GLI STATUTI DEL
4.2 La redazione quattrocentesca La riedizione settecentesca
Lo studioso oggi può leggere gli Statuti del 1450 nel testo edito a Venezia nel 1747268.
Questo presenta, accanto ai cinque libri degli Statuti, una serie di documenti fondamentali: privilegi
centri che detengono il magistero della cultura". CUPPINI MARIA TERESA, L'arte a Verona tra XV e XVI
secolo, in "Verona e il suo Territorio", v.IV, t.1, parte II, Verona, Istituto per gli Studi Storici Veronesi,
1981, p. 244. Dubbi sul fatto che in Verona abbia funzionato per un lungo periodo una università non ne ha neppure Mario Carrara, il quale ebbe ad affermare: "Per volontà della Repubblica di Venezia tacque e si spense l'università degli studi di Verona, promossa dagli Scaligeri e convalidata da un diploma di Benedetto XII (1339), per dare maggiore incremento allo studio patavino". CARRARA M., Alcuni Notai letterati di
Verona dal secolo XII al XVIII, in SANCASSANI-CARRARA-MAGAGNATO, Il notariato veronese attraverso i secoli, o.c.,,p. 31. - Il testo della bolla di papa Benedetto XII che da Avignone concede a Verona
lo "Studio generale" in data 22 settembre 1339, si legge in trascrizione in MARCHI GIAN PAOLO, Per una
storia delle istituzioni scolastiche pubbliche dall'epoca comunale all'unificazione del Veneto all'Italia, in
"Cultura e vita civile a Verona. Uomini e istituzioni dall'epoca carolingia al Risorgimento", a cura di Gian Paolo Marchi, Verona, B.P.VR., 1979, p. 69.
265
Sul diritto "proprio" di Venezia si veda COZZI G., Politica, società, istituzioni, in G. COZZI-M. KNAPTON, La Repubblica di Venezia (Utet, XII-1°), o.c., p. 113.
266
Una retta coscienza indicata così: "sicut iustum et aequum eorum providentiae apparebit". COZZI GAETANO, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Governanti e governati nel dominio di qua dal Mincio
nei secoli XV-XVIII, in "Storia della cultura veneta", 4/II, Vicenza, Neri Pozza, 1984, p. 506.
267
Osserva Marco Bellabarba parlando della Rovereto veneziana: "L'avversione veneziana alla lezione medievale dello ius commune si mostrava nella procedura, nel dare giustizia in modo spiccio, nel privilegiare tutte le scappatoie offerte dal rito per togliere in pochi giorni i litiganti dalle aule dei tribunali: gli arbitrati fra le parti, i compromessi imposti dal podestà a chi, stanco delle infinite spese processuali, desiderava spezzare il cerchio dei continui ricorsi processuali, furono espedienti quotidiani sotto la loggia del palazzo comunale di Rovereto durante il dominio marciano. E così, con la stessa ritrosia a seguire passo
per passo il dettato normativo, cercando solo di sfiorarlo o, dove fosse possibile, di aggirarlo, ci si muoveva
anche nei confronti degli statuti. Il libro pubblicato nel 1425 non tardò a mostrare le proprie insufficienze". BELLABARBA MARCO, Rovereto castrobarcense, veneziana, asburgica: identità ed equilibri
istituzionali, in "Statuti di Rovereto del 1425 con le aggiunte dal 1434 al 1538", a cura di Federica
Parcianello, Introduzione di Marco Bellabarba, Gherardo Ortalli, Diego Quaglioni, Venezia, Il Cardo, 1991, p. 21.
268
La prima edizione a stampa fu eseguita in Vicenza nel 1475. Ne seguirono nel tempo altre, delle quali ho riscontrato nella biblioteca civica di Verona, quelle degli anni 1507 (ancora a Vicenza), 1561 (Venezia), 1582 (Verona). Nella biblioteca civica di Verona si conserva inoltre il codice originale, scritto in elegante carattere cancelleresco; il vecchio carattere quadrato grosso, usato per gli statuti precedenti fu abbandonato. - Datata è certamente la presentazione degli statuti di Verona contenuta in PELLEGRINI FRANCESCO CARLO, Degli Statuti di Verona e di alcuno dei più segnalati giuristi che la illustrarono, Padova, 1840.
concessi a Verona, decreti della Serenissima, “parti” del consiglio della città, e varie “terminazioni”
emanate nel tempo per regolare l'attività forense e il governo della città269.
Curatore dell'opera è il «bibliopola Antonius Plateus». Egli dedica la sua fatica al senatore Giacomo Soranzo, ricordato per la biblioteca, ricca di rari codici e manoscritti antichi, e aperta alla lettura e allo studio di tutti. Criticando il riprovevole vezzo di inondare il mercato di libri di nessuna utilità, Plateo spiega quindi il suo impegno nella ristampa degli Statuti veronesi proprio con il carattere di pubblico servizio che questa viene ad assumere. «Se togli il diritto - spiega il Plateo -
togli ciò sine quo la vita degli uomini è squallida, orrida, incerta, miserrima, niente affatto vitale».
Allontanandosi dal diritto - conclude Plateo, citando Cicerone - tutto si fa incerto.
L'elaborazione materiale degli Statuti fu opera di una commissione presieduta dal cancelliere
Silvestro Lando270, il quale presentò solennemente al pubblico l'opera il 13 dicembre 1450, - era podestà Ludovico Foscarini - dopo avere ottenuto l'approvazione di Venezia con una lettera ducale firmata dal doge Francesco Foscari in data 11 ottobre 1450. La ducale del Foscari nel varare i nuovi
Statuti, riserva alla Signoria il diritto di apportarvi nel tempo tutti i correttivi giudicati necessari271.
Eppure nonostante questo «reservato arbitrio» - cioè questa libertà di operare aggiunte, correzioni e mutazioni - nelle numerose controversie che nel tempo si sarebbero aperte, soprattutto in relazione agli obblighi fiscali, raramente Venezia usò l'arbitrio di Dominante. Tra il potere veneziano e i cittadini veronesi c'era d'altronde una rete di immunità e di privilegi che rappresentavano l'eredità vivente dei diritti particolari della Terraferma. Era perciò facile per la città suddita impostare la sua difesa o perlomeno giustificarla, facendo leva appunto sui “privilegia” raccolti negli Statuti e puntualmente ricordati dagli oratori della città ogniqualvolta se ne avvertisse l'esigenza. D'altra parte lo «jus naturale primaevum» e la concezione contrattualistica delle dedizioni, portavano al ricorso
da parte di Venezia a princìpi giuridici universali, per i quali272 non era possibile tuttavia «ex causa
publicae utilitatis» togliere ai sudditi anche ciò che avevano «a jure gentium».
Per quanto riguarda la materia civile, i membri della commissione presieduta dall'umanista Silvestro Lando, chiamati dal consiglio dei XII e L a riformare gli Statuti, non ebbero incertezze a stabilire il dettato giuridico, nel caso in cui gli Statuti o le consuetudini della città, non potessero soddisfare alle esigenze di determinate cause civili. In tale eventualità si sarebbe fatto ricorso al
diritto romano273. Venezia accettò tale impostazione, dando con ciò prova di un «orientamento
empirico e praticistico» che garantì il rispetto degli ordinamenti particolari e delle strutture sociali e
269
"Statutorum...Veronae, libri quinque", Venezia, 1747.
270
Membri della commissione erano i 'giureconsulti' Bartolomeo Cipolla, Antonio Terzi, Pier Francesco Giusti, Cristoforo Campo, Antonio Pellegrini. Seguivano Giacomo Lavagnoli, Bartolomeo Pellegrini, Agostino Montagna, Antonio Rodolfi, indicati come "usu rerum plurimarum peritissimos". In appoggio alla commissione c'erano poi i "tabelliones probatissimos", Vitaliano Faella, Antonio Donato Cavodasino, Giovanni Michele 'a Falcibus' e Bernardo Lombardo. I nomi si leggono nel 'proemium' al Statutorum
Veronae libri quinque, o.c.
271
"Nos vero - recita la ducale di Francesco Foscari - dictae Communitati in cunctis convenientibus complacere volentes, ipsa Statuta tenore praesentium cum nostro Consilio Rogatorum duximus confirmanda et approbanda: reservato tamen arbitrio et libertate nobis in eis addendi et minuendi, corrigendi et mutandi,
ut de tempore in tempus nobis conveniens esse videbitur".Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 390 (E'
collocata dopo il V e ultimo libro degli Statuti).
272
"Cum Veneti non recognoscant superiorem, locum principis obtinent in ipsorum civitates et subditos". MAZZACANE ALDO, Lo stato e il dominio nei giuristi veneti durante il "secolo della terraferma", in "Storia della cultura veneta", 3/I, o.c., p. 615.
273
"Statuimus et ordinamus - recita il testo - quod Dominus Potestas Veronae teneatur et facere debeat, quod
ius reddatur per ipsum dominum Potestatem et eius Vicarium, et Iudices ad iura reddenda in Civitate
Veronae deputatos, et consules...; primum secundum Statuta, et consuetudines Civitatis Veronae; et eis
deficientibus secundum jura Romana et glossas ordinarias Accursii approbatas per ipsum Accursium. Et in
quantum sibi ad invicem contradicerent, tunc iudicetur secundum illam glossam, quam approbat Dinus".
legislative esistenti. Lasciava con ciò alle classi cittadine il governo locale, riservando al potere centrale funzioni di controllo.