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4. Un quadro d’insieme sulla scuola

4.3 Problema linguistico

Sebbene per alcuni docenti il problema linguistico sia stato adeguatamente affrontato e quindi i corsi di alfabetizzazione a vari livelli possano garantire un buon sostegno, tuttavia nelle maggioranza delle interviste l’apprendimento linguistico è motivo di preoccupazione e alcuni autori215 denunciano che in buona parte l’insuccesso e le bocciature dei minori stranieri avvengano per carenze linguistiche. Inoltre, c’è chi ancora percepisce l’uso della lingua materna come un ostacolo216:

“A casa parlano punjabi e non imparano italiano, quindi tutto va fatto a scuola”.

211

In realtà non sempre, ma solo nelle scuole private.

212 Per alcuni docenti molto interessati servirebbero i programmi di cosa si insegna in India. C’è chi nota che le pagelle testimoniano le tante diversità delle scuole indiane: c’è chi non le ha, ma c’è chi ha scritto poco e niente, chi invece ha anche le regole da rispettare.

213

Si veda ad esempio Redaelli (2007). 214

Invocate da Green (2000)

215 Villini R., 2003 Diversi ed eguali. Gli studenti di fronte al futuro in Fravega E., Queirolo Palmas L. (a cura di) op. cit., pp.42-51; Genovese A., 2003 Per una pedagogia interculturale Bononia University Press, Bologna

216 A tale proposito si rimanda all’analisi di Gobbo (2006a) sulle numerose differenze linguistiche presenti in Italia (ignorate fino a quando, con la migrazione, si sono presentate molte altre lingue), e su come -per molti anni- esse non siano state ammesse nella scuola italiana e siano state ritenute rischiose anche se parlate nell’ambito familiare (perché potevano interferire con l’apprendimento scolastico).

Spesso i docenti prendono atto che anche giovani inseriti nella realtà italiana da qualche anno non riescono a parlare un buon italiano e individuano le cause nel fatto che non abbiano molti contatti con gli autoctoni e che in casa parlino la loro lingua. Tuttavia, se almeno il primo aspetto può essere una ragione di maggiore difficoltà per i ragazzi, parlare la lingua madre è stato riconosciuto come un fattore positivo. In tutti i casi sembra non si tenga conto a sufficienza del tempo necessario per consolidare una lingua.

Alle medie, dove da più anni si organizzano corsi mirati di alfabetizzazione, esistono modalità differenti di affrontare la questione: ci sono istituti che si rivolgono a insegnanti di sostegno, altri che hanno individuato figure (interne o esterne alla scuola stessa) che si sono specializzate su tale didattica... Alcuni discorsi mirano a perfezionare la proposta formativa e ci si interroga se gli alunni devono frequentare da subito musica, ginnastica e materie simili per imparare prima la lingua, o se invece non dovrebbero fare corsi pomeridiani e entrare nella scuola quando è stata acquisita la L2. Docenti più impegnate sul tema, poi si chiedono come attuare dei miglioramenti:

“Quelli di lettere lavorano già su conoscenza di sé e degli altri, è un lavoro noto che si

fa con la letteratura, ma perché non farlo con gli stranieri? Perché invece di fare italiano con la grammatica non lo fanno partendo da sé?”

Le scuole superiori, invece, sembrano mostrare qualche difficoltà in più: devono fare i conti con alunni con scarsa o nulla capacità linguistica (italiana) e, come nota un preside:

“È importante la lingua nelle scuole superiori dove ci sono gradi di astrazione e

precisione che sono basilari”.

A volte, in effetti, i ragazzi anche se arrivano già alfabetizzati e apparentemente parlano un buon italiano, hanno poi difficoltà nel seguire il programma scolastico, soprattutto per quanto concerne le materie di studio. Del resto il problema è stato più volte segnalato in letteratura217 e Green spiega l’importanza del sostegno linguistico per almeno 5-7 anni, dato che i gradi di abilità richiesti vanno raggiunti col tempo218.

In alcune occasioni si verificano anche dei fraintendimenti, quando le difficoltà linguistiche non sono comprese e i giovani vengono scambiati per poco motivati o non particolarmente intelligenti. Un caso significativo si ha nella descrizione di un alunno

217 Si veda anche Omodeo (2003) 218

indiano (R.) da parte di due docenti: uno lo definisce “poco sveglio”, mentre l’altra spiega:

“R. non parla con nessuno, né coi professori, né coi pari, anzi questi lo emarginano

perché non parla in italiano e già loro sono problematici219… Di certo non disturba e quindi a volte anche i prof. lo lasciano nel suo mondo”.

I due professori leggono le difficoltà di R. in termini antitetici, ma quello che pare più grave è che il giudizio frettoloso e forse superficiale del primo interlocutore (che non coglie un elemento significativo, le difficoltà linguistiche alla base della partecipazione scolastica) fa sì che non vengano pensate soluzioni per aiutare il ragazzo.

Nelle scuole dove sono stati attivati corsi d’alfabetizzazione, comunque, i docenti riscontrano alcuni limiti: la frequenza è in ore fisse e curricolari perciò gli studenti “perdono” troppe ore della stessa materia e faticano a recuperare. I problemi organizzativi preoccupano i professori, che faticano a capire quando e cosa insegnare ai propri studenti:

“Devo fare qualcosa anche con loro ma a volte fanno alfabetizzazione nelle mie ore,

così escono e non li vedo; quando ci sono… riduco obiettivi, faccio programmi più facili, schede diverse, però non è facile...”

A volte, però, soprattutto gli insegnanti più impegnati su questo fronte o quelli a cui sono delegati i compiti di inserimento e sostegno degli alunni stranieri non sentono la collaborazione dei colleghi220. Una professoressa, infatti, mi racconta di come lei, organizzando i corsi di accompagnamento allo studio, debba lavorare in stretto rapporto con gli altri docenti: essi dovrebbero fornirle i materiali sintetizzati con le nozioni fondamentali, che a sua volta lei dovrebbe spiegare agli alunni. Di fatto, l’insegnante deve rincorrere e “supplicare” i colleghi perché svolgano sì un impegno in più, ma necessario per gli studenti e pure per lei, che chiaramente non è tenuta a sapere i contenuti disciplinari di tutte le materie. Conclude dicendo che spesso, poi, i docenti non le chiariscono i punti essenziali del loro programma, non le spiegano quanto lei fatica a capire e non aiutano i giovani durante le verifiche (differenziando il livello o usando termini più facili). Allora si nota che la sensibilità e l’impegno di alcuni professionisti non solo non trova un adeguato appoggio dei colleghi (e forse della dirigenza), ma viene ostacolato e aggravato dal comportamento di docenti disinteressati e non adeguatamente formati.

219 La classe fa parte di un corso professionale e presenta un terzo di alunni con sostegno. 220

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