GLI STATUTI DEL
4.6. La vigilanza su corsi d'acqua e campagne 1 Il giudice dei ‘dugali’
All'inizio di novembre prima della nomina dei vicari da inviare nei vicariati della provincia di Verona, il consiglio dei XII e L sceglieva due cittadini cui affidare il compito di «Judices
Dugalium» sul territorio veronese, rispettivamente «citra Athesim» e «ultra Athesim»428. L'incarico veniva ricoperto per un anno, a partire da gennaio, con il salario mensile di 28 lire, corrisposto parte dalla Camera Fiscale e parte dal comune di Verona. I due giudici - il cui tribunale era ubicato nel palazzo del comune - avevano giurisdizione sugli argini dei corsi d'acqua con particolare riguardo
per il fiume Adige429, ma anche sulle strade, sui ponti, sulle fontane e «torrentibus sive prognis» del
distretto di Verona430. I due giudici dovevano «ex suo officio diligenter inquirere et providere,
defendere et mantenere» la loro regolare efficienza, e quindi che le acque e le loro arginature fossero «in bono acconcio». Le spese per le opere di manutenzione spettavano a coloro che «mores, consuetudines, ordines ac Statuta» indicavano come responsabili. I giudici dei ‘dugali’ nei primi
426
Libro IV Posta IX "Haec sunt Statuta super foeno, et paleis vendendis". Il 'soprastante' doveva vigilare senza farsi coinvolgere in attività di vendita. Gli era quindi proibito "messetariam foeni vel palearum exercere". Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p.325 (l.IV c. 189°).
427
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 327 (l.IV c. 195).
428
Libro V, Posta I: "Haec sunt Statuta Officii Dugalium, et pertinentium ad illud". Statutorum Veronae
libri quinque, o.c., p. 328 ss. Circa l'officio dei dugali, Andrea Castagnetti ebbe a scrivere: "Nel 1422 venne
istituito o meglio riformato, esistendo anche nei secoli precedenti, l'officio dei dugali, con disposizioni ampie e dettagliate, cui se ne aggiunsero altre nel 1435, riportate poi tutte sostanzialmente negli statuti cittadini del 1450". CASTAGNETTI ANDREA, La pianura veronese nel medioevo. La conquista del suolo
e la regolamentazione delle acque, in "Una città e il suo fiume. Verona e l'Adige", a cura di Giorgio Borelli,
Verona, B.P.VR., 1977, p. 102. Un più ricco utilizzo della normativa statutaria veronese si ha in SANCASSANI G., La legislazione fluviale a Verona dal libero Comune all'epoca veneta (secoli XIII-
XVIII), in "Una città e il suo fiume. Verona e l'Adige", a cura di Giorgio Borelli, o.c., p. 444.
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Nel 1622 i due giudici dei dugali saranno sostituiti da un 'collegio sopra la custodia' dell'Adige e Bussetto. La nuova istituzione viene motivata con queste parole: "Dopo aver esperimentati molti modi e regole di governo diretto con la sola sopraintendenza di due Giudici di Dugali Stat. Civit. lib. 5. cap. 1. giudicato di poco frutto nella molteplicità de lavorieri, ma più ne tempi d'escrescenza d'acque, nel quale era impossibile, che potessero assister in cadaun sito, e posto, e far che col suo ingegno, e vigore fosse in quelli reparato l'imminente pericolo, convenendo perciò al Publico soffrire infortunij notabili, dispendij gravissimi per le rotte, che ben spesso succedevano; finalmente l'anno 1622, 31. Agosto nel Consiglio de Cinquanta fu...eretto un Officio di otto prestantissimi intendenti, e pratici cittadini" ai quali è assegnata la riparazione dei fiumi Adige e Bussetto. Cfr. "Trattato sopra la custodia dell'Adige" a cura di Francesco Dal Pozzo, Verona, 1679, pp. 1-2 in, A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1495.
430
"De et super dugalibus et eorum brachiis, et similiter de et super clavicis, viis sive stratis, pontibus, fontibus, torrentibus, sive prognis Veronae districtus". Con la parola 'dugales' si indicavano in genere i
canali e le loro deviazioni ('brachia'), con 'clavica' gli sbarramenti per regolare il deflusso delle acque, con
'progni' i torrenti le cui acque provenienti dalle colline scorrevano verso la pianura. Sull'origine della parola
progno Scipione Maffei non ha dubbi e scrive: "...abbiam per certissimo, derivi dalla voce Latina pronus,
due mesi del loro servizio dovevano cavalcare nel distretto alla ricerca di eventuali lavori di manutenzione. Ogni qualvolta venissero loro segnalate dai massari dei paesi di campagna, dovevano prendere visione di particolari situazioni personalmente o attraverso i loro notai. Erano autorizzati a servirsi della consulenza di persone esperte «tam de civibus quam de districtualibus, qui sibi instructi et experti videantur». I giudici dei ‘dugali’ oltre che verificare dove ci fossero argini da riparare, acque da convogliare o deviare, avevano la facoltà di punire gli “inobedientes” e “negligentes”, di ricevere accuse e denunce sullo stato dei ‘dugali’, degli argini, delle chiaviche,
delle strade, dei ponti, ecc.431. I giudici dei dugali erano coadiuvati da due notai a testa432, tenuti ad
accompagnare il loro giudice - quindi ad «equitare pro suo officio esercendo» - stendendo poi le relazioni. Giudici e notai, «reversi ad civitatem Veronae» dopo le ispezioni fatte nel territorio,
consegnavano le relazioni al “massaro”433. Come salario i quattro notai ricevevano 20 lire al mese e
il ‘massaro’ dei ‘dugali’ 12 lire. Era proibito sia per i notai che per il massaro ricevere oltre il detto salario «ab aliqua persona, vel communi... aliquod donum vel munus». Si è però autorizzati ad accettare qualche cosa da mangiare e da bere («nisi esset esculentum, vel poculentum»). La stessa proibizione valeva per gli “ingenierii”, che a richiesta dei giudici preparavano le “provisiones”, cioè i progetti per attuare i lavori necessari ai fiumi, canali, ecc.; oppure erano presenti ai collaudi dei lavori fatti. Gli ingegneri per le “provisiones” e per le “laudationes” ricevevano un compenso di 25
soldi al giorno434. Quando si riscontrava da parte dei giudici che una strada era “devastata”, che un
‘dugale’ non era stato ‘sgarbato’ (cioè ripulito dell'erba e delle spine), oppure che un ponte era stato “fracto”, o ancora che un argine era rotto o altrimenti “devastato”, si faceva un'indagine «super una communitate», anche se parecchie erano le persone tenute alla riparazione, e tale indagine era formalizzata contro i comuni nei quali era stato riscontrato il ‘dugale’ o l'argine o il ponte da riparare. Quindi il giudice dei ‘dugali’ pretendeva il ripristino ambientale dalle comunità, anche se responsabili dei danni erano singoli privati. I comuni avevano facoltà di rifarsi contro i “damnatores”. I giudici, fatte le debite indagini (‘inventiones’, ‘inquisitiones’) e le relative denunce, ordinavano ai massari delle ‘ville’ dove avevano constatato la necessità di una riparazione, di adoperarsi per farla «cum eorum communibus et hominibus». Delle riparazioni fatte entro i limiti di tempo stabiliti dall'officio dei ‘dugali’, si doveva far fede comunicandone l'esecuzione agli stessi
giudici435. Il collaudo (‘laudatio’) dei lavori eseguiti avveniva alla presenza di un «judex dugalium»,
di un ingegnere, di quattro o sei «cives consortes», e dei cittadini interessati ai lavori436.
I giudici dei ‘dugali’ dovevano tenere un «librum membranum memoriale pro quoque» sul quale descrivere tutti i corsi d'acqua principali con i loro affluenti («dugalia magistra cum suis brachiis»). In tale libro erano anche indicate le “copule” dei paesi che dovevano provvedere alla
manutenzione degli argini437. Il libro memoriale o «campiono omnium dugalium» doveva trovarsi
431
Avevano quindi la giurisdizione "cognoscendi quoque, terminandi, absolvendi et condemnandi, praecipiendi et banna imponendi, multandi et puniendi...secundum ordines et statuta". Statutorum Veronae
libri quinque, o.c., p. 328 (l.V c.1°).
432
Quindi i notai da eleggere ogni anno erano quattro. Restavano in carica un anno. Non potevano essere riconfermati essendo richiesta la 'vacanza' di un anno. Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p.329 (l.V c. 2°).
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Le relazioni erano scritte sopra un "libro ordinario", depositato presso il massaro. Questi veniva ugualmente eletto dal consiglio, durava in carica un anno e teneva "bonum et ordinatum computum" di tutte le entrate e le spese "dicti officii judicis utriusque". Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 33O (l.V c. 3°).
434
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p.331 (l.V c.5°).
435
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., pp.331-332 (l.V capp.7°-8°).
436
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 333 (l.V c.10°).
437
Con la parola "copula" si voleva significare la metà di un "colonello". Il territorio dal punto di vista amministrativo - come dirò altrove - era diviso in otto circoscrizioni dette 'colonelli', e ciascun 'colonello' in due 'copule'. Cfr. in questo lavoro il par. 12.5 "I 'famuli vicariorum' e la costituente di Zevio" del cap. XII "Il
depositato in copia anche presso i provveditori del comune di Verona438. Per pagare le spese, i giudici potevano imporre una tassa (“dadia”) con il consenso però della maggior parte delle persone
coinvolte nell'operazione439.
4.6.2. “Dugalieri” e “saltari”
Ogni anno nel mese di gennaio le singole comunità delle ‘ville’ dovevano comunicare all'officio dei ‘dugali’ i nomi dei massari, ‘dugalieri’, e ‘saltari’, e di altri ufficiali, ai quali i giudici dei dugali potessero ricorrere per le esigenze del loro servizio. I dugalieri e i saltari erano tenuti a denunciare ai giudici entro tre giorni i danni riscontrati ai ‘dugali’, provocati da persone o da bestie o da altro motivo. I saltari e i dugalieri, scelti dai comuni, erano tenuti a vigilare a che qualche persona (di giorno o di notte) non devastasse argini o strade conducendo buoi o altre bestie, carri, aratri, erpici440.
I comuni delle ‘ville’ almeno una volta all'anno - di maggio o d'agosto - erano tenuti a ‘sgarbare’ cioè a togliere le erbe dall'alveo dei ‘dugali’ e a gettare quanto avevano prelevato dal
letto del corso d'acqua due pertiche lontano441. Presso i ‘dugali’ dovevano essere costruite siepi a
salvaguardia delle rive, dagli abitanti che vi transitavano o che vicino avessero le loro case442. A tre
piedi dalle rive non si doveva arare, né zappare, né spianare e nemmeno rimuovere la terra443. Ad
ogni capitolo il legislatore non si stanca di ricordare le ammende inferte ai trasgressori ribadendo che le spese di riparazione e di rifacimento sono a carico dei comuni, anche nella manodopera. Si stabilisce infatti «quod omnes habitatores villarum compellantur laborare ad aggeres, stratas, et dugalia suarum pertinentiarum».
Sulla riparazione e ricostruzione degli argini del fiume Adige, il cap. 25° comporta disposizioni molto più numerose ed impegnative delle precedenti riguardanti i ‘dugali’, le chiaviche, le strade. Sono previste per una maggiore sicurezza e resistenza degli argini alcune sopraelevazioni,
dette “repeonaturae” o “levaturae”444. Quando era necessario fare qualche «palificatam sive
pennellum pro sostentatione et conservatione aggerum», i giudici dei ‘dugali’ erano tenuti a far
eseguire l'opera «ad provisionem locationis in incantu contentam»445. Nel momento in cui le
438
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 334 (l.V c.12°).
439
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 334 (l.V c.13°).
440
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 335 (l.V c.16°).
441
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 336 (l.V c.17°).
442
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 337 (l.V c.18°).
443
Statutorum Veronae libri quinque, o.c.,p.337(l.V cc.19°,20°).
444
Lo Statuto usa termini come "palaficatae" e "repeonaturae", oppure "penelli" per indicare vari tipi di intervento idonei a rafforzare gli argini dei fiumi. Più precisa è una stampa secentesca dalla quale veniamo a sapere che gli interventi agli argini di un fiume sono di tre tipi: 'levature', 'banche', 'repeonadure'. Le 'levature' comportano l'innalzamento di un argine, giudicato basso, mediante riporto di terra nuova. La 'banca' è un intervento di rafforzamento dell'argine a scarpata dal lato della campagna. La 'repeonadura' si fa quando "l'argine non solo è reso sottile, per continua corrosione d'aqua...ma anche quando nel medemo sito il fiume si è totalmente alzato, che convien alzarlo, e terrapienarlo gagliardamente... V'è diferenza considerabile tra la banca e repeonadura, essendo quella picciol fortezza dell'argine, questa un fermo, e sodo puntello". Cfr. "Trattato sopra la custodia dell'Adige" a cura di Francesco Dal Pozzo, Verona, 1679, pp. 27-31, in A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1495.
445
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 340 (l.V c.25°).
- Mentre gli interventi di arginatura chiamati "levature", "banche" e "repeonadure" comportavano il riporto di terra con cui si venivano a formare dei terrapieni di proporzioni e di inclinazione diversa, le palizzate, messe in opera soprattutto nei punti di svolta di un fiume, assumono nomi diversi a seconda del tipo di lavoro realizzato. Le "palificate" nella stampa secentesca del Dal Pozzo assumono i nomi di "paradore", "cassa" e "penello". Il "paradore" è "una fila di travi d'ugual grandezza e distanza...bene insieme concatenati con le sue filagne, e con chiavi all'argine raccomandate... Non si pratica inviminarlo, come si fanno li
«columnae pennellorum et palificatarum» venivano infisse, doveva essere presente un giudice o un suo ‘massaro’ o uno dei ‘consorti’ del luogo. Non si poteva infiggere nulla senza la presenza di una delle predette persone. I giudici ‘dugalium’ o i notai non dovevano aver parte «per se, vel alium, directe vel indirecte» nei lavori che spettavano alle loro responsabilità e decisioni previste dallo statuto446.
Nessuno poteva tenere sul fiume Adige un mulino «pro macinando», se prima non aveva “palificato”, cioè fatto un «pennellum de salicibus, vel aliis lignaminibus» della lunghezza almeno
dello stesso mulino e di altezza uguale a quella dell'argine dell'Adige447. Per la conservazione degli
argini grandi e piccoli era proibito l'esercizio della pesca e il deposito degli strumenti relativi, nelle valli della «Tomba superioris et inferioris, Porcillarum, Zerpae et Ruperiae, Casellarum, et
Fonzanae». Nei successivi capitoli le disposizioni riguardano il Bussé448 e i «fossi della palude»; la
penelli, stimandosi valevole ostacolo, senza la vimena, contro l'impeto". La "cassa" è "una piantata di travi a
simiglianza appunto d'una cassa di legno ben assodata da grossi traversi... S'empisce di legne, o di bolpare, o tirelle di vigna". Il "penello si pianta, come la cassa, ma con un ordine solo de travi più grossi in testa, che in coda, con sode filagne, e con molte chiavi fermate nelle rive, e va invimenato". L'operazione di "inviminatura" consiste nel riempire con "bacchette longhe e grosse di salice o salgar" lo spazio rimasto tra una trave e l'altra. Le "vimene o siano bacchette devono esser longhe piantate nel letto del fiume, e le cime devono ecceder l'altezza del penello, e a fine ciò ne segua è necessario invimenar solo nel tempo, che l'aqua è bassa". Le "bolpare" sono fasci di legna e sassi legati insieme. Questa la spiegazione secentesca: "Perchè molte e numerose casse sono piantate nei luoghi, per dove del continuo scorre l'aqua, ancorchè bassa fa di mestieri servirsi di materia grave, e pesante, che subito vadi e si fermi nel fondo. Il semplice legno per natura non è atto, e la terra, o il sasso per se stessi non han consistenza, e consistendo, vengono dalla piena furiosa portati; onde perchè il legno, e la terra, e il sasso stia permanente sott'aqua, s'immaginò mirabilmente l'Arte di raccomandar nel mezzo d'una fassina longha almeno sei piedi il sasso, o la terra strettamente, con sei stroppe legata, chiamandola comunemente bolpara". Cfr. "Trattato sopra la custodia dell'Adige" a cura di Francesco Dal Pozzo, Verona, 1679, pp. 33-37, in A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1495. In luogo della parola "bolpare" altrove si usa quella di "volpare". Cfr. "Incombemze et oblighi delli ministri sopra l'Adige,
stampati di ordine del Mag. Collegio sopra la custodia del fiume Adige", in A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1494."
446
Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p.341 (l.V c.26°).
447
Le ragioni di tale esigenza sono così spiegate nel Trattato del Dal Pozzo: "Non si può immaginare quanto danno e pregiudicio rechino li molini agl'argini, in particolar nelle volte, o tortuosità, e fra l'altri è considerabile, che l'aqua pigliando maggior forza e moto al movimento della ruota, va sensibilmente corrodendo l'argine stesso al quale è vicino; onde con fondamento li nostri maggiori ordinarono, che chionque havesse facoltà di tenir molino sul fiume, dovesse in quel sito piantar un grosso, e fermo penello alto come la sponda, e longo come un pontone Stat. lib. 5. cap. 27. Part. Cons. 1536. 15. Decembre". Ci sono tuttavia delle posizioni in cui il 'penello' è assolutamente inutile. In quei casi il lavoro non viene preteso e i soldi risparmiati vengono ugualmente riscossi e destinati ad altri interventi di arginatura. Cfr. "Trattato
sopra la custodia dell'Adige" a cura di Francesco Dal Pozzo, Verona, 1679, pp. 39-40, in A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1495.
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La giurisdizione su "Adige e Bussetto" passerà dunque nel 1622 dai giudici dei 'dugali' ad un "collegio
sopra la custodia dell'Adige e Bussetto". L'individuazione del 'Bussè' avviene con queste parole: "A questo
governo è sottoposto il Bussè fiume che ricevendo, e aque vive, e scoladizze, dalla parte del Valese, e dall'altra del Palù e Creda, le depone placidamente nell'Adige a Roverchiara, nel qual sito stavi costruta una ferma, e soda chiavica, che in tempo di piena dell'Adige dal chiavegato, o custode destinato dal collegio, resta incontinente otturata, altrimenti fattasi l'aqua dell'Adige superiore in altezza a quella del Bussè, scorrerebbe furiosamente all'insù, e facendosi largo con la rottura degl'argini, allagarebbe a danno comune la campagna". Cfr. "Trattato sopra la custodia dell'Adige" a cura di Francesco Dal Pozzo, Verona, 1679, p. 45, in A.S.VR., Archivio Morando, proc. 1495. Oggi - estate 1993 - presso il consorzio di bonifica Valli Grandi e Medio Veronese è allarme rosso per il Bussè, un fiume destinato a morire per l'esaurirsi delle vene che lo alimentavano. Il Bussè nasce nella palude del Palù a sud di Zevio e dopo circa 35 chilometri si getta nel Canal Bianco, ma fino al 1800 confluiva nell'Adige presso Roverchiara. Prima dell'attuale (1993) secca riceveva le sue acque da alcune piccole risorgive, dai fossi di scolo della palude stessa e da efiltrazioni
strada che va da Lepia alla ‘villa’ “Blondarum”, la cui manutenzione viene garantita dai comuni di Porcile, Bionde, Zerpa, Cavalpone, Albaredo, Zimella, Baldaria, Cologna, Pressana, Sabbion, Minerbe, Coriano, S. Stefano, Bonavigo, Cucca, Orti ed altri; il fiumicello («inizia sopra la villa di Sabbion e scorre fino e oltre la chiesa di S. Sebastiano di Pressana»), che deve essere tenuto mondato dai comuni predetti; il fossato Gambaldon nel territorio di Moradega e Villimpenta; il fiume nuovo; i progni di Valpantena e di Negrar; il fonte di S. Fidenzio, di Poiano,e di S. Maria in Stelle; il fiumicello di Montorio e l'acqua di fonte di Mezzane, che scorre «per terram Lavanei» fino «ad Turrim Vagi». Di tutti i fossati e fonti, i comuni hanno l'obbligo di curare l'efficienza e ovviamente i giudici dei ‘Dugali’ il controllo almeno due volte all'anno nei mesi di marzo e di agosto.
Il podestà deve coadiuvare all'operato dell'officio dei ‘dugali’ e prestare il suo aiuto «quoties fuerit petitum»; i ‘consorti’ e gli abitanti non possono fare a meno di «intendere vel obedire dictis iudicibus». Le condanne dell'officio dei ‘dugali’ non possono superare la somma di 10 lire; se sono
superiori, il giudizio spetta al podestà449. L'esazione delle ammende per le condanne inflitte dai
«dugaleri sive saltuari» era fatta dai vicari dei comuni e luoghi, dove le condanne erano state
comminate450.
4.6.3. Il giudice delle “sorti”
All'inizio del mese di novembre di ogni anno, prima di fare l'elezione dei vicari, in consiglio dei XII e L si eleggeva anche «unus civis bonae intelligentiae et reputationis», perchè fosse giudice
delle ‘sorti’ e delle ‘regole’, esistenti intorno alla città e ai borghi di Verona451. Compito del giudice
- che aveva il suo ‘tribunale’ nel palazzo del comune di Verona - era quello di «bene et diligenter» regolare e custodire «sortes et regulas».
Il giudice delle ‘sorti’ provvedeva a che fossero efficienti le strade, i ponti, i pozzi, le siepi (“caesas”, da cui il dialetto veronese “seze”) e i ‘dugali’ «sive fossata» (canali). A cavallo visitava le ‘sorti’ e le ‘regole’, facendosi accompagnare dai suoi saltari o guardie campestri, e da un notaio. A quest'ultimo spettava il compito di verbalizzare le indagini e quindi le eventuali «inventiones, accusationes, denunciationes» contro chi avesse causato danni alle ‘sorti’ attraversandole a piedi o
dall'Adige. Il progressivo impoverimento, fino all'attuale agonia, viene attribuito agli scavi massicci di
sabbia e ghiaia sul greto dell'Adige, che avrebbero fatto abbassare sensibilmente il livello della falda per cui
le sue acque non alimentano più il Bussé. A ciò si agggiunga che le opere di regimazione dei fiumi a monte hanno drasticamente fatto diminuire la quantità di detriti portati a valle, per cui le ditte che gestiscono le cave sono costrette a lavorare sempre più in profondità. Sembrano insomma quasi incredibili i tempi in cui era possibile dal Po raggiungere l'Adige tramite il Bussè: si passava attraverso la fossetta Mantovana e si arrivava nel Tartaro; di lì si proseguiva fino alla confluenza con il Bussé, di cui si risaliva la corrente fino a Legnago, da dove si poteva passare in Adige.
449
Le condanne non erano lette nell'arengo del comune di Verona, ma avevano lo stesso valore come se fossero state proclamate "in concione". Le entrate per le condanne pronunciate dall'officio dei 'dugali' erano divise in quattro parti: una all'inventore, "sive sit Judex, sive notarius, vel alia quavis persona"; "et aliae tres partes deveniant ad dictum officium".
450
Tutte le scritture compilate dai notai "deputati ad officium dugalium", e cioè "descriptiones camporum,