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Che luoghi frequentano i giovani stranieri?

3. La letteratura che guarda alla socialità degli stranier

3.2 Che luoghi frequentano i giovani stranieri?

In alcune ricerche575 i minori stranieri dichiarano di trascorrere la maggior parte del loro tempo a casa o in luoghi “non-strutturati” (quali la strada, le piazze, i parchi e così via). Ciò avviene perché mancano spazi disponibili e non mercificati e perché spesso le proprie case sono ritenute dai ragazzi ristrette e non adatte a ricevere amici. Del resto, il già citato Queirolo Palmas denuncia l’assenza di politiche all’altezza della sfida e Bertozzi nota che non ci sono “luoghi specifici” per il tempo libero dei ragazzi stranieri, ma essi usano gli spazi della città.

Alcuni autori576 spiegano la predilezione degli intervistati per i non-luoghi577 con la possibilità di fare incontri multinazionali, la libertà d’azione (data, ad esempio, anche dal self-service), le regole di comportamento facilmente decodificabili. Oltre che per questa “facilità d’uso”, però, è da rilevare che tali luoghi hanno saputo intercettare le domande dei giovanissimi.

I centri commerciali, in particolare, rappresentano luoghi dove l’intrattenimento è “facilmente accessibile, relativamente economico e soprattutto identificato come

proprio e conosciuto, perché praticato nel paese di origine”578. Alcuni autori579, però, vedono in questo un bisogno di più ampia portata, ossia l’esigenza di colmare l’assenza dei genitori. Tuttavia una tale interpretazione mi pare richiami con troppa semplicità una questione psicologica, che invece andrebbe valutata più attentamente. Sembra, tra l’altro, di scorgervi sia un certo psicologismo, per cui tutto nasconderebbe motivi psicologici, sia una trasposizione di chiavi di lettura “occidentali” per atteggiamenti di giovani immigrati580.

Se proprio questi luoghi, d’altra parte, sono spesso definiti “anonimi”, o “non-luoghi”, e Bertozzi parla di relazioni “senza luogo”, per indicare quelle nate nei fast food, tuttavia Riccio invita a superare tali definizioni, che rischiano di “squalificare uno spazio come privo di identità”581. Quest’ultimo, riportando i risultati di una ricerca antropologica, infatti, nota in essi una “costante appropriazione dello spazio urbano” e così permette di

575 Cologna et al., 2003 op. cit; Queirolo Palmas, 2006 op. cit

576 Bertozzi, 2004a op. cit; Granata, Novak, 2003 op. cit; Valencia Leon et al., 2005 op. cit 577

Mutuando la celebre espressione di Augè. 578 Valencia Leon et al., 2005 op. cit.: 149 579 Ibidem: 149

580 Si veda quanto scrivono al riguardo Beneduce (2005) e Taliani (1999). 581

porre attenzione al rischio di incorrere in uno sguardo giudicante. Estendendo tale spunto di riflessione, si può dire che se partiamo dal presupposto che questi luoghi sono “anonimi”, sentiamo il bisogno, come ricercatori, di trovare un motivo profondo o un disagio nella vita dei giovani, che può spiegarci come mai frequentino proprio quei luoghi. Ma ancora prima, sarebbe interessante considerare per chi sono “anonimi”: probabilmente non per chi li frequenta e vi ha trovato non solo piacevolezza, ma anche un senso personale.

Valencia Leon e colleghi, del resto, fanno notare come tali frequentazioni del centro commerciale sarebbero dettate anche da alcuni aspetti concreti, molto importanti: l’inadeguatezze delle città nell’offrire spazi pubblici; i costi non sempre sostenibili per fare sport o altre attività; l’abitudine di alcune popolazioni a utilizzare piazze o parchi nel tempo libero; non da ultimo, l’esclusione di questi giovani immigrati dall’uso di altri luoghi urbani.

Due ricerche svolte a Milano582 sottolineano proprio alcune difficoltà sperimentate dagli immigrati nei quartieri dove vivono: infatti, essi incorrono in atteggiamenti segreganti, discriminazione e, in particolare per quanto riguarda i giovani africani-italiani, anche in controlli frequenti da parte della polizia.

Questi ragazzi, allora, decidono di riappropriarsi degli spazi urbani, ma così facendo finiscono per alimentare la segregazione e il pregiudizio, riproducendo circoli viziosi di ghettizzazione ed etnicizzazione degli stessi spazi583.

Accanto ai centri commerciali e alla piazza, comunque, vi sono altri luoghi d’incontro: le discoteche, i doposcuola, i centri religiosi degli immigrati584 e, in alcune realtà, anche gli oratori585, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, accolgono un buon numero di stranieri.

Se per Granata e Novak586 i luoghi di divertimento danno la possibilità di incontrarsi fra persone diverse, per Lagomarsino587, invece, non è così scontato: la ricercatrice afferma

582 Cologna et al., 2003 op. cit; Andall, 2003 op. cit 583 Valencia Leon et al., 2005 op. cit: 144-156 584

Granata et al. (2003) notano che i centri islamici o le strutture cattoliche diventano un punto di riferimento per i giovani immigrati. Quindi non assumono più solo un valore religioso, ma diventano luoghi di socializzazione. Lo stesso si può dire per i templi sikh nel Nord Italia.

585 Cologna et al., 2003 op. cit; Ambrosini, Cominelli 2004 op. cit.; Bertozzi, 2004a op. cit; Rebughini, 2004 op. cit; Orlando V., 2002 Un servizio educativo territoriale aperto alla diversità culturale e

religiosa: l’oratorio salesiano che accoglie i giovani immigrati in De Vita R., Berti F. (a cura di) Dialogo senza paure Franco Angeli, Milano, pp. 262-274.

586 Granata et al., 2003 op. cit: 115 587

che gli adolescenti latinoamericani in tali luoghi di socializzazione adottano modalità specifiche di fruizione che finiscono per rafforzare la separazione con gli autoctoni. Così, anche luoghi che dovrebbero agevolare il contatto e la conoscenza sembrano perdere la loro sfida. Ad esempio, in uno studio588 sull’influenza delle istituzioni religiose cattoliche ed evangeliste nella vita dei migranti, si è riscontrato come le chiese assolvano a bisogni non solo spirituali, ma anche psicologici, politici e culturali, però di fatto sembrano non riuscire a parlare ai fedeli indipendentemente dalla loro nazionalità e riproducono forme di integrazione “etnicizzata”.

Si può osservare quindi la necessità di luoghi di aggregazione e socializzazione extrascolastica che permettano l’incontro tra adolescenti, indipendentemente dalla nazionalità, e che agevolino percorsi di avvicinamento reciproco589, ma per far questo sembra fondamentale affidarsi a figure di educatori capaci e ad un significativo investimento politico-educativo in tal senso.

Non mancano certo esperienze positive d’integrazione tra italiani e immigrati, soprattutto quando sono programmate attività volte a stimolare conoscenza. Ricucci590, infatti, afferma che sono sorti luoghi che “favoriscono un’agire multiculturale, dove i ragazzi possono socializzarsi alle differenze”. Allora, che siano corsi di italiano, o di sostegno allo studio, o attività ricreative, queste iniziative danno modo ai giovani di sperimentarsi, di creare relazioni in un contesto multiculturale e acquisire competenze interpersonali e culturali, sempre più necessarie nella società attuale.

Purtroppo sono pochi i lavori che si sono concentrati su tali luoghi multiculturali extrascolastici. Pozza e Ravecca591, in realtà, analizzano un centro socio-educativo che si presenta come semiconvitto e accompagnamento scolastico e si propone di aiutare la famiglia in difficoltà a superare i problemi immediati. Benché gli autori riconoscano alcuni rischi del semiconvitto (le famiglie potrebbero non riuscire a recuperare la loro funzione educativa e si potrebbe creare una ghettizzazione), essi affermano la potenzialità di tale struttura nei termini di una funzione “preventiva”. I ragazzi, infatti, possono beneficiare di una realtà protetta, riducendo così la presumibile pericolosità della “strada”. Tuttavia, tale dimensione, citata spesso anche per quanto riguarda i centri di aggregazione, appare un po’ forzata, ma soprattutto riduttiva, dato che probabilmente

588 Valencia Leon et al., 2005 op. cit.: 144-149 589 Lagomarsino, 2005 op. cit.

590 Ricucci, 2005 op. cit.: 255 591

il punto di forza della struttura è rappresentato da quanto vi è, dai significati che vi danno operatori e giovani e non solo da misure preventive.

Uno studio etnografico molto interessante è stato condotto a Berlino sulla frequenza dei ragazzi turchi in alcuni centri giovanili592. La ricerca, in particolare, esamina la partecipazione femminile e, riscontrando che non in tutti i centri osservati vi sono ragazze turche, interpreta questo dato come l’esito di un rapporto di fiducia che si instaura tra operatori e famiglie. Inoltre, esaminando come si comportano questi utenti, mette in luce come essi attuino atteggiamenti ora creativi e di indipendenza dal modello familiare, ora conservativi, e modifichino il loro impegno multiculturale a seconda dei luoghi frequentati.

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