LA PRIMA ETA' VENEZIANA TRA POESIA E STORIA
3.4. L'impegno encomiastico-celebrativo
A proposito degli storici umanisti e dei cronisti tradizionali vale la pena di richiamare l'obiezione di John Easton Law, il quale li considera «una fonte non molto informativa» e si chiede se lo «stato di sottomissione di Verona» possa «aver contribuito ad un indebolimento della tradizione cronachistica locale nel quindicesimo secolo, come alcuni hanno avvertito nel caso
toscano»171. In effetti le dedizioni, che documentano i successi veneziani (prima Vicenza 1404, poi
Verona 1405, infine Padova), e che furono registrate dagli storici e dai cronisti locali, e successivamente esaltate dalla storiografia aulica (per esempio dal Sabellico) e dalla propaganda
statale172, non svelano tuttavia «le attitudini politiche e le aspettative dei contemporanei a causa del
relativo silenzio di commentatori e cronisti»173 .
«Commentatori e cronisti» sono invece numerosi sul versante opposto, su quello cioè celebrativo della gloria di Venezia e di riflesso di Verona. La schiera dei “laudatores” s'infittisce nella seconda metà del '400 e nella prima parte del '500 tanto che risulta impresa ardua operare una cernita tra i molti nomi giunti fino a noi con la qualifica di umanisti o semplicemente di “scriptores”. Una prima scrematura si realizza operando dentro i lunghi elenchi compilati dallo
Zagata, dal Maffei, dal Mazzuchelli e dal Federici. Spesso ci troviamo in presenza di semplici nomi.
In ogni caso per il '400 i più ruotano intorno alla figura del Guarino; nel '500 i poli di aggregazione sono invece diversi, essendo operanti personalità di spicco come il Fracastoro, l'Ormaneto, il
Panvinio, lo Scaligero e il Saraina.
l'occasione propizia per insorgere contro la Serenissima, con l'ingenua speranza di ottenere da Massimiliano quelle prerogative che avevano perduto al momento della conquista veneziana, furono pronte a favorire l'avanzata nemica, Treviso volle invece riaffermare la sua fedeltà alla Dominante, anche perchè, di fronte a una decisa sollevazione popolare, i nobili non poterono attuare il piano di consegnare la città all'imperatore". SENECA FEDERICO, Bassano sotto il dominio veneto, in "Storia di Bassano", Vicenza, 1980, p. 76.
170
Richiamando un lavoro di F. Lampertico, Gian Maria Varanini sottolinea "la differenza di atteggiamento attentamente rilevata dal Lampertico nelle scelte che il governo veneto compie il 31 maggio e il 4-5 giugno a proposito delle diverse città della Terraferma. A Verona e Vicenza infatti il riconoscimento formale della
sovranità imperiale e l'allontanamento dei rettori avviene con il consenso del Senato; da Padova invece i
rettori escono soltanto perchè non giunge in tempo il contrordine (del 5 giugno) alla missiva del giorno precedente, che li autorizzava appunto ad abbandonare la città; per Treviso non si prende neppure in considerazione l'idea di una cessione". VARANINI G.M., La Terraferma al tempo della crisi della lega di
Cambrai. Proposte per una rilettura del 'caso' veronese (1509-1517), in VARANINI G. M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, o.c., p. 407.
171
LAW JOHN E., Verona e il dominio veneziano: gli inizi, in "Il primo dominio veneziano a Verona (1405- 1509), o.c., pp. 17-18.
172
La propaganda statale decorò la Scala dei giganti del Palazzo Ducale con gli stemmi scaligeri e carraresi.
173
Sul tema della dedizione di Vicenza alla Serenissima, Antonio Menniti Ippolito scrive: "Vicenza non fu mai conquistata armata manu da alcuno, o meglio, seppe sempre evitare che ciò avvenisse (e quando non riuscì in questo respinse comunque qualsiasi attacco militare diretto); e una volta sottrattasi alla dominazione padovana fu sempre in grado di affidarsi a forze esterne che al momento giusto le tenessero lontano il pericolo dell'assoggettamento alla vicina città". ANTONIO MENNITI IPPOLITO, La 'fedeltà'
Gli “scriptores” umanisti non possono certo essere considerati storici in senso stretto, ma
neppure ignorati174. La poesia ha, infatti, ormai valicato l'orizzonte medievale, entro il quale essa era
valutata solo per i suoi requisiti retorici. Ora, come frutto dello studio dei classici, la poesia ha acquisito una valenza nuova, collocandosi come guida spirituale e morale con largo spettro d'insegnamento nel campo storiografico e filosofico. In effetti la poesia nei secoli in esame, pur impegnando in alcuni casi lo stile epico-eroico, che resta fuori dalla verità storica o appena l'adombra, talora tramanda fatti storici, magari condensati entro la forma più breve del sonetto per un semplice richiamo a fatti d'arme che non vanno dimenticati. È un'operazione che compiono - per anticipare un esempio - i veronesi Leonardo Montagna e Giorgio Sommariva quando i Turchi nel
settembre del 1477 invasero il Friuli provocando stragi e devastazioni175.
Argomento predominante delle celebrazioni sia in prosa che in poesia, più che i fatti politici e militari, sono però le bellezze naturali e i prodotti agricoli del Territorio veronese. Di tale prevalente tendenza si era già lamentato il Guarino in una lettera a Jacopo Foscari, figlio del doge
Francesco. Intessendo nel 1436 un ampio elogio delle dotte fanciulle veronesi Ginevra e Isotta Nogarola, il Guarino lamentava che molti suoi “conterranei” preferissero celebrare le messi, la
frutta saporita, i vini e li oli, la caccia e la pesca, l'uccellagione, i lieti pascoli, i colli solatii del Territorio veronese, piuttosto che i suoi abitanti tra cui brillano figure di donne come appunto le Nogarola - Ginevra e Isotta - sulle quali egli invece - correggendo un vezzo fin troppo diffuso - si
sofferma176.
L'insofferenza del Guarino è d'altronde giustificabile col fatto che la letteratura elogiativa ha carattere pronunciatamente ripetitivo. In effetti i “laudatores” ricalcano uno schema comune, avendo per di più argomenti e ‘topoi’ obbligati. Stessa rigidità di schemi si avverte quando dalla natura si passi all'illustrazione di qualche personaggio, su cui obbligatoriamente ci si sofferma in occasione delle molte ‘Orazioni’, immancabili in occasione di cerimonie per l'arrivo o la partenza di vescovi, rettori, e provveditori della Dominante, o per principi, re o imperatori di passaggio.
Venendo ad una situazione concreta si può evocare il nome del conte Giacomo Giuliari, il quale per la venuta del cardinale Marco Corner, nominato vescovo, scrisse in versi latini le lodi di
Verona177. Il carme «ad Cardinalem Cornelium», nel quale il Giuliari tesse un quadro di Verona
senza dare particolare concretezza alle situazioni cui accenna, ma anzi appoggiandosi piuttosto alla
174
Di questo parere fu anche il Cipolla, il quale a suo tempo fece la proposta alla Deputazione Veneta di Storia Patria di non trascurare gli scritti che lodano le bellezze e le glorie di Verona e del suo Territorio. Sull'utilizzo come fonti storiche delle descrizioni della città si rimanda alla puntualizzazione di Rino Avesani. AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., pp. 185-186. - Sui letterati che lodarono Verona si veda anche VECCHIATO LANFRANCO, I 'laudatores' di Verona nel '400 e nel
'500, in "Nova Historia", rivista diretta da Lanfranco Vecchiato, 1979, p. 20.
175
AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., p. 168. Richiamo Leonardo Montagna e Giorgio Sommariva nel par. 3.7. "Oltre l'orizzonte municipale" di questo cap. III "La prima età
veneziana tra poesia e storia". Cfr. anche MAZZACANE A., Lo stato e il dominio nei giuristi veneti durante il "secolo della terraferma", in "Storia della cultura veneta", 3/I, o.c., p. 617.
176
AVESANI RINO, In laudem civitatis Veronae, in "Studi Storici Veronesi Luigi Simeoni", vol. XXVI- XXVII (1976-77), p. 183. Cfr. anche AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., pp. 61-64.
177
Il conte Giacomo Giuliari è un umanista noto soprattutto per averci lasciato la relazione di una singolare festa culturale celebrata nel 1484 in onore dell'umanista Giovanni Antonio Panteo, tramandata con il titolo "Actio Panthea". La festa ebbe il suo prologo con una sfilata in maschera per le vie di Verona e il suo svolgimento spettacolare e culturale in piazza dei Signori alla presenza dei rettori veneziani e del generale veneziano Roberto Sanseverino. Cfr. PERPOLLI CESIRA, L'"Actio Panthea" e le origini dell'umanesimo
veronese, Verona, 1915. AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., pp. 221-223.
Alcuni momenti della sfilata ci vengono riproposti in CARRARA MARIO, Alcuni Notai letterati di Verona
dal secolo XII al XVIII, in SANCASSANI-CARRARA-MAGAGNATO, Il notariato veronese attraverso i secoli, Verona, 1966, pp. 35-36.
mitologia e alla retorica178, ha in fondo come scopo principale quello di rendere la città accattivante agli occhi del prelato veneziano, incerto forse se rimanere in un continuo possesso pastorale dell'episcopato assegnatogli. Nei fatti poi il Corner, sebbene Verona fosse città bella e ricca per l'ambiente e per la storia - e ciò a prescindere dal quadro delineato dal Giuliari - una volta fatto il suo ingresso solenne, tornò presso la corte pontificia a Roma, facendosi sostituire dal solito vicario e suffraganeo, ed andando quindi a sua volta ad alimentare la grande piaga della latitanza dei vescovi. Inutile l'appassionato appello di un altro umanista, Pier Donato Avogaro, che così invoca il Corner: «Sed Tu tamquam verus pastor venias, nec deseras». Fervida era poi la “gratulatio” dell'Avogaro per la nomina a vescovo del Corner. In essa prima di toccare i problemi insoluti della diocesi veronese, l'Avogaro premette, secondo il rituale, le ampie e dovute lodi alla persona del nuovo vescovo, alla sua famiglia e alla città di Verona. Fin dallo stesso anno dell'ingresso di Marco
Corner, il padre suo, Giorgio, teneva il capitaniato di Verona. Tale coincidenza giustificava
maggiormente l'opportunità di esaltare con grande calore l'avvenimento, testimoniando anche
sentimenti di fedeltà a Venezia179.
In tema di “laudatores” di Verona, il documento più importante è però senz'altro rappresentato dal proemio agli Statuti del 1450, steso da Silvestro Lando, cancelliere del comune. L'interesse del proemio non è certamente formale e neppure legato agli argomenti svolti, quanto piuttosto da riferire ad alcune considerazioni che chiariscono l'atteggiamento politico della classe dirigente veronese nei confronti di Venezia, specialmente nel '400. Per le lodi tributate alla patria comune e a lui stesso, il Guarino gli mandò una lettera di compiacimento da Ferrara, il 18 ottobre
1450180.
Per quanto riguarda i motivi per i quali Verona è da esaltare, anche nel Proemio agli Statuti del Lando si trovano i soliti temi relativi alle risorse dell'agricoltura, della pastorizia, della caccia, della pesca; ma si parla anche di monumenti e dei maggiori ingegni. Il testo del Lando si eleva su altri per un impegno descrittivo più originale e più esauriente.
Nello stesso proemio del Lando si possono tuttavia cogliere anche spunti che superano le esigenze della letteratura celebrativa, quando il cancelliere parla di libertà, dichiarandosi fortunato di poterla godere sotto le ali del leone di S. Marco. Il Lando riconosce a Venezia una benemerenza politica tale per cui alla Dominante restano solo «oneri, fatiche, spese, pericoli; mentre a Verona è
data la possibilità di godere libertà, tranquillità e sicurezza»181. Ma il Lando va anche oltre, affermando che «Venetiarum civitas iustitiae templum dici potest». Questo l'ispirato contesto in cui tale riconoscimento viene pronunciato. «Noi - declama Silvestro Lando - ci troviamo come in una rocca di vera e serena libertà, liberi dalle sedizioni interne e al riparo dai sommovimenti esterni. Vedi che il governo veneto è costituito in modo tale che proprio da quel celebre, tanto elevato trono
178
I pregi di Verona sono da lui riassunti in trenta versi. Verona è illustre per le imprese compiute in patria e fuori; potente per condottieri e soldati vittoriosi; cospicua per ingegni facondi; insigne per i palazzi, l'arco, il ponte, le vie, le mura, le torri, i portici, le terme, i templi, l'anfiteatro; sicura per la robustezza della triplice rocca. In questa prima parte non si incontra alcun nome specifico. Segue poi un secondo elenco in cui si avvale della mitologia per cui Cerere sostituisce le messi, Bacco i vini, ecc. Il lungo elenco non manca di accennare ai bagni di Caldiero, una realtà molto cara ai poeti e ai medici del tempo. Sui bagni di Caldiero avevano già scritto tra gli altri Aleardo Pindemonte e Giovanni Antonio Panteo. Il primo oltre che rimatore era anche medico, ed aveva dedicato il suo trattatello al vescovo Ermolao Barbaro (1459). Il Panteo,invece, del Barbaro era stato in gioventù segretario. Sulle terme di Caldiero si veda il documentatissimo lavoro CURI ETTORE, Storia delle analisi delle terme di Caldiero dal XV secolo ai giorni nostri, in "Atti e mem. Acc. di Agr. Sc. e Lett.", s. VI, vol. XL, Verona, 1991, pp. 75-137.
179
Per la Gratulatio cfr. AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., p. 258.
180
SANCASSANI G., Silvestro Lando, in SANCASSANI-CARRARA-MAGAGNATO, Il notariato
veronese attraverso i secoli, o.c., pp. 149-151.
181
"Nos quidem sumus - cioè noi Veronesi, dice il Lando - in arce quasi verae ac tranquillae libertatis constituti et ab intestinis seditionibus liberi et ab externis perturbationibus tuti". Statutorum Veronae libri
dogale è consentito a chiunque di presentare appello, cosicchè sia il povero sia il ricco hanno la
medesima possibilità di ricorrere contro un'ingiustizia e ciascuno può dire apertamente le sue ragioni, udire ciò che desidera, onde da quella illustre maestà del senato e dal tribunale del Doge i colpevoli insieme col castigo ottengono clemenza, mentre ai buoni è conferita dignità con vantaggi e onori; e sotto tale governo ciascuno può usare liberamente dei suoi beni, permangono inviolati l'onore e la pudicizia delle spose, sono libere le nozze dei figli, senza vincoli le scelte di tutti. Perciò, dunque, Venezia può dirsi tempio della giustizia e in essa la giustizia, che prima era salita al
cielo perchè offesa dai misfatti degli uomini, ora sembra dal cielo essere discesa»182.
Quanto poi alla forma istituzionale, Silvestro Lando si dichiara felice di essere suddito di Venezia la quale non è né monarchia né repubblica popolare. Che cosa sia dunque Venezia, il Lando però non lo dice, limitandosi a chiarire che essa offre l'esempio di uno «stato di equilibrata
libertà», mentre nella monarchia vi è la «sventura di una servile paura», e «nel governo del popolo vi è l'immagine di una inquieta libertà»183. Il Lando evita dunque di classificare Venezia come una repubblica oligarchica, un'etichetta a lui estranea o che avrebbe potuto risultare poco gradita ai
governanti184.
A proposito di sistemi di governo, il Guarino, maestro del Lando, aveva invece espresso la propria preferenza per una monarchia di tipo classico e quindi sul modello greco-romano. Si trattava di un'indicazione provocatoria agli occhi di Venezia, nei confronti della quale il Guarino avrà modo di ripetersi quando, qualche tempo dopo la battaglia di Maclodio, scriverà un'orazione in lode del Carmagnola. Una celebrazione - quest'ultima - che suscitò molte critiche da parte degli antiguariniani tra i quali si distinse Pier Candido Decembrio. V'è da tener presente tuttavia che il Guarino scriveva da Ferrara ove si era trasferito fin dal 1429 chiamatovi dal marchese Nicolò d'Este
e quindi non aveva nulla da temere da Venezia185.
Della sfiducia del Guarino nei confronti del potere politico abbiamo un'ulteriore prova186,
quando il conte Battista Bevilacqua chiese al grande umanista veronese di tradurre nel “suo bel latino” la relazione da lui scritta sulla battaglia di Maclodio (12 ottobre 1427), cui aveva partecipato
combattendo in favore di Venezia187. Il Guarino giustificò il rifiuto di accondiscendere alla richiesta
del Bevilacqua dicendo che, essendo la storia “lux veritatis”, «era pericoloso dire la verità...mettere a nudo le buone consuetudini, la fedeltà, l'onestà, il valore e i loro contrari; un procedimento questo
che una volta si attirava l'odiosità, oggi può costare la testa»188. Su questo argomento l'umanista
Onofrio Panvinio più tardi potrà dar ragione al Guarino, quando, avendo scritto che papa Innocenzo III era nato da umile famiglia, fu raggiunto dall'ira del marchese di Massa, pronipote del defunto
papa, e dovette trovare un'espressione più consona189.
182
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., Proemium. Per la traduzione AVESANI R., Verona nel
Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., p. 102 nota 1.
183
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., Proemium.
184
Sul proemio del Lando si vedano anche le riflessioni di Gaetano Cozzi in COZZI G., La politica del
diritto nella Repubblica di Venezia, in "Stato, società e giustizia nella Repubblica Veneta (sec. XV-XVIII)",
a cura di G. Cozzi, Roma, Jouvence, 1980, p. 89.
185
AVESANI R., Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, o.c., p. 49.
186
Sui sentimenti antiveneziani di Guarino che "dovette essere consapevole, se non proprio complice, dei tentativi compiuti da Brunoro della Scala nel 1411 e nel 1412 per sottrarre a Venezia la città" di Verona, si veda PASTORE STOCCHI MANLIO, Scuola e cultura umanistica fra due secoli, in "Storia della cultura veneta", 3/I, Vicenza, Neri Pozza, 1980, p. 116.
187
Battista Bevilacqua era "Generale della Cavalleria Veneziana". GASPERONI GAETANO, Scipione
Maffei e Verona settecentesca. Contributo alla storia della cultura italiana, Verona, 1955, p. 424 e p. 129.
188
MAFFEI SCIPIONE, Verona Illustrata, parte II, L'Istoria Letteraria, o.c., p. 98.
189
Onofrio Panvinio dovette correggere l'espressione "patre Aaron nomine ex mediocri genere" in "patre Aaron ex ordine equestri". Di Innocenzo III il Panvinio parla nell'opera "XXVII Romanorum Pontificum elogia et imagines".