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4. Un quadro d’insieme sulla scuola

4.4 Drop-out

Un tema interessante, ma che a volte compare solo di sfuggita nelle conversazioni con gli insegnanti, è la dispersione scolastica.

Nonostante si parli del drop-out come uno dei miei oggetti di ricerca, in poche interviste emerge questo argomento, anche se qualcuno rivela che a volte gli indiani si iscrivono soprattutto al primo anno, ma si “perdono”...

Infatti, capita che risultino iscritti alcuni indiani per classe e poi, nella realtà, non tutti frequentino. In qualche occasione la scuola telefona a casa per avvisare delle assenze, ma ci sono poi problemi di comunicazione. In altre circostanze la famiglia è già a conoscenza di tutto e dice che attualmente i figli lavorano. C’è chi ipotizza che alcuni si iscrivano per il visto, avendo la sensazione che la scuola sia “un rifugio”.

Molte dispersioni avvengono, quindi, quando c’è un lavoro in alternativa e possibilità di guadagno e alcuni docenti credono che i soldi siano una priorità per i sikh. Anche l’indagine Ismu rileva che il drop-out sembra dovuto all’inserimento precoce nel mondo del lavoro o per lo spostamento verso la formazione professionale. Del resto, come afferma il referente del CSA di Cremona221 tra le cause vanno individuati non solo problemi di motivazione o di difficoltà linguistica, ma anche di mobilità.

Gli insegnanti delle medie, d’altra parte, sanno che alcuni ragazzi indiani non si iscrivono neppure alle superiori, soprattutto quando sono più grandi dei compagni. Ci sono, poi, anche quelli che arrivano in Italia a 14-15 anni (con o senza diploma nel loro paese) senza sapere l’italiano ed esser fermato nella scuola dell’obbligo pare un disincentivo al proseguimento degli studi222.

In alcune zone i professori da me intervistati affermano di non aver avuto casi di drop- out tra gli indiani, ma c’è chi ammette che è diffuso l’insuccesso scolastico e contro di esso la scuola mette in atto varie strategie compensative: una professoressa mi spiega che una ragazzina indiana, già bocciata una volta, avrebbe dovuto essere fermata ancora, ma si è deciso di dilatare i tempi e valutarla sui tre anni. La concessione è avvenuta in base all’idea che gli indiani si impegnano molto perché lo studio permette “la visione del futuro migliore”, quindi, in questo caso, la nazionalità funge da garanzia

221 In Cavagnini, 2006 op. cit. 222

e speranza per il singolo. Alcuni docenti, però, vedono che la possibilità di successo, dopo l’aver dato una seconda possibilità, non dipende solo da fattori individuali (o addirittura culturali), ma include altre variabili, come emerge da questa testimonianza:

“Qualcuno può ri-motivarsi, ma forse solo chi è integrato nella classe può ri-motivarsi.

Se uno è emarginato, fa cose che non gli piacciono, non capisce, gli costano fatica e non ne vede il senso, allora solo se è masochista resta in classe”.

Interessante è il confronto tra queste testimonianze e l’opinione di Green223 sulla seconda chance, l’autore infatti crede che per incoraggiare l’alunno a proseguire gli studi servano più ingredienti: ad esempio, una relazione stretta tra ragazzi e adulto; modelli positivi; il coinvolgimento familiare; programmi individualizzati; attenzione alle abilità di base.

Il ruolo fondamentale dell’adulto224 è affermato spesso anche dagli alunni: un giovane sikh che ha lasciato la scuola al secondo anno di superiori, dopo un anno molto soddisfacente, dichiara:

“…l’anno scorso avevo le idee chiare e ero fissato sul coso che volevo fare... però quando ho cambiato professori, non mi son trovato e mi son lasciato un po’ andare… facevo finta di ascoltare ma non ascoltavo. Quindi anche se venivo promosso… questa promozione qua non valeva niente. Perché va beh, esser promossi senza studiare niente non è che serva a molto. Invece l’anno scorso studiavo e mi piaceva… Va beh, quello che ho fatto ho fatto! Mi sono ritirato, ormai… non ci penso più, ormai!”

Il nostro sikh denuncia con le sue parole non solo la sua demotivazione, ma anche un sistema fatto di promozioni facili, di discontinuità nel corpo insegnanti e di scarso sostegno. Il quadro allora si arricchisce di complessità225, e probabilmente anche di dati di realtà, nel momento in cui non si addita solo l’alunno come responsabile, ma si mettono in gioco tutti gli attori: l’alunno e la famiglia (con motivazioni, storie personali, aspetti culturali…), il gruppo dei pari, i docenti, l’organizzazione scolastica e l’ambiente attuale, con i suoi connotati culturali e le sue prospettive socio-economiche.

223 Green, 2000 op. cit.

224 Espresso da Green, ma anche da Rossi-Doria (1996) 225

Del resto la letteratura sulla dispersione conferma un discorso multidimensionale. Si veda, tra gli altri: Liverta Sempio O. 1999, L’abbandono scolastico: alcuni punti di riferimento in Liverta Sempio O et al.,

op. cit.; Fabbri D. et al., 2003 La dimensione parallela Erickson, Trento; MPI, 2000 La dispersione scolastica: una lente sulla scuola Roma; IRER, 1992 La dispersione scolastica negli istituti professionali

Altre volte la criticità si ha nel passaggio alle superiori, perché esso è un “salto nel buio”226, infatti un altro maschio sikh mi descrive così i motivi della sua bocciatura:

“M’hanno baccato [bocciato] però non era la mia scuola, era troppo teorica, non stavo bene”.

Accanto a discorsi personali, a attitudini e preferenze per alcuni studi, sempre espressi dagli adulti, quindi, bisognerebbe prendere in considerazione vari fattori che portano all’insuccesso di alunni, stranieri quanto italiani, soprattutto all’ingresso delle superiori: l’orientamento è efficace? L’organizzazione scolastica è in grado di accogliere il nuovo studente? I docenti sanno valutare l’importanza del loro sostegno? Viene da chiedersi se debba essere analizzata anche “l’incapacità sociale di assicurare eguaglianza di accesso all’educazione”227 e se l’importante monito all’equità affermato da Gobbo228 sia ancora inascoltato.

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