statuti di Cangrande riporto da "Cangrande I della Scala" di Hans Spangenberg, quello che scrive il grande storico tedesco nel "Excurs I" del secondo volume intitolato "Formazione degli Statuti veronesi" ("Entstehungszeit der veroneser Statuten"). "Si trova ora sull'ultima pagina del manoscritto dello statuto di Cangrande - osserva lo Spangenberg - la seguente osservazione scritta nei caratteri del tempo: 'Positus fuit ist liber statutorum comunis Verone penes dominum Facinum

notarium Jovis XXI Julli millesimo trecentesimo XXVIII Indictione XIa'. Giovedì 21 luglio 1328 il libro

degli statuti fu depositato presso il notaio Facino; certamente entrarono in vigore lo stesso giorno come disposizione normativa per il governo del paese nella forma riveduta disposta da Cangrande. Corte (historia

di Verona, II 156) narra che Cane al suo ritorno da Milano nell'estate 1327 abbia incaricato uomini

competenti della revisione degli statuti e abbia fatto poi pubblicare questi ultimi. Certamente la maggior parte del lavoro fu iniziata molto prima. E' un significativo segno della meschinità e della superficialità con le quali i cronisti contemporanei parlano dell'attività di Cane il fatto che a questa lunga opera della revisione degli statuti, che occupò una gran parte del tempo e dell'attività del suo governo, non sia stata dedicata nemmeno una sommaria descrizione". I due volumi dell'opera di "Cangrande I della Scala (1291-1320)" di Hans Spangenberg sono stati da me tradotti in italiano e mai pubblicati. Cfr. VECCHIATO LANFRANCO,

Traduzione di 'Cangrande I della Scala' di Hans Spangenberg (dattiloscritto inedito del 1959). Copia di tale

mia traduzione è stata da me recentemente messa a disposizione della titolare della cattedra di Storia Medievale (prof. Giuseppina Gasparini De Sandre) dell'Università di Verona. La citazione bibliografica dei due volumi dello Spangenberg è la seguente: SPANGENBERG H., Cangrande I della Scala (1291-1320), Berlino, Hermann Heyfelder, 1892; SPANGENBERG H., Cangrande I della Scala, II Teil, 1321-1329, Berlino, Hermann Heyfelder, 1895 (p. 137, Excurs I).

259

Interessato ad un lavoro di comparazione tra gli statuti di province limitrofe, Hans von Voltelini osservava: "Già Rapp aveva richiamato l'attenzione sulla connessione esistente fra gli statuti di Trento e quelli di Verona e di altre città dell'Italia settentrionale... L'accennata osservazione di Rapp è in ogni caso fondata in tanto, in quanto il diritto veronese e vicentino è molto somigliante a quello trentino. Se per prima cosa consideriamo gli antichi statuti di Trento, una certa somiglianza del diritto si nota non tanto negli antichi statuti di Verona del 1228, quanto piuttosto negli statuti del 1450, i quali dovrebbero risalire, in sostanza, agli statuti di Mastino I, anteriori al 1271, ed alla nuova redazione di questi del 1328. Anche negli statuti di Vicenza troviamo concordanze non tanto in quelli, certo carenti, del 1264, quanto piuttosto negli statuti più recenti". VON VOLTELINI HANS, Gli antichi Statuti di Trento (traduzione italiana del testo uscito nel 1902), o.c., p. 98.

260

Circa il luogo dove materialmente il consiglio si riunisce ci informa il Venturi in questi termini: "Il Palazzo della Ragione aveva servito...per luogo di adunanza del Consiglio. Volendosi poi un luogo apposito lungi dai romori del foro (=piazza Erbe) ottennero i cittadini dalla repubblica veneta alcune case in piazza

dei signori; e con denaro ricavato per dadia si cominciò a fabbricare nel 1475 la Loggia, ed il locale pel

Consiglio. Questo era al suo termine nel 1492". VENTURI GIUSEPPE, Compendio della storia sacra e

Statuti fu dunque del consiglio cittadino, seppur riunito sotto la presidenza del rettore veneziano. Per gli Statuti del tempo visconteo l'iniziativa era stata invece del principe, Gian Galeazzo Visconti, il quale aveva fatto «esaminar e correggere» quelli di Cangrande; poi con una lettera di «accompagnamento» a firma «Jacobinus», aveva mandato il testo al comune di Verona in data 16

settembre 1393261. Dunque, almeno dal punto di vista formale Venezia si mantenne ben lontana

dall'imposizionismo signorile di Gian Galeazzo Visconti. Questi oltre che imporre Statuti, alla cui redazione la città di Verona non aveva in alcun modo contribuito, mantenne il consiglio cittadino alle sue dirette dipendenze, assegnandogli una funzione di intermediazione fra il signore e la comunità, ed insieme di controllo sull'operato degli officiali amministrativi e finanziari, che di solito non erano veronesi. In età viscontea dunque, ma anche nella precedente età scaligera, il consiglio cittadino si era visto esautorato di ogni funzione significativa, prevalendo la volontà del signore. Maggiori spazi di autonomia si riapriranno invece con l'avvento di Venezia, consacrati

negli Statuti del 1450262.

All'inizio tra Venezia e la Terraferma sussistevano differenze “molto nette” nella concezione della giustizia. Nella Terraferma, oltre agli Statuti preesistenti e rinnovati dopo la dedizione, aveva validità incontrastata il diritto comune, cui si ricorreva quando gli Statuti non rispondevano alle esigenze emergenti nei giudizi dei tribunali, o quando si voleva trarre la “ratio” per interpretare gli stessi Statuti. La preminenza del diritto comune trovava poi consacrazione ufficiale nello studio di

Padova263 e nelle scuole di diritto romano diffuse sulla Terraferma264. Venezia aveva invece una

261

"Statuta comunis nostre civitatis Verone que sunt capitula octigenta decem octo, queque videri, examinari et corrigi fecimus prout comuni bono hominum dicte civitatis nostre eiusque districtus...". SOLDI RONDININI G., La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), in "Verona e il suo Territorio", v.IV, t.1, o.c., p. 158.

262

Una preziosa introduzione alla materia statutaria veneta si ha in VARANINI G.M., Gli statuti delle città

della Terraferma veneta dall'età signorile alle riforme quattrocentesche, in VARANINI G.M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, o.c., pp. 3-56.

263

All'università di Padova - fondata nel 1222 - l'insegnamento del diritto era tutto incentrato sul diritto romano e sul diritto canonico.

264

A Verona nella scuola del notariato, sede della quale era la cappella dei Notai nel palazzo della Ragione di piazza Erbe che era anche la sede del collegio, si leggevano e si commentavano le "Institutiones", la "Summa" e l'"Aurora". Le "Institutiones" erano lette nel testo di Giustiniano, secondo l'elaborazione del "Corpus iuris civilis" fatta dai giuristi medievali. Tracce interessanti della scuola del Notariato , e soprattutto del fatto che a Verona si leggesse il diritto romano, sono le "Institutiones" e le "Lectiones in Institutionum

libros" di Bartolomeo Ruffoni, conservate manoscritte nella biblioteca civica. La scuola dove preparare gli

aspiranti notai fu attiva a Verona dal 1462 al 1796. SANCASSANI GIULIO, Notariato e arti liberali

durante il dominio veneto a Verona (secoli XV-XVIII), in "Verona 1405-1797", Verona, 1981, pp. 64-65. -

Altra testimonianza delle consolidate tradizioni giuridiche veronesi ci viene offerta dalla "Informazione di

anonimo del 1 marzo 1600", che al cap. 23 illustra il "Collegio dei Dottori Leggisti" e ricorda: "Ha indulto questo Collegio concessogli da Papa Benedetto l'anno 1339, di poter introdur in Verona studio perpetuo generale in giure canonico et in civile". Cfr. CAVATTONI CESARE (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, Verona, 1862, p. 18. - Sulle scuole giuridiche in

Verona si veda anche VECCHIATO LANFRANCO, Educazione e cultura dal sec. IX al sec. XII in Verona, in Atti del Convegno "Verona dalla caduta dei carolingi al libero comune", Verona, Acc. di Agr., 1987, pp. 187-224.

Sulla Bolla papale del 22 settembre 1339 si rimanda a VECCHIATO LANFRANCO, Gli studi universitari

nella tradizione culturale veronese, Presentazione di Gino Barbieri, Verona, Palazzo Giuliari, 1972. - Maria

Teresa Cuppini, nel suo lavoro sull'arte a Verona tra Quattro e Cinquecento, non ha dubbi circa l'effettiva erezione in Verona di una università. Scrive infatti: "E, purtroppo, ancor prima che scada la metà del secolo XV, Verona - sotto il profilo della cultura in genere e della cultura figurativa in ispecie - è in una situazione del tutto periferica. Alla metà del Quattrocento la città vegeta in un generico benessere senza storia. Le famiglie illustri non hanno un signore col quale competere e dal quale essere incitate a iniziative di prestigio. L'Università, istituita dagli Scaligeri, langue: mancano i legami attivi, i confronti diretti con i

tradizione monca del passato romano per le evidenti ragioni che la sua storia fa conoscere. Aveva un suo diritto, il cui nucleo centrale era costituito dagli “statuti” emanati nel 1242 dal doge Jacopo

Tiepolo265. Nel prologo a tale documento le fonti di diritto che i giudici veneziani dovevano

applicare vengono indicate nelle norme statutarie, nelle consuetudini approvate, nell'analogia, ed

infine nella “retta coscienza”266. Il diritto romano rimaneva dunque escluso. Il Tiepolo aveva inoltre

sancito il principio che gli Statuti veneti fossero osservati da tutte le persone soggette alla giurisdizione del «Comune Veneciarum» e quindi anche nelle terre d'oltremare e della terraferma, quando questa fosse stata conquistata. All'atto pratico Venezia affrontò il problema del diritto «con

molta flessibilità». Non impose i propri statuti; piuttosto confidò nell'efficacia del proprio modo di

rendere giustizia per mezzo dei suoi rappresentanti e soprattutto nel rimettere nelle mani delle sue

magistrature gli “appelli”267.

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