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La dimensione sociale: le diverse dimensioni che incidono negativamente sull’eguaglianza

Una tradizione consolidata di ricerca indaga da tempo la dimensione sociale, come causa di ineguaglianza in vari settori, tra cui quello scolastico.

Se la scuola ha le sue responsabilità, non bisogna trascurare di considerare il contesto sociale, indipendentemente dal fatto che si veda il livello di scolarizzazione come “uno degli indicatori di un riuscito inserimento sociale delle minoranze”282, o all’opposto si ritenga che non possa essere interpretato “in modo estensivo come successo o

278 Hamann, 2004 op. cit; Van Zanten, 2003 op. cit 279

Aime M., 2004 Eccessi di culture Einaudi, Torino: 83

280 Gardner H., 2000 Un'educazione per il futuro Relazione tenuta alla Conferenza di Tokio. 281 Florio-Ruane, 1996 op. cit

282 Omodeo M., 2003 Le tribolazioni degli alunni d’origine straniera nelle scuole italiane, in Gobbo F. 2003a, op. cit.: 180

insuccesso a livello di integrazione nella cultura di accoglienza da parte del soggetto immigrato e del suo contesto di appartenenza”283.

Molti studi, notando performance scolastiche diverse non solo a seconda dei gruppi nazionali, ma pure all’interno di uno stesso gruppo e ancora per discendenti di immigrati della stessa origine residenti in paesi diversi284, hanno cercato spiegazioni in fattori sociali e Giovannini285 ha recentemente ribadito la necessità di ulteriori approfondimenti, che chiariscano anche come in Emilia Romagna gli stranieri ottengano migliori esiti scolastici rispetto alle altre regioni italiane.

Si è visto, ad esempio, che la differenza nei risultati tra gli asiatici-americani è correlata a differenze sociali e chi vive in povertà ha bassi profitti286. Lo stesso nesso tra status e andamento scolastico viene rintracciato anche in Europa287 e in Italia288, dato che in alcuni studi il livello scolastico dei genitori è definito “il più importante predittore del successo” dei figli289. Tuttavia, pare che alcuni ricercatori cadano nello stesso errore che vogliono denunciare, infatti, per spiegare la somiglianza, nella volontà di proseguire gli studi, tra italiani e stranieri provenienti da famiglie con alto capitale culturale si legge: “continuare a studiare è qualcosa di naturale, che fa parte dell’ethos di queste famiglie”290. L’autore naturalizza il desiderio di studiare, quasi fosse implicito nel modello familiare. Il rischio è che se questo avviene quando si parla di famiglie di alto status, di contro, si sottintenda che chi ha un livello culturale di partenza basso non sia incline allo studio.

Altro aspetto degno di nota è la “forbice”291 tra l’esperienze dei bambini/adolescenti e la realtà concreta del mercato del lavoro, infatti, in ambito nazionale e internazionale

283 Besozzi E., 2002 L’esperienza scolastica: mobilità, riuscita e significati dell’istruzione in Giovannini G. et al. (a cura di), op. cit.: 57

284 Zanfrini L., 2006b Seconde generazioni e mercato del lavoro in Valtolina G. et al., op. cit.; Crul M., 2005 The Second Generation in Europe, Paper presentato al convegno “Seconde generazioni in Italia”. 285 Giovannini, 2007 op. cit.

286

Lee S., 2006 Additional complexities: social class, ethnicity, generation, and gender in Asian

American student experiences in “Race ethnicity and education”, v. 9, n.1, pp. 17-28

287 Oltre a Gibson per il contesto inglese, le ricerche hanno mostrato che in Francia a parità di condizioni socio-culturali i livelli di riuscita di autoctoni e stranieri sono simili (Queirolo Palmas, 2006)

288

Colombo M, 2007a L’investimento sulla scuola e le scelte nell’istruzione e nella formazione

professionale in Besozzi E., Colombo M. (a cura di), op. cit, pp. 87-110; Fischer L. et al., 2002 Scuola e società multietnica F.G.Agnelli, Torino; Giovannini et al., 2002 op. cit.; Ambrosini, 2004a op. cit.;

Santagati M., 2007 La famiglia immigrata, risorsa e vincolo per i figli in Besozzi E. et al. (a cura di), op.

cit, pp. 61-86; Bonacini L, 2005 L’annuario della scuola reggiana Provincia di Reggio Emilia; Comune di Cremona, 2006 op. cit.

289 Ambrosini, 2004a op. cit: 35 290 Queirolo Palmas, 2006 op. cit: 113 291

molte riflessioni si sono focalizzate su una connessione tra mondo del lavoro e scolarizzazione, anche perché le “economie etniche”292 sembrano essere un destino segnato per gli immigrati e quindi gli sforzi di successo possono essere letti come inutili.

In uno studio inglese293, ad esempio, emerge che un’alta percentuale di giovani asiatiche lavora nelle industrie, in genere nel manifatturiero, accettando impieghi di basso livello e scarso guadagno. Con la recessione economica, inoltre, sono avvenuti molti licenziamenti e il tasso di disoccupazione per le asiatiche è cresciuto, sia perché l’avanzamento tecnologico ha eliminato i settori di basso profilo, dove erano inserite, sia per un razzismo che le ha penalizzate rispetto alle colleghe bianche. Il permanere dei pregiudizi di genere e di “etnia” anche per queste giovani, nate in Gran Bretagna, fa venire in mente l’avvertimento di Luciak294 per cui le minoranze non solo devono credere nel successo, ma fare esperienza reale di equità.

Ogbu295 del resto affermava da tempo l’importanza delle opportunità post-scolastiche e della percezione del futuro e Gobbo296, richiamandosi allo stesso antropologo, precisa che nell’insuccesso della minoranza giocano più motivi: la dimensione istituzionale e occupazionale, ossia i fattori strutturali (tra cui il razzismo), la storia del gruppo e “le forze della comunità”297 (intese come l’idea che la minoranza ha sulla scuola) e fattori personali-psicologici (disinvestimento verso la scuola, dissonanza tra aspirazioni e così via).

Luciak298 ribadisce, infatti, che non tutti i membri di minoranza hanno difficoltà scolastiche, quindi le opinioni strumentali, relazionali e simboliche su quali benefici, valore e senso ha la scuola influenzano le strategie dei soggetti, sia grazie alle cosiddette

forze della comunità sia in base alle relazioni storiche e alle condizioni attuali tra

maggioranza e minoranza. 292 Omodeo, 2003 op. cit: 180 293

Brah A., 1996 Cartographies of diaspora Routledge, London and New York 294 Luciak, 2004 op. cit.

295 Ogbu, 1987 op. cit.

296 Gobbo, 2000 op. cit.; 2004b John U. Ogbu: a personal recollection in “Intercultural education” v.15, n° 4, pp. 339-358

297

L’espressione è da ricondurre a Ogbu (1987). L’antropologo nota che come la minoranza percepisce la sua diversità e le condizioni sociali, in cui vive, getta le basi per avvicinarsi alla nuova società. Distinguendo tra minoranze autonome, involontarie e volontarie (per una definizione si rimanda a Ogbu, 1999), egli ipotizza che gli immigrati (o minoranza volontaria) pur avendo delle differenze culturali

primarie rispetto alla maggioranza, tuttavia non avvertono queste come barriere e quindi affrontano gli

ostacoli dell’inserimento con fiducia nella nuova realtà. Ciò avviene perché immaginano che, una volta appresi le norme e i valori importanti, potranno avere gli stessi diritti della maggioranza.

298

4.1 Una prospettiva multifocale: la teoria di Ogbu

Dopo averlo citato in più occasioni, provo a sintetizzare il contributo dell’antropologo nigeriano, J. U. Ogbu.

Nel tentativo di spiegare perchè alcuni gruppi di minoranza hanno difficoltà e altri riescono bene, egli compara alcune microetnografie e nota che la differenza principale consiste nella modalità in cui il gruppo percepisce la condizione attuale e la propria alterità.

Gli immigrati, in genere, credono nel successo dato dal loro progetto migratorio e quindi superano gli ostacoli senza neppure avvertire le discriminazioni: un esempio emblematico si può riscontrare tra i punjabi in California299. Essi continuano a parlare la lingua materna, restano fedeli alla propria religione e allevano i figli diversamente dalla maggioranza, però vogliono il successo scolastico dei figli e lo ottengono.

La scuola è ritenuta importante perché sostiene il sistema economico esistente (insegna abilità, valori e credenze della nuova società) e queste acquisizioni non sono viste come una minaccia, ma un apprendimento additivo: gli indiani credono nei benefici ricavabili dall’educazione e immaginano di avere più opportunità che in patria. Le loro aspettative sono strumentali per il successo sociale e il buon esito del progetto migratorio stesso. Così, razionalizzano le discriminazioni e le giustificano perché si sentono ospiti, perchè parlano una lingua diversa e non hanno l’educazione americana. L’educazione formale, allora, assume una rilevanza che non aveva in India e diventa il mezzo con cui vincere i pregiudizi, i razzismi e farsi apprezzare per quello che si è300.

Ogbu301 citando le ricerche sui sikh (Bhachu, Gibson) e sui rifugiati dall’America centrale (Suarez-Orozco) vuole dimostrare che il successo scolastico è dovuto principalmente al modo in cui la minoranza considera la scuola, sebbene poi le forze

della comunità abbiano ragioni più complesse, che coinvolgono anche processi storici.

Gibson302, d’altra parte, analizzando il lavoro di Ogbu, osserva che al di là delle critiche di eccessiva semplicità e determinismo che gli sono state mosse, restano aperte nella sua

299 Ogbu, 1987 op. cit.

300 Ogbu, 1991 op. cit. 301 Ogbu, 1996a op. cit. 302

teoria alcune questioni: né le differenza tra etnie e dentro l’etnia, né quelle di genere e generazionali si spiegano con tale modello.

Proprio tali perplessità inquadrano la difficoltà di utilizzare solo questa teoria per la mia ricerca. Tra i sikh italiani, infatti, vi sono studenti che riescono meglio degli autoctoni, ma anche quelli che non raggiungono buoni risultati e lasciano precocemente la scuola. Per capire tale variabilità intragruppo, come avrò modo di spiegare, bisognerà considerare altre interpretazioni.

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