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IL GOVERNO LOCALE

6.1. La città in pugno

quando ti saranno stati dati in nota dalli Piovani, ovver Preti, Curati, et dal Padre, ovver Madre, siccome sono obbligati, tu, tutto quello che ti sarà stà denotato, subito devi per tue lettere notificarlo alli Avogadori nostri di comun. Così pure i matrimoni". A.S.VR., VIII Vari, n° 4 ('Commissione' a Girolamo Pisani, capitano di Verona, 1738).

608

A.S.VR., VIII Vari, n° 3 ('Commissione' ad Andrea Renier, capitano di Verona, 1546, cc. 137-137v). Alcune di queste disposizioni le ritroviamo anche nella 'commissione' data ad Ermolao Barbaro dove si impone un tetto al numero dei parenti che può portare con sè. Non dovevano essere più di sei. Altri parenti potevano essere ospitati, a spese però del podestà. SANCASSANI G., Commissioni a Ermolao Barbaro, o.c., p. 478.

609

Il cui valore non deve eccedere i 30 ducati. A.S.VR., VIII Vari, n° 3 ('Commissione' ad Andrea Renier, capitano di Verona, 1546).

610

Anche per il cavallo si pone un tetto. Non deve avere un valore commerciale superiore ai 50 ducati. A.S.VR., VIII Vari, n° 3 ('Commissione' ad Andrea Renier, capitano di Verona, 1546, c. 139).

611

A.S.VR., VIII Vari, n° 3 ('Commissione' ad Andrea Renier, capitano di Verona, 1546, cc. 139-139v).

612

La nuova struttura del consiglio cittadino dei Dodici e Cinquanta viene proposta dal giurista

Barnaba Morano durante la seduta dei Dodici del 31 luglio 1405613. Il Morano giustifica la riforma - e cioè l'abolizione del consiglio maggiore dei 500 e degli Anziani - con la necessità di eliminare gli scandali che facilmente potevano aver luogo con assemblee numerose, essendo egli convinto che «ubi multitudo, ibi confusio». La proposta del Morano, approvata dai rettori veneti presenti, impresse un nuovo volto al consiglio cittadino, che sanzionato poi dagli Statuti del 1450, era

destinato a durare fino al 1797614.

A Verona, come in tutte le città della Terraferma, nel '400 il consiglio si chiuse

progressivamente agli «homines novi»615. Nel '500 il processo di chiusura si poteva considerare

ormai concluso. Il consiglio nella sua composizione all'inizio dell'età veneziana si presentava abbastanza eterogeneo. Vi sedevano membri di famiglie appartenenti alla nobiltà di ascendenza

feudale oppure signorile; ma anche esponenti di famiglie arricchitesi con la mercatura616. Se dunque

il consiglio fin dall'inizio del periodo veneto si chiuse rigidamente verso l'esterno, con ripercussioni su tutte le cariche cittadine distribuite tra coloro che sedevano nell'assemblea consiliare, esso rimaneva molto variegato al suo interno. La nobiltà non costituiva in consiglio una forza unitaria,

613

"Barnaba da Morano - scrive Gian Maria Varanini - giudice appartenente ad una importante famiglia modenese, radicatosi a Verona nel tardo Trecento, non va annoverato in senso stretto fra i funzionari e gli uomini di corte scaligeri. Fa parte piuttosto di un gruppetto di autorevoli professionisti, che si impongono per prestigio e cultura nella società veronese dell'epoca, e che svolgeranno un ruolo importante nella 'transizione' al regime visconteo e poi a quello veneto: sarà proprio Barnaba da Morano - non a caso - a presentare nel luglio 1405 una proposta di modifica costituzionale molto importante, riducendo a 50 il numero dei consiglieri del comune di Verona". Barnaba da Morano - largamente munifico nei confronti della chiesa di S. Fermo Maggiore - meritò di esservi sepolto in una stupenda arca funebre. VARANINI G.M., Una sentenza di Barnaba da Morano vicario generale del comune, in "Gli scaligeri. 1277-1387", a cura di Gian Maria Varanini, o.c., p. 212.

614

La riduzione da 500 a 50 non sarebbe una novità in senso assoluto. L'ipotesi, avanzata da John Easton Law, è condivisa da Gigliola Soldi Rondinini. E' la studiosa ad informarci che John E. Law "ritiene, sulla base di un circostanziato esame delle fonti esistenti, di poter anticipare la cosiddetta riforma del Consiglio generale di Verona, fatta dalla Serenissima alla fine di luglio 1405. Il Consiglio dei 50, uscito da tale riforma, sarebbe stato infatti ripreso da quei cinquanta 'aggiunti' dei Dodici 'ad utilia' che si vedono operare già durante il dominio di Gian Galeazzo Visconti". La Soldi conclude:"L'ipotesi ci sembra assai convincente e risponde appieno agli indirizzi politici del Milanese, tendente a limitare ad un numero ristretto di persone la partecipazione alla cosa pubblica". SOLDI RONDININI G., La dominazione viscontea a Verona (1387-

1404), in "Verona e il suo Territorio", v.IV, t.1, o.c., p. 162.

615

Per un'esemplificazione di quanto avviene negli altri centri dello stato veneto ricordo - sulla scorta di quanto scrive Federico Seneca - il caso di Bassano, dove all'inizio del Quattrocento i nobili che siedono in consiglio sono in numero assai limitato. Nel corso della prima metà del Quattrocento essi sono già divenuti maggioranza, che si fa schiacciante nella seconda metà del secolo. Sul finire del '400 la presenza dei popolari nel consiglio risulta "limitata a pochissimi casi, per divenire poi del tutto eccezionale nei primi anni del Cinquecento, come avviene nel 1511, quando compare per l'ultima volta un popolare". FEDERICO SENECA, Bassano sotto il dominio veneto, in "Storia di Bassano", Vicenza, 1980, p. 66. Per la Terraferma un classico testo di riferimento - recentemente riedito, è VENTURA ANGELO, Nobiltà e popolo nella

società veneta del Quattrocento e Cinquecento, Milano, Unicopli, 1993.

616

Paola Lanaro, studiando l'evoluzione del ceto dirigente veronese, ha appurato che al 1406-1407 sui banchi del consiglio siedono 1 sellaio, 3 orefici, 3 venditori di panni a ritaglio, 1 speziale, 1 tintore, 2 vetrai, 1 filatore di seta, 1 mercante di panni, 1 purgatore di panni, 1 cambiatore, e 9 notai. La Lanaro osserva poi: "Questi consiglieri di cui viene indicato lo svolgimento di una attività meccanica siedono in Consiglio unicamente nei primi decenni del Quattrocento, poi tendono progressivamente a scomparire: nessuna legge scritta impedisce loro l'accesso al Consiglio, ma tale preclusione è da attribuirsi ad una diversa mentalità che impone il reclutamento su termini più ristretti e più nobiliari". LANARO SARTORI P., Un'oligarchia

risultando spaccata in fazioni fin dai tempi più antichi. Predominanti furono per lungo tempo le due “fattioni” dei Nogarola e dei Bevilacqua, chiamate una “negra” e l'altra “bianca”. Verso la fine del

'500 ne sorse una terza, detta della “scala”, o anche “scalotta” oppure dei “barettoni” (617. Venezia

seguì sempre con sospetto i comportamenti della nobiltà veronese e non mancò di dimostrarlo con decisioni anche gravi che rappresentavano un'aperta violazione dei pacta di dedizione del 1405. In particolare nel 1449 una ducale di Francesco Foscari sopprimeva il consiglio dei Dodici, rimettendo le sue funzioni ai rettori. In capo ad un anno il consiglio sarebbe stato reintegrato. Il colpo di mano di Venezia contribuì però ad accelerare la compilazione degli Statuti cittadini. Infatti il 14 agosto 1450 la commissione, presieduta dall'umanista e cancelliere Silvestro Lando, presentava i cinque libri del nuovo corpus statutario, che sarebbero stati approvati da Venezia l'11 ottobre dello stesso anno618.

Durante l'occupazione austriaca (1509-1517) la nobiltà veronese non fu fedele a Venezia. Perciò cessata la guerra contro Massimiliano, la Dominante rinnovò il consiglio facendo intervenire i rappresentanti delle contrade e provocando un'elezione straordinaria di consiglieri. La stessa operazione fu condotta in porto anche a Vicenza ed in particolare a Padova dove l'epurazione dei

nobili caduti in disgrazia fu molto severa619. Ma le preoccupazioni peggiori continuavano a venire

da Verona. Nel 1518 il consiglio dei Dieci temette che l'imperatore potesse approfittare del malcontento dei nobili esclusi dal consiglio per rioccupare con un colpo di mano la città. Il supremo tribunale veneziano impartì perciò severe disposizioni ai rettori scaligeri onde venisse rafforzata la sorveglianza alle porte e lungo le mura, nel timore appunto che «cum intelligentia de quelli de la città», gli imperiali si infiltrassero in Verona. La preoccupazione aumentò quando nel 1520 Guglielmo Guarienti, uno degli esponenti del partito filoveneziano, fu assassinato senza che si potesse mai assicurare alla giustizia l'uccisore. Negli anni successivi il consiglio dei Dieci fu costretto a convocare due gruppi di veronesi che avevano provocato tumulti in città e all'interno del consiglio. Nel 1521 fu sentito un gruppo di nobili tra cui i Nogarola, i Maffei e i Sanbonifacio; nel 1522 i “marcheschi” Aurelio Borghetto, Francesco Sguarzeto, Paolo Zen “di Lazari”. Gli uni e gli altri miravano al controllo della vita politica locale. Venezia cercò di riappacificare i contendenti, minacciando anche gravi sanzioni. L'entrata in consiglio era, infatti, decisa da quelle conventicole nobiliari (la Nogarola, la Bevilacqua, la Scalotta o Barettona, i Farabotti) che di volta in volta avevano la prevalenza anche se materialmente i nuovi consiglieri erano votati dal «consiglio di tutto

l'anno»620.

617

Il terzo gruppo nobiliare si chiama 'Scala o Scalotta' perchè "i due principali capi di essa, i quali erano il conte Paolo Sesso et il cav. Michiel Verità, ambidue mancati di vita, habitavano nella parte dove è il monasterio di S. Maria della Scala, nel qual anco co' suoi spesso si riducevano; et con altro nome si chiamano de' Barettoni, perchè quei vecchi, vestendo all'antica, solevano portar berrette di panni, con le ale larghe". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo

marzo 1600, o.c., p. 15. Notizie sulla compagnia Berettona - custodite nell'archivio Dionisi Piomarta - si

leggono ora in LANARO SARTORI P., Un'oligarchia urbana nel Cinquecento veneto, Istituzioni,

economia, società, o.c., p. 67.

618

La ducale è leggibile nell'edizione del 1747 al termine dei cinque libri di cui si compongono gli statuti veronesi e prima dei privilegia. Statutorum Veronae libri quinque, o.c., p. 390 (ducale 11 ottobre 1450).

619

Particolarmente martoriata dalla guerra fu Bassano, più volte riconquistata e perduta dai Veneziani. Già nel novembre del 1509 al primo rientro in Bassano, che come Verona si era data all'Austria, "il governo veneziano non si oppose certo alla confisca dei beni, decretata senza indugio dal Consiglio comunale, di coloro che...si erano maggiormente compromessi; né permise che altri...in quanto parenti dei promotori del moto sedizioso contro la Repubblica, potessero far parte del Consiglio". SENECA F., Bassano sotto il

dominio veneto, o.c., p. 83.

620

"Ultimamente è uscita un'altra fattione in numero di dicisette in circa, chiamata con vocabolo di burla i

Forabotti. Questi sono alcuni geltilhuomini, che spesso mangiano insieme: e perchè per haver buon vino

Quest'ultimo, costituito da 122 persone, si riuniva in dicembre per nominare appunto i nuovi consiglieri. «Cambiasi ogni principio d'anno - ha lasciato scritto il podestà Nicolò Donato nel 1635 - il quarto di loro, che resta per due anni in contumacia, settantadue dei quali divisi in sei parti formano ogni due mesi il Conseglio... dei Duodeci et gl'altri cinquanta restano del Conseglio

chiamato pur di Cinquanta621; dai quali due Consegli uniti insieme s'elegge il Vicario della Casa de'

Mercanti; li tre conservatori delle leggi et li due proveditori della Città ogni tre mesi uno, stando

ciascun di loro li tre mesi primi al negocio e gl'altri tre mesi alla cassa622. Il Conseglio di Duodeci

con li due proveditori della città, Vicario della Casa dei Mercanti et tre conservatori delle leggi623, si

riduce ad ogni richiesta de proveditori et quello al negocio propone li negoci correnti, si consultano et si deliberano con ballottatione secreta et per li negoci più importanti si chiama il Conseglio di

Cinquanta; entra come capo il Conseglio di Duodeci et li due proveditori dove si portano per la loro

principalmente il cav. Pompeo Pellegrini et il sig. Guglielmo Guarienti". CAVATTONI C. (a cura di),

Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., p. 16.

621

Un utile chiarimento del meccanismo consiliare può venire da questa illustrazione: "Verona possiede due

consigli: uno maggiore composto di 50 membri che rimangono in carica un anno; e uno minore, di 12

persone (o mude), che governano soltanto per due mesi. Quindi ogni anno la Città ha bisogno di 6 mude (o copule) di 12 consiglieri, per un totale di 72 persone. All'inizio di ciascun anno si procede al rinnovo totale di entrambi i Consigli, con un curioso procedimento, che rende pressoché impermeabili i due Consigli a tutti coloro che non siano del giro. Il Consiglio dei 50 viene eletto utilizzando le 72 persone che avevano fatto parte delle 6 mude di 12. Come dire che quasi tutti i 72 del Consiglio minore entrano nel maggiore. I 50 usciti dal Consiglio maggiore vanno a formare le 6 mude del Consiglio minore. Ne mancano, però, ancora 22 per arrivare a 72. I 22 mancanti vengono attinti tra chi è rimasto inoperoso nell'anno appena concluso. In tale maniera il ricambio non potrà che essere lentissimo. Tanto più che i grandi elettori sono 24 membri di 2 mude di 12. E con ciò i conti tornano alla perfezione, perchè è chiaro che i grandi elettori hanno tutto l'interesse ad attingere nella cerchia dei propri parenti ed amici. Il rinnovo sarà più lento - e quindi il gioco ancor più facile - dopo l'occupazione asburgica di Verona (1509-1517). A quel punto ci si limiterà a rinnovare annualmente solo un quarto dei Consiglieri in carica". FRANCESCO VECCHIATO,

L'amministrazione di una città della Terraferma in epoca veneta, Estratto da "Verona, 1405-1797", Verona,

1981, pp. 16-17.

622

La permanenza alla cassa o al negozio verrà semestralizzata con la riforma del 24 gennaio 1724. I provveditori continueranno a rimanere in carica sei mesi ricoprendo però sempre lo stesso ruolo e non più alternandosi come si faceva prima per tre mesi alla cassa e per altri tre al negozio. Ne accenno in questo lavoro al cap. VII ("Camera fiscale e cassa comunale").

I due provveditori rappresentano i vertici dell'autorità cittadina assommando nelle loro mani il potere esecutivo. Sull'informazione Cavattoni si legge in riferimento ai due provveditori del comune di Verona: "Quello che è al negotio viene ogni mattina a levar il Sig. Podestà, e quello che è alla cassa leva il Sig. Capitano". CAVATTONI CESARE (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese,

compiuta il primo marzo 1600, o.c., cap. XX, p. 16. - Anche dal Maffei ci viene una conferma del diritto

riconosciuto ai due provveditori di convocare "il Consiglio anche fuori dei tempi prescritti". Predecessori dei provveditori sono i due "procuratori" previsti dallo Statuto del comune redatto dal notaio Calvo nel 1228, i quali "sovraintendevano agli affari principali della Città e Territorio". I "procuratori" del 1228 avevano incombenze che sarebbero passate poi ai cavalieri di comun pure eletti in età veneta dal consiglio cittadino dei XII e L.

623

Come ribadirò nel prossimo paragrafo, al 29 maggio 1502 vengono creati i 3 "Syndicatores Officiorum de intus". Al 26 giugno 1565 preso atto che i 3 "Syndicatores" non hanno sindacato molto, se ne rilancia la funzione trasformandoli in "Conservatores legum, et Syndicatores Officiorum de intus". Al 7 dicembre 1607 si tornerà sull'argomento dando nuovo impulso alla loro azione, ed esigendo che intervengano regolarmente alle riunioni del consiglio comunale. Si dice infatti: "Quod quotiescumque convocabuntur Consilia nostra tam XII Deputatorum, quam XII et L, et Consilium Majus, admoneantur per Bidellos singuli legum

Conservatores, ut Consilijs ipsis intersint; Quod si non venerint saltem ad Consilia XII et L ac ad Consilium L et LXXII intelligantur esse contumaces". "Partes et Ordines super Officio Legum Conservatorum, et

Syndicorum omnium officiorum intus Magnificae Civitatis Veronae", in A.S.VR., Archivio Dionisi-

approbatione li decreti del Conseglio di Duodeci, con previa disputatione del proveditor al negocio et di uno delli contradittori et in alcune cose maggiori si chiama anco tutt'il corpo unito delli cento e

ventidue sopradetti, chiamato il Consiglio di tutto l'anno, il quale al fine di decembre fa l'elettione di quel quarto che deve entrare l'anno venturo in luogo di quello che va in contumacia et delli luoghi

vacanti degl'altri tre quarti. Elegge alcuni Vicarij per le ville del Territorio et altri uffici diversi per l'anno venturo, ma ognuno di questi Consigli si riduce sempre con la licenza et presenza del

Podestà, che rappresenta la Serenità...et nel Conseglio di Cinquanta o di tutto l'anno v'intervengono

anco a lor piacere gl'Illustrissimi Capitanij e Camerlenghi, ma non sono necessarij essendo il

Podestà solo capo di tutto il governo»624.

I Dodici erano dunque portati, per la natura della loro attività, ad anticipare le decisioni sugli argomenti discussi, togliendo prestigio ed importanza ai Cinquanta, ma anche estromettendo i rettori veneziani che avrebbero dovuto intervenire ad ogni riunione del consiglio. Di quest'ultima prassi si

lamentano ripetutamente i rettori nelle relazioni stese al termine del loro mandato625. Allineato alle

loro posizioni è l'anonimo estensore dell'informazione su Verona del 1 marzo 1600. Egli non perde occasione per stigmatizzare i comportamenti scorretti dei veronesi, contro i quali utilizza anche

l'arma dell'ironia come quando paragona il consiglio dei XII di Verona a quello dei X di Venezia626.

La tendenza da parte del consiglio a scavalcare il consiglio dei Cinquanta, viene confermata da una delibera del consiglio dei XII e L, varata il 10 gennaio 1505, nella quale si dispone «quod numerus duodecim deputatorum non habeat libertatem interpretandi Statuta vel Partes, in Consilio XII et L captas: sed ea et eas solum modo prout iacent exequi debeat. Et si inter eos aliqua difficultas oriretur circa Statuta vel partes praedictas, remittant ipsi consilio XII et L differentiam seu difficultatem decidendam et terminandam. Et huius partis observantiam... provisores communis

qui pro tempore erunt inviolabiliter procurare et manutenere teneantur»627.

La tendenza del consiglio dei XII portato ad escludere dalle proprie riunioni il podestà veneziano può essere letta anche come una forma di ritorsioni contro le sempre più frequenti esclusioni dei giudici veronesi della consolaria dai processi più importanti, affidati con frequenza

624

Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, IX, Podestaria e Capitanato di Verona, o.c., pp. 331-332 (podestà, Nicolò Donato, 21 giugno 1635).

625

Preoccupata la denuncia del podestà Giulio Contarini. Al 1606 egli scrive: "Da molti anni in qua...nè il Podestà nè alcuno da lui delegato vien invitato nè interviene nelle consultationi di detto Consiglio de Dodeci". "Ma quello che io stimo - prosegue Giulio Contarini - che sia pessima introduttione et con

corruttela è che alcune volte si riducono (=riuniscono) li proveditori et li XII, li quali hanno anco libertà di

chiamar qualche altro aggionto et trattano con tanta segretezza quello che li piace, che dano anco il

sacramento di taciturnità, onde il tutto passa se non fra loro con tanto silentio che non può da alcuno esser

penetrato". Potrebbero tramare contro la Repubblica? Al presente certamente no, riconosce il Contarini, ma per il futuro non è da escludere. "Tanta segretezza", argomenta infatti Giulio Contarini, se "nel stato presente, che è constituita quella Città di fedeltà et devotione verso la Serenità Vostra, poco importa". Ma "a tempo di qualche turbulenza o revolutione non è dubbio che potrebbe far ardito et licentioso alcuno mal affetto o desideroso di novità et di mutatione di fortuna a parlar più licentiosamente et trattar cose che per aventura se ne astenirebbe alla presenza del Podestà". Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, IX,

Podestaria e Capitanato di Verona, o.c., pp. 174-175 (podestà, Giulio Contarini, 27 luglio 1606).

626

L'anonimo scrive: "Questo Consiglio de' XII, nel quale entrano anco i due Proveditori della città, è quello che regola tutti i negotii della Communità; et è appunto come l'eccellentissimo Collegio (di Venezia), nel quale si consigliano e discutono le cose, e poi si portano in Senato. Si riduce spessissime volte in un luogo

appartato a questo effetto vicino alla Cancelleria, attendendo di continuo alla custodia delle porte due

bidelli della città, e stanno rinchiusi con tanta riputazione come se fosse il supremo Magistrato dell'eccellentissimo Consiglio de X. Trattano secretissimamente tutto quello che piace loro...senza l'intervento de' Sig. Rettori...contro l'espressa forma dello Statuto nel libro primo al capitolo". CAVATTONI C. (a cura di), Informazione delle cose di Verona e del Veronese, compiuta il primo marzo 1600, o.c., cap. XVI, p. 15.

627

crescente al solo podestà. Negli atti del consiglio non è certo difficile imbattersi in preoccupate prese di posizione contro violazioni statali alle prerogative sovrane della città di Verona e dei suoi organismi politico-giudiziari. Un episodio viene alla luce al 23 dicembre 1504 quando una ducale veneziana scatena l'indignazione dei veronesi. In essa si invitava, infatti, il podestà di Verona a giudicare secondo coscienza del crimine di cui si era macchiato Alessandro Lazise insieme ad alcuni complici. La ducale sosteneva insomma la piena indipendenza del podestà, convinti che egli «ius et iustitiam pro conscientia sua ministrare deberet». Il consiglio non è disposto invece a transigere. Reagisce infatti duramente, inviando a Venezia ambasciatori incaricati di rammentare ai

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