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LA PRIMA ETA' VENEZIANA TRA POESIA E STORIA

3.3. Quando la guerra investe la collettività

la data del 1592. Sembrerebbe quindi che la seconda parte sia stata stampata per prima. Il che non è verisimile. Il 20° e ultimo capitolo si chiude con l'annotazione "Fine imperfetto del libro XX, e insieme della

Istoria per la morte dell'Autore". La narrazione si interrompe al 1560. I libri annunciati nel primo volume

erano 22. Due non sono quindi stati mai scritti. DALLA CORTE GIROLAMO, L'istoria di Verona, Verona, 1594. DALLA CORTE GIROLAMO, Dell'istoria di Verona, parte seconda, Verona, 1592 (?).

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Uomini dagli interessi sterminati e dai mezzi limitati che la loro epoca metteva a disposizione inevitabilmente cadevano in qualche comprensibile errore. Per Onofrio Panvinio si ricorda la sua attribuzione a un Anastasio, bibliotecario della Santa Chiesa delle "Vitae" dei pontefici, una biografia dei papi dei primi otto secoli. UGLIETTI FRANCESCO, Un erudito veronese alle soglie del Settecento. Mons.

Francesco Bianchini. 1662-1729, Verona, 1986.

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MAFFEI SCIPIONE, Verona Illustrata, parte II, L'Istoria Letteraria, Verona, 1731, p. 198. BELVIGLIERI CARLO, Verona e sua provincia (1a edizione in "Grande Illustrazione del Lombardo- Veneto" di Cesare Cantù, 1858-1862), Ristampa anastatica, Bologna, 1984, pp. 385, pp. 232-233.

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MOSCARDO LODOVICO, Historia di Verona sino all'anno 1668, (Ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1976), Verona, 1668.

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L'opera del conte Alessandro Carli venne edita con un contributo del consiglio comunale il quale in una sua seduta del 22 gennaio 1794 decise che "saranno della stessa dati alla luce col mezzo delle stampe ducento esemplari a spese della Cassa corrente da essere distribuiti alle primarie Cariche, ed alli Cittadini componenti il Consiglio". CARLI ALESSANDRO, Istoria della città di Verona sino all'anno 1517, 7 tomi, Verona, 1796.

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Sulle precedenti edizioni si veda SIMONI PINO, Nota sulle opere a stampa dell'abate Giuseppe Venturi, in "Studi Storici Luigi Simeoni", vol. XL (1990), p. 123.

Eppure uscendo dai rendiconti ufficiali della cronaca e della storia, resta possibile intuire lo stato d'animo della popolazione almeno per i momenti più gravi e drammatici, quando la guerra investe l'intera collettività.

I Veneziani entrarono in Verona il 23 giugno 1405. Già il 22 alcune migliaia di persone armate si erano radunate in piazza, costruendo barricate con carri e legnami. Poi, come riunite in parlamento alla maniera comunale, avevano nominato un Capitano del Popolo che trattasse la resa di Venezia. Ormai il Carrara che difendeva la città nel suo solo interesse, aveva ben poche probabilità di raddrizzare il corso della guerra. Fu perciò Pietro da Sacco per incarico del popolo a intimare al Carrara di ritirarsi. Il giurista Jacopo Fabbri a Montorio trattò con i Veneti quei “pacta” che nella stragrande maggioranza entrarono nella bolla d'oro del doge Michele Steno. Seppure non era una dedizione spontanea, il gioco delle parti con i Veneziani salvava almeno gli interessi fondamentali della città, e soprattutto era una conseguenza diretta anche se condizionata della volontà del popolo veronese.

Una situazione analoga si sarebbe riproposta un secolo più tardi, quando i Veneziani sconfitti ad Agnadello (1509) dai Francesi collegati con gli Imperiali nella lega di Cambrai,

ritirandosi avrebbero tentato di rifugiarsi entro le mura di Verona166. La popolazione però insorgeva

temendo l'assedio e il saccheggio. La campana della torre suonò a stormo; gli abitanti si armarono. Il consiglio cittadino riunitosi si fece portavoce dei timori della popolazione e a schiacciante

maggioranza negò l'ingresso in città alle truppe venete167. I rettori non si opposero e l'esercito

veneziano in ripiegamento dopo Agnadello non entrò in città168. Al popolo che affollava la chiesa di

S. Anastasia il consiglio comunicò la decisione di sottomettere la città all'imperatore Massimiliano169. Si preferiva il tedesco al francese e in questo senso si interpretava la volontà di

Venezia che temeva la potenza di Luigi XII; meno invece quella dell'imperatore Massimiliano170.

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Sulla presenza asburgica a Verona d'inizio Cinquecento mi sono già soffermato nel par. 1.4.1. "Gli

imperiali a Verona" (cap. I "Gli eventi politici, 1405-1797") e torno nel par. 4.7.6. "Il cancelliere della

dedizione all'Austria" (cap. IV "Gli Statuti del 1450"). Quindi ancora nel par. 6.4. "In caso di permanenza

sotto l'Austria", nel par. 6.5. "Verona civitas metropolis" e nel par. 6.6. "La vendetta dei vincitori. Epurazioni dopo il 1517" (cap. VI "Il governo locale").

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Studiando gli atti del consiglio (A.S.VR., Archivio Comune, Atti del Consiglio, reg. 68 c. 260 ss.) Gian Maria Varanini scrive: "La seduta chiave è quella del 21 maggio 1509. A schiacciante maggioranza (99 a 5) i consigli dei Dodici e Cinquanta (nelle grandi occasioni si riunivano, con questi ultimi, le sei mude dei Dodici ad utilia), astantibus multis qui non erant de consilio, facta matura deliberatione utrum conducantur

vel ne, aderirono alla pars proposta tanto dai Provveditori quanto dai deputati ad utilia che non sia lasciata

entrare in città nè fanteria nè cavalleria, quia non esset utile immo damnosum et nihil producens statui

prelibati ill. do.". VARANINI G.M., La Terraferma al tempo della crisi della lega di Cambrai. Proposte per una rilettura del 'caso' veronese (1509-1517), in VARANINI G. M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, o.c., p. 406.

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RIZZONI J., Continuazione alla Cronica di Pier Zagata, in BIANCOLINI G.B. (a cura di), Cronica della

città di Verona, vol. 2°, Verona, 1747, pp. 119-121.

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"Il consiglio - scrive il Varanini - si riunì ancora il 29 maggio, senza però prendere decisioni irrimediabili...che furono prese il 31 maggio, dopo la caduta di Peschiera in mano dei Francesi (29-30 maggio), nel corso di una riunione dei consigli nella chiesa di S. Anastasia, astante innumerabili populi

multitudine, nemine de dicto consilio nec de dicta populi multitudine contradicente: Verona si assoggetti

alla sacratissima cesarea maiestas. Ciò avviene (come ricorda, parlando di Vicenza e Padova oltre che di Verona, il Priuli) per mancho male...per non venire soto le forze et tiranide francexe... et maxime cum el

consentimento de li Padri Veneti". VARANINI G.M., La Terraferma al tempo della crisi della lega di Cambrai. Proposte per una rilettura del 'caso' veronese (1509-1517), in VARANINI G. M., Comuni cittadini e stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, o.c., p. 406.

Di fronte alla rapida avanzata delle truppe imperiali (i francesi si erano invece fermati a Peschiera) "i nobili di numerose città suddite - commenta Federico Seneca - non esitarono a ribellarsi alla Dominante. Ma, mentre Verona, Vicenza, Padova, sotto l'energica spinta della nobiltà locale, sollecita a cogliere

L'intervento decisivo del popolo è talora riscontrabile, in tempi diversi, anche nel Territorio. Un episodio che merita di essere menzionato è senz'altro quanto accadde durante la guerra contro

Filippo Maria Visconti e il suo alleato Giovanni Francesco Gonzaga. In quel contesto, Legnago e le

comunità limitrofe ad oriente dell'Adige, terrorizzate perchè il Gonzaga il 2 maggio 1439 minacciava di bombardare i luoghi abitati, se i Veneziani non si fossero arresi, imposero di patteggiare con il nemico e di arrendersi.

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